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RICERCA SCIENTIFICA ITALIANA NEL MONDO - E IL VACCINO ITALIANO ? IL PERCORSO AD OSTACOLI REITHERA RIFLETTE APPIENO LE DIFFICOLTA' DEL MONDO DELLA RICERCA ITALIANO

(2021-07-29)

  "Doveva essere la risposta italiana alle multinazionali del farmaco. Era stato annunciato come la soluzione per garantire al paese indipendenza vaccinale, che ci avrebbe reso autonomi dalle consegne dall’estero, spesso in ritardo rispetto alla tabella di marcia fissata dalla Commissione Europea. Con una capacità produttiva di quasi 10 milioni di dosi al mese, da settembre avrebbe dovuto garantire 100 milioni di dosi in un anno. E invece il percorso del vaccino messo a punto da ReiThera Srl, biotech con sede a Castel Romano specializzata in vettori adenovirali, ha subito una serie di intoppi che ne hanno compromesso lo sviluppo. E messo in dubbio la possibilità stessa di competere su un mercato che viaggia a velocità doppia, peraltro su una direttrice diversa (tecnologia mRNA) da quella scelta dall’azienda laziale (vettore virale)." ad aggiornarci sulla vicenda tutta italiana è Scienza in rete, il periodico di cultura scientifica dell'Agenzia Zadig condiviso con il Gruppo 2003 per la ricerca scientifica, un'associazione di ricercatori italiani highly cited nata per promuovere la cultura scientifica in Italia.


L’ultimo in ordine di tempo è stato il fermo imposto a maggio dalla Corte dei Conti, che ha bloccato il finanziamento pubblico per realizzare la fase 3 della sperimentazione del vaccino e avviarne la produzione industriale. In base all’accordo sottoscritto il 17 febbraio 2021 da ReiThera, ministero dello Sviluppo economico e Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa - Invitalia (società guidata dall’allora commissario straordinario all’emergenza Coronavirus, Domenico Arcuri), era previsto un finanziamento statale di 49 milioni di euro: 41,2 milioni a fondo perduto e 7,8 milioni di finanziamento agevolato. Da parte sua, ReiThera avrebbe investito 32 milioni. L'operazione prevedeva l'ingresso di Invitalia con 15 milioni nel capitale sociale della biotech (pari al 27% delle quote), grazie al Decreto Agosto che ha stanziato 380 milioni per acquisire quote di capitale di società impegnate su farmaci anti Covid.

L’iniziativa si è però dimostrata inconciliabile con la normativa vigente: come si legge nelle motivazioni della sentenza, l’investimento avrebbe dovuto essere finalizzato solo all’ampliamento della capacità di unità produttive esistenti, non alla realizzazione ex novo di un impianto di infialamento e confezionamento delle dosi, a oggi inesistente. Né poteva comprendere l'acquisto della sede operativa di Castel Romano, prevista invece dall’accordo per una spesa di 4 milioni di euro. Sede dove ReiThera svolge tutte le sue attività (non solo quelle per il vaccino anti Covid), che nel 2019 hanno riguardato ricerca e sviluppo per conto della società controllante svizzera Keires A.G.
I primi passi

In realtà, che la strada per il vaccino italiano fosse in salita era già evidente per i numerosi intoppi, burocratici e scientifici, emersi nei mesi scorsi. Ripercorriamoli rapidamente. Subito dopo lo scoppio della pandemia, forte della sua esperienza con piattaforma a vettori adenovirali, ReiThera disegna il suo vaccino GRAd-COV2 per il Covid-19: il vettore è costruito a partire dall’adenovirus di gorilla, modificato in modo da non replicarsi e contenente le informazioni genetiche per produrre la proteina spike di SARS-CoV-2, l’“uncino” che il coronavirus usa per infettare le cellule. Ideato, prodotto e brevettato da ReiThera nel tecnopolo di Castel Romano, il vaccino prevede una sola dose e si conserva in frigo: sulla carta offre quindi una serie di vantaggi produttivi e logistici. Il 31 luglio 2020, l’AIFA autorizza la sperimentazione di fase 1 di GRAd-COV2, per valutarne sicurezza e immunogenicità. Il progetto è sostenuto da un finanziamento pubblico di 8 milioni di euro, stanziati da Regione Lazio (5 milioni) e ministero della Ricerca e CNR (3 milioni), che vanno a sommarsi ai 12 milioni già investiti da ReiThera. A coordinare lo studio l’Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma, con la partecipazione del Centro ricerche cliniche del Policlinico Giambattista Rossi di Verona.

