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LAVORO E LEGGE DI BILANCIO 2018 - SERVIDORI (DOCENTE UNIMORE): LEGGE DI BILANCIO PESANTE SUL VERSANTE DELLA SPESA. OCCORREREBBERO 30 MILIARDI DI RISORSE"

(2017-09-10)

Alessandra Servidori ,  Professore a contratto di Politiche attive e di pari opportunità nel lavoro pubblico e privato presso l’UNIMORE, gia' Consigliera nazionale di Parità presso il Ministero del Lavoro, editorialista ed esperta in politiche del welfare, collabora con diverse riviste economiche, nella sua ultima riflessione per le edizioni IPSOA si interroga se l'Italia  possa permettersi le norme previste sul lavoro nella prossima legge di Bilancio 2018. E le sue conclusioni non possono certo dirsi rassicuranti.

Afferma Servidori "Si delinea sempre più il profilo della “temutissima” Manovra di bilancio 2018. L’impianto base sembra essere già definito e si fonda su alcuni “architravi di cemento armato”: il primo, il più potente, è il dimezzamento dei contributi previdenziali pagati dalle imprese per tutti i nuovi assunti al di sotto dei 32 anni. Il maxi sconto, con una riduzione dei contributi di 4 punti percentuali rispetto all’aliquota standard, resterebbe comunque in dote al lavoratore fino alla fine della carriera e anche se cambia azienda. Sul versante previdenza, pare - per ora - bloccato il tentativo di “ingessare” il prossimo adeguamento del requisito anagrafico. In definitiva, si profila una legge di Bilancio molto pesante sul versante della spesa. L’Italia può permettersela?

Quindi spiega " Il maxi sconto sui contributi durerebbe per i primi due anni di contratto, anche se resta in piedi l’ipotesi di un periodo più lungo, fino a tre anni. E farebbe scendere l’aliquota contributiva dal 30-33% di adesso - c’è una leggera variazione a seconda dei casi - giù fino al 15%-17,5%.
Lo sconto non potrebbe comunque superare i 3.250 mila euro l’anno. Il taglio dei contributi non avrebbe effetti sulla futura pensione del lavoratore. La somma non versata dall’azienda sarebbe coperta dallo Stato. Ed è per questo che l’operazione ha un costo: intorno al miliardo di euro per il primo anno, sui due miliardi una volta a regime.
Una volta passati due anni dall’assunzione con il maxi sconto, a differenza di quanto fatto con il Jobs Act, resterebbe comunque una riduzione dei contributi, contenuta di 4 punti percentuali rispetto all’aliquota standard del 30-33%, per scendere quindi al 26-29% e destinata a durare fino alla fine della carriera, anche se il dipendente cambia azienda. E con un effetto da dividere in due parti: per metà a vantaggio delle imprese come riduzione dei contributi da versare; per l’altra metà a vantaggio del lavoratore con un aumento della sua busta paga.

L’intervento ridurrebbe il costo del lavoro in modo stabile: i nuovi lavoratori a costo più basso rimpiazzerebbero progressivamente quelli, più costosi, che lavorano già e con un meccanismo stavolta simile al Jobs Act, con la progressiva sostituzione dei lavoratori tutelati dal vecchio articolo 18 con quelli che hanno il nuovo contratto a tutele crescenti. Ma a conti fatti avrebbe un costo molto più alto rispetto allo sconto biennale e dunque in alternativa alla sconto di 4 punti per tutta la vita si potrebbe puntare sull’apprendistato, che nei primi cinque mesi dell’anno è cresciuto del 27%.

Il dimezzamento dei contributi sarebbe legato all’assunzione stabile degli apprendisti, al termine del periodo massimo di durata del contratto, che è di tre anni. Anche l’apprendistato ha un peso dei contributi molto basso, il 10%. In caso di stabilizzazione l’aliquota salirebbe al 15/17,5%. Più cara ma comunque molto più vantaggiosa rispetto a quella standard, rappresentando un forte incentivo alla stabilizzazione.
Resterebbe in tutta la sua gravità la questione dei Neet (le persone che non sono più in formazione, che hanno un lavoro e neppure lo cercano) a cui è rivolto il Programma Garanzia Giovani, rifinanziato dall’Unione europea per 1,3 miliardi.

