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IMMIGRAZIONE - E' DEL REGISTA DISSIDENTE CINESE AI WEIWEI IL KOLOSSAL SULLE MIGRAZIONI GIRATO IN 23 PAESI DEL MONDO. IL 2 SETTEMBRE AL FESTIVAL DEL CINEMA DI VENEZIA

(2017-09-01)

  "Continuo a fare l'artista perché la fantasia è l'unico modo di alimentare la speranza". Ai Weiwei è in concorso alla Mostra con il suo primo vero lungometraggio, un'opera di grande impatto visivo, un kolossal delle migrazioni girato in 23 paesi del mondo, dall'Afghanistan alla Grecia, dall'Irak al Messico. Con scene di massa, grandi panoramiche dall'alto, in cui le persone diventano piccoli puntini su una tela.

L'artista dissidente cinese con questo Human Flow cerca di trasformare in arte visiva l'esodo epocale che contraddistingue i nostri tempi. Il film, coprodotto da Rai Cinema e in sala dal 2 ottobre con 01, è un viaggio in cui l'autore si mette in gioco ed entra in campo, raccontandosi lui stesso come migrante. Del resto viene da un passato di persecuzioni e, come racconta lui stesso, suo padre, bollato come nemico del popolo, era un poeta costretto a pulire i gabinetti.

Il documentario, che ha diviso la critica, offre allo spettatore visioni allo stesso tempo tragiche e maestose di questa straordinaria massa di persone, circa 65 milioni secondo i dati UNHCR, una massa in movimento con mezzi di fortuna, senza bagaglio e senza cibo, respinta da muri e confini di filo spinato, ma comunque in fuga da guerre, carestie e miseria, stipata in barconi e campi profughi. "Dopo l'esperienza di Fuocoammare - sottolinea Paolo Del Brocco di Rai Cinema - torniamo a parlare di questa emergenza con una nuova visione di questa tragedia che uscirà in sala in corrispondenza della giornata del 3 ottobre, giornata dedicata ai migranti e al ricordo di una strage avvenuta a Lampedusa".

Ai Weiwei, che vive esule a Berlino (dove è visiting professor dell'università delle arti UDK), dopo essere stato arrestato in Cina e solo più tardi riabilitato, racconta di essere rimasto a lungo senza passaporto lui stesso. Nel dicembre 2015 era andato in viaggio all'isola di Lesbo per assistere da vicino all'arrivo dei migranti lungo le coste europee, è stato allora che ha deciso di affrontare un tema da sempre presente nelle sue installazioni con lo strumento del cinema. "L'esodo più consistente dalla seconda guerra mondiale andava raccontato, così come le nostre reazioni di fronte alla crisi. Durante le riprese del documentario ho visitato 40 campi profughi e condotto centinaia di interviste. Ho capito che non c'è una crisi dei rifugiati ma piuttosto una crisi umana. Il confine non è a Lesbo, ma si trova nella nostra mente e nella nostra anima". (01/09/2017-ITL/ITNET)

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