Nel frattempo, però, la concorrenza galoppa: già a ottobre Pfizer-BioNTech, Moderna e Oxford-AstraZeneca consegnano alle autorità regolatorie i dossier sui trial realizzati per chiedere l’autorizzazione all’uso in emergenza dei propri vaccini. Tra dicembre e gennaio arrivano i via libera di FDA, EMA e AIFA; a marzo tocca a Johnson&Johnson. Il vaccino italiano invece arranca: il 5 gennaio 2021, allo Spallanzani, vengono presentati i risultati dello studio di fase 1 su circa 90 volontari. I (pochi) dati illustrati nelle diapositive dell’azienda non sono pubblicati su riviste scientifiche con peer review, scatenando le perplessità di diversi esperti (si veda il botta e risposta tra Enrico Bucci, ricercatore alla Temple University di Philadelphia, e il direttore scientifico dello Spallanzani Giuseppe Ippolito). Oggi, più di 6 mesi dopo quella conferenza stampa, non c’è un articolo scientifico al riguardo, neanche sotto forma di pre-print.

Poi a febbraio, come abbiamo visto, l’accordo economico con Invitalia. Ma intanto la campagna di immunizzazione va avanti con gli altri vaccini approvati, sotto la guida e l’organizzazione del nuovo commissario, il generale Figliuolo. A marzo inizia lo studio di fase 2 Covitar: 26 i centri clinici e oltre 900 i volontari coinvolti, per il cui tempo e impegno richiesto - si legge sul sito - è prevista un’indennità adeguata. Lo Spallanzani, pur mantenendo il coordinamento scientifico, non è più tra i centri che somministrano il vaccino. Poi, quando tutto sembrava pronto per passare alla fase 3, la doccia fredda della Corte dei Conti che blocca decreto e soldi.

Mentre l’iter si ferma, i volontari della sperimentazione rischiano di rimanere in una “terra di nessuno”. Ai vaccinati con ReiThera, infatti, non può essere riconosciuto il green pass perché il vaccino italiano non è stato autorizzato né da EMA né da AIFA. Chi ha ricevuto il placebo potrà ora vaccinarsi, ma come si dovranno comportare le centinaia di persone a cui è stato somministrato il preparato di ReiThera? Dovranno comunque aspettare mesi prima di potersi immunizzare con uno dei vaccini approvati, analogamente a chi ha superato la malattia? Nel frattempo, per viaggiare in Europa, entrare nelle RSA o partecipare a cerimonie ed eventi sportivi potranno ricorrere solo al tampone (valido 48 ore). Una situazione paradossale, simile a quella di molti connazionali che vivono e lavorano all’estero e a cui è stato somministrato uno dei vaccini cinesi o il russo Sputnik. E di cui le istituzioni dovrebbero farsi carico. «Al momento, al Comitato tecnico scientifico non è arrivata alcuna richiesta formale di parere», spiega Donato Greco, epidemiologo e membro del CTS. «Si tratta di una questione che dovrebbe essere affrontata, su richiesta del principal investigator dello studio, innanzitutto dal comitato etico del centro che coordina la sperimentazione, in questo caso lo Spallanzani. Potrebbero comunque applicarsi le stesse linee guida approvate per tutti i vaccinati con preparato a vettore virale come Vaxzevria (vaccino sviluppato da Oxford-AstraZeneca, ndr), che suggeriscono di ricorrere a una seconda dose con vaccino a mRNA (schedula vaccinale mista), a distanza di 8-12 settimane dalla prima», continua Greco.

Ma per ReiThera il rischio di arrivare fuori tempo massimo è ormai concreto. Come ha sottolineato il genetista Mauro Giacca del King's College di Londra, oggi è complicato sperimentare un vaccino in Italia dal punto di vista etico. I trial di fase 2 e 3 prevedono che, su oltre diecimila partecipanti, un certo numero riceva un placebo: un protocollo inaccettabile, essendo ormai disponibili alternative sicure ed efficaci. Uno studio di non inferiorità rispetto a quelli esistenti sarebbe fattibile, ma non semplicissimo, alla luce degli alti tassi di efficacia clinica dei vaccini autorizzati. Si potrebbe portare la sperimentazione ReiThera nei Paesi in cui la circolazione del virus è sostenuta e dove il tasso di copertura vaccinale è ancora basso, ma al prezzo di un notevole aumento dei costi. Un’ipotesi poco realistica, soprattutto dopo l’ultimo stop ai finanziamenti.

