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UNIVERSITA' ITALIANA NEL MONDO - RAPPORTO 2017 "ITALIADECIDE" - PRES. CAMERA BOLDRINI:"DALLA CRISI EFFETTI PESANTI SU TESSUTO SOCIALE. CULTURA UNIVERSITA' E RICERCA LEVE IMPORTANTI"

(2017-04-26)

"Con i suoi Rapporti annuali l’Associazione Italiadecide fornisce contributi preziosi di analisi e di proposte su una vasta gamma di temi che interessano la vita del nostro Paese. Questi temi, tra loro diversi, hanno una caratteristica comune : quella di rappresentare uno stimolo a ragionare in termini innovativi, e a immaginare il ruolo che un Paese come l’Italia può svolgere in una realtà internazionale in continuo mutamento. Così la presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, intervenendo alla presentazione del Rapporto 2017 di "Italiadecide".

  "Così è stato, riferendomi soltanto agli ultimi anni, sul tema dell’Italia digitale, nel 2016, della semplificazione nelle Pubbliche Amministrazioni nel 2015, del Turismo e della valorizzazione del territorio nel 2014.
E mi fa molto piacere che l’Associazione abbia sempre scelto, per le iniziative di presentazione dei Rapporti annuali, la Camera dei deputati perché la politica ha bisogno del contributo della cultura, della ricerca, della conoscenza.
Il tema della conoscenza, per la crescita del Paese, è proprio al centro del Rapporto di quest’anno : “Università, ricerca, crescita”.

  "Nonostante alcuni indicatori inizino ad avere un segno positivo, l’Italia, anche rispetto ad altri Paesi europei, non riesce ancora ad incamminarsi in modo consistente sul sentiero della ripresa e della crescita.
Gli effetti di questa lunga crisi economica continuano a lasciare segni pesanti nel tessuto sociale del Paese, in termini di disoccupazione, soprattutto giovanile e femminile, di crescita delle diseguaglianze e delle fasce di povertà, di tenuta del nostro tessuto produttivo che è fatto soprattutto di una rete diffusa di piccole e medie imprese ancora in grande difficoltà.

Nella politica italiana è ormai matura la convinzione che, senza cessare di tenere sotto controllo i conti pubblici, sia giunto il momento di voltare pagina rispetto a politiche di rigida austerità e di sostenere scelte che mirino alla crescita e al rilancio dell’occupazione.  Ci si divide sulle ricette, sulle scelte di merito, come è giusto che sia, ma questa priorità è generalmente condivisa. Non vi è dubbio in ogni caso che la cultura, l’Università e la ricerca costituiscano una leva importante per la ripresa della nostra economia. E possono esserlo come protagoniste di primo piano di uno sviluppo di tipo nuovo".

  "E a pensarci bene è andata così anche in passato.  Il boom economico degli anni ’50 e ’60 si è nutrito non solo di mano d’opera, di macchinari e di materie prime, ma anche di un formidabile salto di qualità nella cultura generale del Paese.
Sono stati gli anni della scolarizzazione di massa, dell’apertura delle porte delle Università ai figli delle classi popolari: si lavorava duro nelle fabbriche e nelle campagne per mandare i figli all’Università, l’ascensore sociale funzionava, c’era la scalata sociale attraverso la cultura.  Erano gli anni di una straordinaria funzione ‘pedagogica’ della radiotelevisione, del grande cinema neorealista e delle coraggiose sperimentazioni nel teatro e nelle arti visive".

  "Oggi il tema del contributo della conoscenza allo sviluppo del Paese si pone in termini ancora più cruciali. Ce lo dicono i due fenomeni che contraddistinguono più di altri l’epoca in cui viviamo : quello della globalizzazione e quello della rivoluzione digitale.  Una lettura indubbiamente superficiale dei processi di globalizzazione ha portato a credere che la competizione economica su scala mondiale si dovesse basare soprattutto sull’abbattimento del costo del lavoro e anche sulla restrizione dei diritti di chi lavora. Ma poi si scopre,e anche questo rapporto ce lo segnala, che oggi è l’Asia la prima area continentale ad investire in ricerca e sviluppo, seguita dagli Stati Uniti e poi dall’Europa. Quell’Europa che solo cento anni fa aveva il primato assoluto di investimenti in questo settore".

  "I nuovi giganti dell’economia mondiale, con i quali peraltro non riesce a competere un’Europa ancora troppo divisa e politicamente fragile, puntano a rendere sempre più competitive non solo le loro industrie e le loro reti finanziarie, ma anche  le Università e i centri di ricerca: luoghi di eccellenza in cui vanno tutti i ragazzi del mondo, e fanno a gara per esserci.

Viene da dire che sarà la conoscenza il petrolio del futuro. E non è difficile comprenderlo nell’era del digitale e della robotica.
L’Italia può farcela, a recuperare un ritardo che rischia di lasciarla ai margini dell’economia globale. Ma a tre condizioni.
1)            Che si batta per una più forte integrazione politica europea, perché nessun Paese, neanche il più forte, può farcela da solo a competere con le nuove potenze dell’economia. Un’integrazione che alla fine deve portarci ad un’Unione federale di Stati che ci darebbe più consistenza.
2)      Che investa di più nella formazione e nella ricerca.
3)      Che determini maggiore sinergia tra tutti coloro che possono contribuire ad un salto di qualità in questa direzione : le università, i centri di ricerca, a partire da quelli pubblici, e il mondo delle imprese. E questo è il cuore del Rapporto che viene oggi presentato.
Non ci mancano certo i “fondamentali”.
Pensiamo alle nostre Università. E’ giusta la preoccupazione sulla cosiddetta “fuga dei cervelli”. Ma intanto questo fenomeno sta a dire che il nostro sistema di istruzione universitaria è in grado di produrre cervelli.
E non mancano imprese, prevalentemente di grandi dimensioni, che hanno puntato sull’innovazione piuttosto che sulle delocalizzazioni.

Le delocalizzazioni sono il grande male del nostro tempo, a cui forse non è stata data sufficiente attenzione, né sono stati posti correttivi vincenti per mitigare i danni che esse hanno prodotto sulla vita delle persone.
Se questi mondi, quello delle Università, della ricerca e delle imprese, collaborassero di più e in modo più sinergico, potrebbero davvero produrre quel passaggio al futuro che serve alla crescita del Paese.
Determinante è, in questo senso, il ruolo della mano pubblica.

Investire di più nella conoscenza - ha concluso la presidente della Camera -  significa certamente destinarvi molte più risorse di quanto non si faccia oggi. Anche perché sono gli investimenti pubblici che possono fare da volano a quelli privati.
Ma significa anche dare maggiore centralità a questi temi, nell’agenda delle forze politiche e delle istituzioni.
Adriano Olivetti è stata una delle personalità che più si sono spese per valorizzare il legame tra conoscenza, innovazione e responsabilità sociale dell’impresa.

C’è una sua frase celebre che dice :  “Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia a lavorarci, solo allora diventa un proposito, cioè qualcosa di infinitamente più grande”. Ed è solo attraverso l’elaborazione di un proposito di cultura e di conoscenza che il nostro Paese ritroverà la strada della crescita e di uno sviluppo sostenibile." (26/04/2017- ITL/ITNET)

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