La Corte dei Conti europea ha bocciato Garanzia Giovani, il programma triennale su cui l'Unione Europea ha puntato per alleviare l'enorme fardello della disoccupazione giovanile. Per la Corte si era fissato un obiettivo troppo ambizioso per poter funzionare e in molti Paesi, tra cui l'Italia, non ha aiutato a ridurre davvero il numero degli inattivi, che è tutt'ora il più elevato d'Europa.
Assicurare ai giovani che entro quattro mesi dalla loro ultima attività di lavoro o di studio avrebbero avuto un'offerta di lavoro o di tirocinio, è stato un azzardo da parte della Ue, perché ovviamente la promessa non è stata mantenuta. La critica è puntualizzata in un rapporto molto dettagliato che ha analizzato l'attuazione dello schema di aiuto per i giovani in sette Paesi. Con risultati più o meno simili, che hanno portato la Corte alla conclusione che a tre anni dall'adozione del progetto "le aspettative non sono state rispettate"....

"Altra misura pronta - fa presente la prof. Servidori - è sui centri pubblici per l’impiego: stabilizzando 1.500 precari e assumendo altre 1.600 persone reduci dalle Province, più anche i dipendenti di Anpal, l’Agenzia per le politiche attive del lavoro, con un finanziamento per Anpal servizi di 20 milioni di euro l’anno.

Altra spesa è l’assegno di ricollocazione, il bonus in formazione per i disoccupati che accettano di riconvertirsi, poiché finita la sperimentazione su base individuale - che ha dato pochi risultati, con un’adesione intorno all’8% - lo strumento dovrebbe essere indirizzato verso le crisi aziendali, come per esempio nell’unico caso in cui è stato utilizzato, Almaviva, dove ha dato risultati molto migliori, con un’adesione vicina al 90%.".

Passando, poi, al versante previdenza, pare, per ora, bloccato il tentativo di ingessare il prossimo adeguamento del requisito anagrafico con il pretesto, appunto, di fare spazio ai giovani, in coerenza con le agevolazioni contributive: nulla di più sbagliato e strumentale. Bloccare gli adeguamenti dei requisiti di pensionamento all’aspettativa di vita è sbagliato. Significherebbe restituire all’arbitrio politico un modello basato su regole automatiche che assicurano la stabilità del sistema e, dopo la lunga stagione delle salvaguardie per gli esodati, riaprire le maglie nel momento più delicato, visto che nei prossimi 25-30 anni la spesa pensionistica è destinata a crescere a causa del ritiro dal mercato del lavoro dei babyboomers. Quel miliardo e 200 milioni di cui si parla in caso di mantenimento al 2019 del requisito di vecchiaia a 66,7 anni non esiste. Non è nelle simulazioni che si deve operare ma nei numeri reali. Significherebbe 141 miliardi di spesa in più da qui al 2035. Con un costo medio di circa 8 miliardi l’anno."

In buona sostanza, secondo l'analisi della prof. Servidori,  in un clima elettorale già molto spinto il Governo sta predisponendo una legge di bilancio molto pesante sul versante della spesa ed elettoralmente leggera sui sacrifici. L’Italia non può permettersela perché fino ad ora non ha dimostrato di saper risanare i conti pubblici e la manovra dovrebbe per essere credibile trovare oltre 30 miliardi di risorse per diminuire il cuneo fiscale, sostenere i giovani, il lavoro delle donne e gli investimenti.

“Diritto al lavoro e all’istruzione, stanno alle radici della libertà delle persone e della società. Così, investendo sul futuro, una collettività ritrova fiducia e raddoppia la propria forza". Così il Presidente Mattarella ha detto recentemente. Siamo assolutamente d’accordo." conclude la prof. Servidori.(10/09/2017-ITL/ITNET)

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