Se nella prima fase di disegno e progettazione del vaccino, l’azienda laziale è stata competitiva (del resto è il suo core business), nelle settimane successive lo sviluppo è stato molto più lento rispetto al ritmo frenetico sostenuto dalle multinazionali concorrenti. L’Europa ha cercato di far fronte comune tramite un approccio centralizzato degli acquisti. I negoziati con le aziende sono stati affidati in esclusiva alla Commissione, per assicurare l’approvvigionamento necessario per l’intera popolazione europea. In cambio del diritto ad acquistare un certo numero di dosi in un determinato periodo di tempo e a un prezzo stabilito, la Commissione copre parte delle spese e dei costi di avvio sostenuti dalle aziende: un anticipo sui vaccini che saranno poi acquistati dai singoli Paesi, che consente di ridurre il rischio di impresa, accelerare e aumentare la produzione.

Ma il confronto con gli Stati Uniti è impari: il programma americano pubblico-privato Warp Speed ha ricoperto le case farmaceutiche di miliardi di dollari in pochi mesi. A cui si aggiunge il gap cronico di infrastrutture e capacità produttive su ampia scala che scontiamo con l’altra sponda dell’Atlantico. Frutto di scelte di politica della ricerca, economica e industriale che vengono da lontano, ben prima della pandemia: decenni di mancati investimenti o addirittura tagli lineari. La debolezza politica ed economica dell'Europa, assieme alla forza e alla lungimiranza di Big Pharma nel settore dei vaccini, hanno deviato produzione, distribuzione e profitto verso gli Stati Uniti.

Un nodo italiano, ma anche europeo: non è un caso che nessun paese del vecchio continente, da solo, finora sia stato capace di produrre “in proprio” un vaccino. «Quello della capacità produttiva nazionale è un problema da affrontare e risolvere per le nuove possibili varianti che potrebbero emergere, certo. Ma soprattutto perché, dovendo sostenere ancora a lungo la campagna vaccinale, è impensabile dipendere completamente dagli Stati Uniti», sottolinea Donato Greco. «Produrre su licenza, come si è impegnato a fare l’Istituto Pasteur in Francia con i vaccini a mRNA, è una strada da percorrere. Per costruire, sulla base dell’esperienza e delle conoscenze acquisite proprio con il Covid, nuovi vaccini tecnologicamente più evoluti anche contro malattie come morbillo o epatite. Centri di eccellenza come quelli di Siena, Pomezia o Verona hanno potenzialmente il know how e le capacità industriali per farlo».

Quale futuro?

Non secondaria è appunto la questione della tecnologia utilizzata. Il futuro dei vaccini sembra a mRNA, in particolare per la loro flessibilità e rapida adattabilità. Una scelta di campo avallata dalla Commissione Europea, che non ha rinnovato il contratto con AstraZeneca e ha invece avviato la trattativa per la fornitura di altre 1,8 mld di dosi del vaccino Pfizer fino al 2023. «L’arrivo dei vaccini a mRNA segna una svolta epocale, è come il passaggio dall’analogico al digitale», spiega ancora Donato Greco. «Una politica vaccinale fisiologica almeno per l’occidente, che si può permettere di scegliere soluzioni prive di effetti collaterali gravi», continua Greco. «Ben diverso lo scenario dei paesi in via di sviluppo, sia per il quadro demografico, sia perché il rapporto costi-benefici per i vaccini a vettore virale è enormemente vantaggioso dove non ci sono alternative. E poi i costi, nettamente inferiori: per esempio, il rapporto tra AstraZeneca e Moderna è quasi di 1 a 20 dollari a dose».

Se mai il vaccino ReiThera arriverà sul mercato, per essere davvero competitivo, dovrà comportare vantaggi o avere caratteristiche innovative che al momento non si riescono a scorgere. Più che un’occasione di rilancio per la ricerca made in Italy e per nuovi investimenti nell’industria farmaceutica, sembra l’ennesimo caso di mancata messa a sistema e dispersione di risorse e competenze. «Per le sue peculiarità, ReiThera potrebbe essere un vaccino da utilizzare proprio nei paesi in via di sviluppo. Un contributo comunque fondamentale, nella lotta globale alla pandemia. Ma se le stesse forze fossero state concentrate sullo sviluppo di una piattaforma a mRNA, oggi probabilmente avremmo un risultato diverso», conclude Greco.

