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IMMIGRAZIONE - GIORNATA MONDIALE CONTRO IL RAZZISMO - "IL PUGILE DEL DUCE" UNA STORIA SCONOSCIUTA E STRAORDINARIA

(2017-03-17)

  Istituto Luce Cinecittà  presenta per la "Giornata Mondiale contro il Razzismo" con il Patrocinio del CONI, Federazione Pugilistica Italiana, ARDI – European Parliament Anti-Racism and Diversity Intergroup, MigrArti, il film "Il pugile del Duce"  per la regia di Tony Saccucci, liberamente tratto dal libro Nero di Roma di Mauro Valeri – Palombi Editori

Il pugile del Duce racconta la storia incredibile, sepolta e riscoperta dalla polvere degli archivi, di Leone Jacovacci: un pugile tecnicamente perfetto, agile, intelligente e potente. Leone parlava perfettamente quattro lingue, cinque col romanesco. Era italiano e forse anche fascista. Sicuramente non antifascista.

La sera del 24 giugno 1928, allo stadio Nazionale di Roma, davanti a quasi 40.000 spettatori e in collegamento radio con le città d’Italia, Leone Jacovacci si laureava campione europeo dei pesi medi.

Beniamino del pubblico internazionale in un periodo in cui il pugilato era lo sport per eccellenza, aveva un solo problema: era un italiano nero. Metà italiano e metà congolese.

Prima dell’incontro per il titolo europeo, aveva impiegato quattro lunghi anni per poter accedere al titolo di ‘italiano’ (in un match continuo tra giornali, uffici, politica, burocrazia).

Dopo l’incontro, il Duce lo fece cancellare dalla storia d’Italia (il filmato originale dell’incontro - su cui ruota parte del documentario – venne addirittura manomesso) e inventò il ‘bianco’ Carnera.

Arriva oggi la vittoria di Leone grazie al suo biografo Mauro Valeri, uno dei massimi esperti di razzismo in Italia, che in questo caso si è trovato a indossare i propri panni privati, quelli di un padre bianco che ha sconfitto l’oblio della censura fascista per amore del proprio figlio meticcio.

Attraverso la vicenda appassionante e rocambolesca di Leone, dal Congo a Roma, tra lavori, identità e paesi diversi, e i suoi incontri su navi, strade, locali e poi i ring ufficiali, e la sua mite impossibilità a non essere riconosciuto come il più forte del suo tempo, il film intreccia due vicende lontane nel tempo, ma legate da un filo resistente. Un filo che conduce a una lunga, faticosa, dura vittoria. La vittoria contro il razzismo.

La storia è solo storia contemporanea, perché i fatti riemergono in base alle esigenze del presente. E poiché non esistono fatti ma solo interpretazioni di essi, i fatti storici presentano una doppia verità: vivono solo se li riscopriamo ma nel riscoprirli sono già interpretazioni del presente che li ha prodotti.

Quello che ci è capitato con la vicenda di Leone Jacovacci è paradigmatico: il filmato di un incontro di pugilato (un avvenimento storico, il primo evento in radiocronaca diretta della storia italiana, decine di migliaia di spettatori, due italiani per un titolo europeo, treni speciali da tutta Italia per raggiungere lo Stadio di Roma, D’Annunzio che annuncia la sua partecipazione, Balbo e Bottai in prima fila, ripresi per bene dalla camera) che riaffiora dall’archivio dell’Istituto Luce con una qualità dell’immagine impressionante, a un secondo e attento sguardo, risulta manomesso, tagliato e incollato. Fu montato ad arte per dimostrare il contrario di quello che accadde. E la storia lo ha tramando così: un falso che diventa verità. Jacovacci è stato cancellato con una violenza pari a quella della natura matrigna.
La storia è la scienza degli uomini nel tempo. Riguarda tutti: quelli che la vivono e quelli che la scrivono. La storia è scienza politica.

Abbiamo utilizzato materiali d’archivio antichi 90 anni per raccontare una storia di urgenza presente: Leone Jacovacci era un italiano a tutti gli effetti, ma nero. E pur avendone pieno diritto, la cittadinanza gli fu concessa come fosse una grazia dopo quattro anni di suppliche. Fu denigrato da articoli razzisti sui quotidiani principali che hanno costruito una post-verità ante litteram. Hanno spinto alle lacrime un uomo forte come un toro che morì solo dopo sette infarti a 81 anni, nel 1983.

Oggi, molti hanno sentito parlare di Primo Carnera. Un simbolo del regime fascista. Nessuno, ad ora, conosce Leone Jacovacci. Eppure, nel 1928 Jacovacci era amato da tutti gli italiani, e in special modo dai romani. Jacovacci era l’idolo dei romani. Questo ha spaventato Mussolini, che anche in seguito avrà a lamentarsi di non essere mai riuscito a  “fascistizzare” fino in fondo la capitale. Leone Jacovacci, personaggio pubblico romano, impediva il proposito del Duce espresso già nel 1925: “In cinque anni Roma dovrà sorprendere l’universo: meravigliosa, ordinata, potente come lo è stata ai tempi di Augusto”. E ai suoi occhi il pugile nero rappresentava una di quelle “brutture”, di quelle “incrostazioni” da rimuovere.

Il filmato integrale dell’incontro è tagliato alla 15ª ripresa, e non fa vedere Jacovacci vincitore. Fotogrammi perduti per sempre. Perché, come scrisse la raffinata e pericolosa penna di Adolfo Cotronei in prima pagina il 26 giugno del 1928, “non può essere un nero a rappresentare l’Italia all’estero”.

Il mio mestiere è raccontare storie, storie di uomini che fanno la Storia. Stavolta ho scelto di farlo con un film documentario.
Ma non sarebbe stato possibile senza Mauro Valeri. Perché è lui ad aver ricostruito in sei lunghi anni la vicenda di Leone, foto su foto, articolo su articolo, appunto su appunto, testimonianza su testimonianza. Ha raccolto la sfida del vecchio pugile per battere i pregiudizi del presente, che lo riguardano piuttosto da vicino. Io non ho fatto altro che dare una forma diversa alla “controverità” costruita da Mauro Valeri e in più ho raccontato il motivo della sua esigenza di riscoprire Leone Jacovacci.
Ci ha pensato Chiara Ronchini a ricucire i brandelli delle fonti lacerate dalla propaganda fascista e a innestarli con la tagliente fotografia di Sabrina Varani. Un dialogo asciutto e schietto tra passato e presente.

Infine, ma solo perché composte per ultimo, le musiche di Alessandro Gwis e Riccardo Manzi. Oltre dieci pezzi originali, raffinati. Quando non sono originali (ma sempre loro) il montaggio ha assecondato lo spirito della composizione.

Tony Saccucci, dopo essersi formato alla Scuola di Nicolao Merker, ha lavorato nel mondo dell’editoria. Nel 2010 ha pubblicato un saggio dal titolo L’estetica del fungo, un divertissement filosofico, ristampato più volte e uscito in traduzione francese nel 2012. Dell’anno successivo è il suo primo romanzo, Opera d’arco. Insegna Storia e Filosofia dal 1998, oggi nello storico Liceo Mamiani di Roma. Il pugile del Duce è il suo primo film documentario. (17/03/2017-ITL/ITNET)







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