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ITALIANI E ITALIANI ALL'ESTERO - 25 APRILE - PRES. REPUBBLICA MATTARELLA A CASOLI " LA NASCITA DELLA RESISTENZA MOSSE I PRIMI PASSI IN ABRUZZO E SEGNA IL VERO SPARTIACQUE DELLA STORIA NAZIONALE.."

(2018-04-25)

  Dopo la cerimonia all'Altare della Patria e la deposizione di una corona d'alloro al Sacrario della Brigata Maiella a Taranta Peligna, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si è recato a Casoli dove ha concluso le celebrazioni del 73° anniversario della Liberazione.

Al suo arrivo ha visitato la mostra fotografica allestita presso la sala "Lionel Wigram" al Castello Ducale illustrata dalla curatrice, Cecilia Di Paolo, e le carceri di Palazzo Tilli, che furono campi di internamento tra il 1940 ed il 1944, accompagnato dai professori Vito Gironda e Giuseppe Lorentini, responsabili del progetto di ricerca e documentazione del campo di concentramento di Casoli.

Al Teatro Comunale si è svolta la cerimonia celebrativa del 73° anniversario della Liberazione nel corso della quale sono intervenuti il Sindaco di Casoli, Massimo Tiberini, il Presidente della Regione Abruzzo, Luciano D'Alfonso, il Presidente dell'Associazione Nazionale "Brigata Maiella", Antonio Rullo e lo storico Marco Patricelli.
La cerimonia si è conclusa con l'intervento del Presidente Mattarella, dopo aver salutato, tra gli altri,  l'Ambasciatore del Regno Unito e l'Incaricato d'Affari della Polonia, che ha stigmatizzato  come non sempre pagine di storia siano state sottolineate, sconosciute e scritte della Resistenza nel Mezzogiorno d'Italia.  In Abruzzo, ha ricordato il Pres. Mattarella "si svolsero, tra il 1943 e il 1944, alcuni degli episodi più drammatici e decisivi della lunga e sanguinosa guerra per liberare l'Italia dal nazifascismo e per restituire il nostro Paese al novero delle nazioni democratiche e pienamente civili.

Da Ortona s'imbarcarono verso sud il Re e i membri del governo Badoglio, abbandonando precipitosamente Roma al suo destino di occupazione tedesca.

Sul Gran Sasso fu detenuto e poi prelevato dai soldati tedeschi Benito Mussolini con un evento che portò alla nascita della Repubblica di Salò, che portò lutti e sangue tra gli italiani, sotto il controllo pieno e incondizionato della Germania nazista.

La linea Gustav, fortissimo caposaldo della difesa tedesca tagliava in due l'Italia, dall'Adriatico al Tirreno, e riuscì a fermare l'avanzata degli Alleati verso Roma.

Il "fronte italiano", come venne chiamato dagli anglo-americani, si stabilì, per lunghi e durissimi mesi, tra Ortona, Cassino e Minturno, attraversando queste terre e queste montagne di cui oggi noi apprezziamo la grande bellezza ma che allora videro immani tragedie.

Le battaglie che si combatterono in Abruzzo, sul versante adriatico, nel 1943, furono tra le più aspre di tutto il conflitto sul territorio italiano. Ortona venne soprannominata "la Stalingrado d'Italia".

La guerra, combattuta per anni in fronti lontani - Africa, Grecia, Balcani, Russia - irrompeva fragorosamente nel territorio italiano, coinvolgendo con il suo carico di distruzione e di morte la popolazione italiana.

Iniziarono i bombardamenti aerei, i feroci combattimenti terrestri. E poi, per i civili, la barbara sequenza di saccheggi, deportazioni, sfollamenti, rappresaglie e stragi.

In quel periodo la regione d'Abruzzo, con i suoi abitanti, visse una vera epopea, tragica e insieme eroica, diventando - insieme alle aree limitrofe - il teatro di operazioni belliche di primaria importanza per le sorti della guerra.

Lungo la linea Gustav si riproduceva, in una scala ridotta, il conflitto mondiale che opponeva la Germania hitleriana e i suoi marginali alleati europei, a eserciti venuti da ogni parte del mondo: inglesi, americani, polacchi, canadesi, neozelandesi, nordafricani, indiani...

Tra queste montagne, alte e innevate, sulle pendici del Gran Sasso, nelle valli della Majella, tra i paesi e i borghi d'alta quota, nacquero spontaneamente nuclei del movimento di Resistenza al nazifascismo. I primi in Italia.

Tra essi vi erano intellettuali, contadini e pastori, militari tornati dal fronte, carabinieri. C'erano antifascisti di lungo corso ed ex militanti fascisti, che si sentivano delusi e traditi. C'era tanta gente semplice, decisa a difendere il proprio territorio dai saccheggi e dalle prepotenze. La riconquista della libertà e dell'onore ne costituiva l'elemento unificante.

L'8 settembre del 1943, con le sue tragiche conseguenze, aveva rappresentato il simbolo più evidente - e, per alcuni aspetti, grottesco - della disgregazione dello Stato fascista.

Ma in molti cuori e in molte coscienze l'adesione al fascismo si era già frantumata. A partire dai campi di battaglia, in Africa o in Russia, dove uomini male armati e male equipaggiati erano stati cinicamente mandati allo sbaraglio per gli sciagurati e velleitari sogni di potenza e di conquista della dittatura.