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Il GRUPPO 2003 si è costituito nell'estate del 2003 raggruppando quegli scienziati italiani che lavorano in Italia e figurano negli elenchi dei ricercatori più citati al mondo nella letteratura scientifica, elenchi compilati per le diverse discipline dall'Institute for Scientific Information (ISI) di Philadelphia. Da allora il Gruppo 2003 è andato ampliandosi offrendo la possibilità di aderire a coloro che man mano venivano segnalati nei periodici aggiornamenti degli elenchi ISI. Siamo accomunati da questa appartenenza, senza necessariamente condividere specifici interessi scientifici o culturali, né tanto meno ideologie politiche o religiose. Il secondo elemento che ci unisce è l'amore per la ricerca scientifica, elemento essenziale del progresso intellettuale, materiale e civile del nostro Paese, insieme alla voglia di contribuire a migliorare il panorama attuale e le prospettive future anche attraverso risorse e strutture adeguate, come una Agenzia nazionale per la ricerca. Rivolgiamo quindi le nostre considerazioni ai responsabili del potere politico, presenti e futuri, all'industria ed al mondo della scienza e della ricerca nel suo complesso, ritenendo che su questi temi di interesse strategico sia
possibile ed auspicabile un accordo trasversale fra tutte le parti interessate.
E' per questo che il Gruppo 2003 ha scritto, come sua prima espressione pubblica, un Manifesto,

Proponiamo questi spunti di riflessione in un momento in cui sembra essere maggiore che nel passato l'attenzione per il sistema di ricerca, innovazione e sviluppo, alla cui debolezza strutturale vanno, per buona parte, ascritte le difficoltà in cui versa oggi il nostro Paese. Ci rivolgiamo quindi in particolare ai responsabili del potere politico, presenti e futuri, ritenendo che su questi temi di interesse strategico sia possibile ed auspicabile un accordo al di sopra degli schieramenti politici. In un certo senso, non vi è nulla da inventare; si tratta solo di utilizzare le caratteristiche portanti di sistemi efficienti e produttivi, adattandoli alle peculiarità del nostro Paese.

Proponiamo la nostra riflessione sotto forma di parole chiave che dovrebbero costituire i punti di riferimento di una riforma radicale del sistema di ricerca del Paese. Riteniamo che qualunque intervento sul sistema di ricerca dovrebbe uniformarsi a questi principi. Al termine del documento elenchiamo in breve alcune proposte che possono dare concretezza alle formulazioni generali.
1. Meritocrazia e valutazione

Dovrebbe essere ovvio che la meritocrazia costituisce la base di un sistema di ricerca che sceglie e promuove i capaci e i meritevoli. In Italia così non è, almeno negli organismi pubblici, dove criteri indipendenti dal merito, quali l'anzianità o l'appartenenza a gruppi di potere (accademico, politico, eccetera), hanno costituito e costituiscono elementi importanti del reclutamento e della carriera. Basti a questo proposito ricordare le promozioni ope legis, che hanno costellato la storia dell'università italiana. Sono tali di fatto anche i concorsi dedicati, magari successivi alla messa in esaurimento dei ruoli, pratiche nefaste che hanno contribuito ad abbassare il livello medio delle istituzioni. La meritocrazia si basa sulla capacità di valutare i singoli e le istituzioni, pubbliche e private, in assenza di conflitti d'interesse. Vi sono oggi criteri utili in campo scientifico per questo scopo: citazioni, fattore di impatto, brevetti venduti, finanziamenti competitivi da charities di qualità (come AIRC-Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro o Telethon), industria, Commissione Europea, National Institutes of Health, eccetera. Si tratta di usare gli strumenti disponibili per valutare i singoli e le istituzioni (istituti, dipartimenti, facoltà, università, enti di ricerca pubblici e privati), premiando chi fa o sceglie bene e punendo chi fa o sceglie male.
2. Autonomia e responsabilità dei singoli e delle istituzioni

L'autonomia, la competizione e la collaborazione, a livello dei singoli e delle istituzioni, costituiscono i cardini di ogni sistema di ricerca moderno. Oggi è molto difficile per un giovane ricercatore svilupparsi in Italia come scienziato indipendente. La scarsità di fondi, l'incertezza e le caratteristiche dei meccanismi di finanziamento privilegiano, nel migliore dei casi, gli scienziati affermati, responsabili di grandi gruppi. A questa situazione hanno cercato di rimediare alcune charities (AIRC, Telethon) con programmi dedicati alla crescita indipendente dei giovani. L'autonomia costituisce, o dovrebbe costituire, anche il cardine della vita delle università e degli enti di ricerca pubblici. Ma non vi è autonomia senza responsabilità delle proprie scelte. In sintesi, un sistema di ricerca efficiente e competitivo è fondato sulla autonomia e sulla responsabilità. Autonomia delle scelte (di persone e progetti) e responsabilità rispetto alle loro conseguenze. Come detto, le istituzioni scientifiche sono facilmente valutabili usando i criteri elencati sopra. Tra questi, ovviamente non si può considerare il numero degli studenti promossi, nel caso di istituzioni universitarie! Ma la cosa più importante è far percepire immediatamente che scelte fatte con criteri non di merito (anzianità, clientela, parentela) avranno a breve gravi conseguenze sul livello di finanziamento e sull'esistenza stessa del dipartimento, dell'università o dell'ente di ricerca. Siamo fiduciosi che segnali forti innescherebbero in breve tempo un meccanismo virtuoso.
3. Flessibilità

Il sistema di ricerca Italia è caratterizzato da estrema rigidità, antitetica ad un sistema efficiente e produttivo. Scarsi sono i livelli di mobilità all'interno delle istituzioni pubbliche o fra istituzioni pubbliche e private e spesso questi rispondono più a criteri di aggiustamento interno che non a politiche di ricerca fatte da istituzioni autonome e responsabili.

E' fisiologico che in un sistema di ricerca moderno una parte significativa della carriera scientifica sia condotta senza "posto fisso" (tenure). D'altra parte non si può chiedere a giovani e validi scienziati di essere ancora precari a 35 anni con stipendi di 800 euro al mese, in assenza di un vero mercato intellettuale offerto da industria ed enti accademici. Questo principio generale, che ci sembra evidente sulla base dell'esperienza di Paesi più avanzati, deve essere assimilato ed adattato alla realtà corrente del nostro Paese. Ancora, ricordiamo a titolo di esempio che uno scienziato negli Stati Uniti o in Gran Bretagna può basare il proprio salario, del tutto o in parte, su finanziamenti da lui ottenuti per progetti competitivi (grant), dove però lo Stato (attraverso agenzie come NIH-National Institutes of Health, DOE-Department of Energy, NSF-National Science Foundation, MRC-Medical Research Council, NASA, eccetera) costituisce uno sportello affidabile e costante, su cui si può contare per il presente e per il futuro, in un contesto di competizione sulla base della qualità. Niente di tutto questo avviene in Italia (vedi sotto).
4. Massa critica

In generale, la ricerca scientifica in aree altamente competitive richiede massa critica. Massa critica significa strutture di grandi dimensioni, condivisione di apparecchiature sofisticate e costose, banche dati e sistemi informativi efficienti, processi moderni, servizi di base, eccetera; significa anche, scendendo a livelli più spiccioli, una caffetteria dove ci si incontri e si discuta al di fuori del laboratorio. La dimensione scientifica e umana di una grande istituzione di ricerca non è sostituibile dalla telematica. Non è più, e in realtà non è mai stato, il tempo per fondare piccoli istituti ubicati "in mezzo al nulla". I pochi istituti privati di ricerca accademica ed industriale dimostrano che questa strada è percorribile e con successo anche nel nostro Paese. E' necessario che anche le grandi istituzioni pubbliche si muovano in questa ottica.