L'occupazione nazista - spalleggiata dai fascisti di Salò, con i suoi metodi barbari e disumani, con le rappresaglie, le torture, le deportazioni, la caccia agli ebrei, le stragi di civili - aprì definitivamente gli occhi della popolazione sulla natura oppressiva e violenta del fascismo.

Non era, quella fascista, la Patria che aveva meritato il sacrificio eroico di tanti soldati italiani. La Patria, che rinasceva dalle ceneri della guerra, si ricollegava direttamente al Risorgimento, ai suoi ideali di libertà, umanità, civiltà e fratellanza.

Non fu, dunque, per caso, come ci ha raccontato con efficacia il professor Marco Patricelli, che gli uomini della Brigata Maiella scelsero per sé stessi il nome di "patrioti". La stessa denominazione dei giovani che rischiavano la morte in nome dell'Unità di Italia.

La Resistenza fu un movimento corale, ampio e variegato, difficile da racchiudere in categorie o giudizi troppo sintetici o ristretti.

A lungo è stata rappresentata quasi esclusivamente come sinonimo di guerra partigiana, nelle regioni del Nord d'Italia o nelle grandi città.

E' certamente vero che le "bande armate" operanti al Centro-Nord, costituirono il fenomeno più ampio, evidente e caratteristico della guerra di Liberazione ed è giusto ricordarlo.

Ma gli studi storici hanno, via via, allargato l'orizzonte al contributo fondamentale che alla Resistenza diedero le forze armate italiane. Sia nei teatri di guerra lontani - ed è importante ricordare i drammatici episodi di Cefalonia, Coo e Corfù- sia sul territorio nazionale, dove circa 260 mila italiani combatterono a fianco degli Alleati, partecipando all'avanzata. Il prezzo pagato, tra gli italiani, fu di circa 21 mila morti e 19 mila dispersi.

Il Generale Clark, soldato piuttosto ruvido e non certo avvezzo ai complimenti, riconobbe che «I quattro gruppi di combattimento italiani e i partigiani sostennero una parte importante nella vittoria, avendo così l'onore di partecipare alla liberazione del Paese».

Da qualche tempo, e doverosamente, gli storici hanno puntato l'attenzione anche sui militari italiani deportati nei campi di concentramento in Germania, in condizioni terribili, per il loro rifiuto di servire sotto le insegne di Salò e dell'esercito nazista. A loro venne persino negato lo status di prigionieri di guerra.

Furono più di seicentomila, una cifra enorme. Tra di loro molti generali e ufficiali superiori. Pochi cedettero in cambio di cibo e di condizioni di vita più accettabili. La stragrande maggioranza, la quasi totalità, rimase compatta, nonostante la fame, i patimenti, il freddo e i maltrattamenti. Circa cinquantamila non fecero più ritorno.

Va rammentato anche che il movimento della Resistenza non avrebbe potuto assumere l'importanza che ha avuto nella storia d'Italia senza il sostegno morale e materiale della popolazione civile.
er essere "resistenti" non era necessario imbracciare il fucile. I terrificanti proclami tedeschi promettevano la fucilazione immediata e la distruzione della casa per chiunque avesse sfamato un soldato alleato, nascosto un renitente alla leva, aiutato un ebreo, sostenuto una banda partigiana. E i nazisti passavano con crudeltà dalle parole ai fatti. Senza fermarsi davanti a donne, bambini e anziani inermi. Chiunque, in quegli anni foschi, sfidò la morte con coraggio e abnegazione merita pienamente la qualifica di resistente.

Come notava con molto acume Aldo Moro, in un discorso del 1975, il contributo delle popolazioni permise alla Resistenza di superare «il limite di una guerra patriottico-militare, di un semplice movimento di restaurazione prefascista». E di diventare «un fatto sociale di rilevante importanza».

Una considerazione che getta ulteriore luce anche sull'importante contributo alla lotta di Liberazione delle popolazioni meridionali. Le tante insurrezioni, da Napoli a Matera, da Nola a Capua, alle tante avvenute in Abruzzo, attestano la percezione da parte degli italiani della posta in gioco: da una parte i massacratori, gli aguzzini, i persecutori di ebrei; dall'altra la civiltà, la libertà, il rispetto dei diritti inviolabili della persona.

Nelle parole dell'anziana donna abruzzese, citata da Patricelli, fucilata per aver sfamato un inglese, c'è racchiusa molta parte del senso della storia della Resistenza italiana: più che approfondite teorie politiche, coltivate dalle élite, era il riconoscimento della comune appartenenza al genere umano a costituire l'assoluto rifiuto a ogni ideologia basata sulla sopraffazione, la violenza e la superiorità razziale.

Nella lotta al nazismo, la popolazione d'Abruzzo fu particolarmente esemplare. Pagando un tributo alto di sangue che va adeguatamente ricordato, con riconoscenza e con ammirazione.....

La nascita del movimento della Resistenza, che mosse i primi passi in Abruzzo, segna il vero spartiacque della nostra storia nazionale verso la libertà. Chiuse la fase della dittatura e portò l'Italia all'approdo della libertà, della democrazia e della Costituzione....(25/04/2018-ITL/ITNET)

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