E' evidente che il modello organizzativo che governa attività di questo tipo non può essere quello pletorico, consociativo e compromissorio delle università o degli enti di ricerca pubblici. Di nuovo, autonomia e responsabilità, e quindi valutazione, costituiscono le parole chiave del cambiamento, con modelli di gestione ispirati agli organismi di successo nazionali ed internazionali.
5. Il reclutamento dei cervelli: per un sistema aperto

La mobilità costituisce un elemento essenziale della ricerca scientifica. L'attenzione e la sensibilità del mondo politico e mediatico in questo settore si sono focalizzate sul tema del "rientro dei cervelli". Si tratta di una questione seria e importante, ma riteniamo sia fuorviante trasmettere il messaggio che tutte le difficoltà si riducano a questo. Riteniamo che il vero nodo sia quello della costruzione di un sistema aperto, in cui salari, laboratori, accesso ai finanziamenti e possibilità di carriera, siano confrontabili con quelli europei o americani, e consentano, anzi stimolino, la venuta di scienziati dall'estero. Riteniamo che non aiutino la ricerca nazionale i rientri virtuali, fatti di qualche settimana l'anno di insegnamento in Italia e di una attività scientifica che ha il suo centro in istituzioni estere. Situazioni di questo tipo sono di regola inconcepibili in grandi istituzioni di ricerca normali, al di là delle Alpi o dell'oceano Atlantico. Il sistema che noi auspichiamo dovrebbe attrarre ricercatori, italiani e non, nella fase di massima creatività e produttività, offrendo condizioni che consentano loro di esprimersi. Solo in un contesto di questo tipo il rientro degli Italiani, che hanno motivazioni aggiuntive per lavorare in questo Paese, sarebbe veramente significativo ed avrebbe un ruolo strategico.

Infine riteniamo che un Paese come il nostro dovrebbe porsi in modo organico l'obiettivo di attrarre cervelli da Paesi, europei e non, meno sviluppati scientificamente. Il modello deve essere quanto è successo negli Stati Uniti e nell'Europa sviluppata nei confronti di molti scienziati italiani, inclusi alcuni estensori di questo Manifesto. Avere un flusso di giovani ricercatori, dedicati e aggressivi, costituisce un potente impulso per il sistema ricerca del Paese ospitante, ma aiuta anche lo sviluppo del Paese di provenienza, costruendo legami di collaborazione, permettendo lo scambio di tecnologia e restituendo al Paese di origine ricercatori formati. Cosa sarebbe ad esempio la ricerca scientifica degli Stati Uniti o della Gran Bretagna senza l'inventiva e la dedizione dei postdoc italiani (o europei in generale), indiani, giapponesi, eccetera? Vogliamo ricordare che attualmente un giovane postdoc extracomunitario che desideri lavorare nel nostro Paese è obbligato a sottostare a pratiche burocratiche assurde e senza confronto, in un contesto nel suo insieme umiliante.
6. Il finanziamento

Finanziare la ricerca non è un lusso ma una necessità. Solo una classe dirigente miope non si rende conto che la ricerca (insieme all'istruzione) è il pilastro su cui si costruisce il futuro e la prosperità di un Paese. Il nanismo industriale italiano deriva, oltre che da altri fattori, dalla nostra storica incapacità di costruire sistemi industriali complessi e globali, alimentati dall'innovazione quale fattore propulsore dello sviluppo.

Vorremmo richiamare l'attenzione su quattro punti relativi al finanziamento:

    Non esiste contraddizione o alternativa fra promozione da parte dello Stato della ricerca scientifica, di base e non, e accento sulla ricerca di trasferimento industriale. In un sistema "sano" la ricerca di base di qualità costituisce l'humus su cui si innesta il trasferimento. Di più, in molti settori, quali quello delle biotecnologie, è pressoche' impossibile tracciare il confine fra ricerca di base e applicata. A riprova di questa affermazione, è sufficiente scorrere gli indici delle riviste di scienze di base più autorevoli (per esempio Nature e Science) per verificare come, almeno in alcuni settori, la ricerca di base di qualità, con potenziale applicativo, sia condotta sia da organismi accademici sia dall'industria. In quest'ottica si comprende come governi di impostazione rigidamente liberistica (come quello degli Stati Uniti) si siano proposti un aumento massiccio e programmato dell'investimento statale in ricerca di base.
    La riformabilità del sistema di ricerca italiano dipende strettamente da un aumento significativo, programmato, non episodico del finanziamento statale, oltre che da un mutamento radicale dei modi e dei meccanismi. Una espansione della spesa, che va riconosciuta come investimento, consente infatti di focalizzare gli interventi su gruppi e aree senza penalizzare le piccole realtà che qui come dappertutto costituiscono lo scheletro su cui si appoggiano i picchi di eccellenza. Vogliamo ancora sottolineare che un sistema "aperto" e flessibile, attraente per ricercatori italiani e non, richiede salari, strutture e finanziamenti adeguati.
    L'adeguamento dei livelli salariali sia degli scienziati strutturati (tenured) sia di quelli non strutturati (a contratto o in tenure track) è condizione preliminare per l'effettiva realizzazione di un sistema di mobilità e flessibilità. Livelli salariali adeguati, oltre che strutture, meccanismi ed entità di finanziamento che sono normali secondo standard internazionali, costituiscono condizione necessaria per una effettiva apertura del sistema di ricerca italiano. Infine, borse di studio e salari adeguati consentono l'accesso alla ricerca scientifica di chi proviene dagli strati sociali meno abbienti, in un sistema di promozione meritocratica dei "capaci e meritevoli": un dovere morale, al di là della convenienza per il Paese.
    Come detto, il finanziamento della ricerca scientifica non può essere episodico, legato a stanziamenti una tantum, connessi con la vendita da parte dello stato di frequenze telefoniche o, peggio, di sigarette. E' essenziale, in un contesto di aumento programmato, la costituzione di meccanismi stabili, quali una o più agenzie di ricerca che costituiscano sportelli affidabili. Vogliamo ricordare per esempio che il cuore del sistema di ricerca negli Stati Uniti è costituito dai cosiddetti grant RO1, che vengono assegnati al ricercatore indipendente. In Italia non vi è nulla che assomigli a questo cardine fondamentale di ogni sistema di ricerca, dove una o più Agenzie efficienti ed affidabili sono dedicate alla distribuzione dei fondi.

7. Ricerca accademica e ricerca industriale

La ricerca applicativo-industriale costituisce un elemento portante di un sistema di ricerca moderno ed efficiente. In molti settori è difficile sviluppare ricerca di base competitiva in assenza di collaborazioni con l'industria, e, viceversa, non si fa trasferimento industriale senza un retroterra di solida e sana ricerca di base. Protezione della proprietà intellettuale, imprenditorialità accademica, rapporto tra industria innovativa e accademia sono elementi fondamentali di un sistema di ricerca efficiente. Altrettanto importante è la trasparenza di questi rapporti di collaborazione rispetto ai possibili conflitti di interesse e la condivisione di regole (per esempio riguardo la responsabilità intellettuale dei dati e la loro pubblicazione) che garantiscano i ricercatori dal rischio di subordinazione a interessi esclusivamente commerciali anziche' prevalentemente scientifici.

Infine, in questo contesto è interesse, non solo dell'industria, che il sistema di governo incentivi la ricerca industriale con una politica fiscale coerente, non ambigua e continua nel tempo.
8. In sintesi: normalità

Se dovessimo riassumere le aspirazioni di chi fa ricerca di buon livello nel nostro Paese ci sembra che queste possano essere racchiuse in una parola chiave: normalità. Normalità, rispetto agli altri Paesi industrializzati, dei meccanismi di reclutamento, di valutazione, di promozione e di finanziamento del sistema di ricerca. Attualmente il modo di funzionare complessivo del sistema di ricerca in Italia è incomprensibile ai nostri qualificati colleghi stranieri. Estremizzando un po' le cose, ci sembra che la comprensibilità da parte dei colleghi stranieri costituisca un buon parametro di verifica della sensatezza dei passi da compiere sulla via di una riforma in profondità del sistema di ricerca in Italia.
10 Proposte in breve

    Non più promozioni per legge o comunque mascherate come concorsi dedicati.
    Valutazione da parte di esperti indipendenti, anonimi, internazionali (peer review) per progetti, finanziamenti e carriera.
    Valutazione delle istituzioni, dei laboratori e dei centri di ricerca, usando anche strumenti quali "site visits" e su questa base dosare il finanziamento pubblico.
    Accesso anche per giovani ricercatori a finanziamenti, su progetti valutati, da gestire in autonomia.
    Mercato del lavoro affidabile che consenta mobilità, retribuzioni adeguate e percorsi di carriera.
    Scelte politiche strategiche sulle priorità della ricerca.
    Programma di attrazione di ricercatori dai Paesi meno sviluppati.
    Incentivi fiscali all'industria per investimenti in ricerca.
    Facilitazioni fiscali per le donazioni a università, istituti o enti di ricerca.
    Otto per mille alla ricerca.  (29/072021-ITL/ITNET)

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