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RICERCATORI ITALIANI NEL MONDO - "MIGRAZIONI E INTEGRAZIONI NELL'ITALIA DI OGGI": IL CASO REGNO UNITO.

(2017-12-12)

  "Come è noto, il Regno Unito è ormai da molto tempo la meta preferita dell’emigrazione dei ricercatori italiani, dato che, anche se i contratti delle università in Gran Bretagna sono meno stabili di quelli degli atenei di altre nazioni europee, gli stipendi, a tutti i livelli, sono alti e soprattutto l’offerta è molto ampia."  Ad affrontare l'argomento è il volume di  ‘Migrazioni e integrazioni nell’Italia di oggi’ curato da Corrado Bonifazi, direttore dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Cnr, presentato oggi a Roma.

Infatti, "oltre la metà delle università inglesi sta pianificando di espandersi [Ratcliffe e Shaw 2015] e quindi l’aumento del numero di studenti implica la necessità di assumere nuovi docenti. Inoltre, anche la richiesta di personale di ricerca da parte delle imprese britanniche è alta, nonostante la crisi economica abbia fatto diminuire l’offerta di lavoro negli ultimi anni. Molte agenzie specializzate si offrono di mettere in contatto ricercatori, anche stranieri, con datori di lavoro interessati alle loro competenze, tramite portali informatici così come fanno attualmente quasi tutte le università del Regno Unito. Infine, ormai quasi tutti coloro che lavorano, o aspirano a lavorare, nella ricerca conoscono la lingua inglese e questo rende più facile lavorare nelle università del Regno Unito piuttosto che in quelle di altri paesi.

Va però notato che l’effetto dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea potrebbe avere forti conseguenze su questi flussi migratori. Allo stato attuale, non è infatti chiaro quali saranno in futuro i rapporti tra Regno Unito ed Unione
Europea, quali saranno gli accordi che resteranno in vigore e quali invece saranno cancellati o (e come) sostituiti. La procedura, regolata dall’Articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea infatti è notevolmente complessa [European Commission 2016]".

Evitando di ripetere quanto già affrontato nei giorni scorsi sull'accordo (vedi: http://www.italiannetwork.it/news.aspx?ln=it&id=50337 e http://www.italiannetwork.it/news.aspx?ln=it&id=50330) ..."Sotto il profilo delle emigrazioni altamente qualificate, gli effetti della Brexit saranno comunque notevoli.

Infatti, la posizione privilegiata di questa nazione come meta delle migrazioni di studiosi stranieri non è dovuta solo all’eccellenza del suo sistema universitario e della sua attuale fase di espansione, all’alto livello scientifico e tecnologico delle sue imprese e al fatto che l’inglese è ormai la lingua che viene più frequentemente studiata all’estero, ma anche
da molte altre circostanze che hanno facilitato la presenza di docenti e ricercatori stranieri nelle sue università e nelle sue imprese ad alta tecnologia. Tra queste, hanno una considerevole importanza le norme derivanti dal Trattato dell’Unione Europea che impone uguali norme per tutti i cittadini dell’UE in tutti i paesi membri.

Per cui bisogna vedere quali e quante di queste norme resteranno in vigore dopo il completamento della uscita del Regno Unito dall’UE. Se non venissero confermate, migrare nel Regno Unito per lavoro, anche nell’università, diverrebbe molto più complesso per gli studiosi europei. Infatti, ottenere un visto per lavoro potrebbe divenire molto più complicato, dato anche che uno dei principali motivi che hanno spinto la maggioranza dei cittadini inglesi a votare contro la permanenza nell’Unione Europea è stato proprio il timore degli effetti dell’immigrazione sul mercato del lavoro.

Bisogna anche aggiungere che una parte considerevole dei dottorati nelle università del Regno Unito sono finanziati su fondi di progetti europei ai quali, salvo accordi nella fase di trattativa nel processo di Brexit, le università britanniche
non potranno partecipare e che, specialmente nelle scienze di base, difficilmente potrebbero essere sostituiti da finanziamenti nazionali: questo potrebbe portare ad una notevole diminuzione delle borse di dottorato disponibili.

Questa situazione potrebbe quindi spingere molti giovani laureati dell’Unione Europea, soprattutto coloro che sono cittadini dei paesi dell’Europa Meridionale, a cercare altre destinazioni per il proprio periodo di formazione alla ricerca, privando il Regno Unito di un considerevole flusso in entrata di risorse umane per la scienza e la tecnologia.

Di questi problemi, gli atenei inglesi sono ben consci: appena un mese dopo il referendum, si era già costituito un gruppo spontaneo di ricercatori (Scientists for EU), che ha incominciato a raccogliere significative prove dei danni prodotti dalla Brexit al sistema accademico inglese: scienziati europei che rifiutavano offerte di lavoro in Inghilterra, altri che lasciavano il paese, gruppi di lavoro che stavano lavorando a proposte per il Programma H2020 che si scioglievano
[Gibney 2016].

University UK, uno dei più vasti e influenti gruppi di pressione degli atenei britannici fondato nel 1918, ha recentemente steso un documento [University UK 2016] per evidenziarli e per invitare il governo a mantenere, nella trattativa sull’uscita dall’UE (alla quale questo gruppo si era strenuamente opposto nella campagna referendaria) la permanenza del Regno Unito nei programmi scientifici europei. Anche molte prestigiose società scientifiche inglesi, come l’Institute of Physics, la Royal Society of Chemestry, la Royal Society of Biology, il Council for Mathematical Sciences hanno espresso la loro preoccupazione per i possibili esiti negativi della Brexit. La Royal Astronomical Society, una delle più antiche società scientifiche britanniche, ha inviato ad agosto una lettera a tutti i propri membri, inglesi e stranieri, invitandoli a far pressione sul governo inglese per garantire la possibilità di rimanere nel Regno Unito ai colleghi stranieri e la partecipazione inglese ai programmi scientifici europei.

Tuttavia, molti ricercatori cittadini di paesi dell’Unione Europea, che lavoravano da anni in Inghilterra, Galles, Scozia ed Irlanda del Nord, dopo l’esito del referendum del 23 giugno 2016 hanno tentato di consolidare la propria posizione
richiedendo un permesso di residenza permanente [Talbot 2017]. La procedura però si è mostrata estremamente complessa e non pochi tra loro si sono visti respingere la richiesta con una lettera dell’Home Office con la quale li si avvisava che non c’erano motivazioni valide per la loro permanenza nel Regno Unito e li si invitava a fare “preparativi per la partenza”, specificando anche che, se non fossero partiti spontaneamente, nel seguito avrebbero potuto essere forzati ad andarsene. Queste lettere, diffuse sul web, hanno suscitato un’ondata di proteste, oltre che da parte degli interessati anche da parte dei loro colleghi britannici, molti dei quali hanno sottolineato come il Regno Unito avesse raggiunto il suo alto livello scientifico e tecnologico proprio grazie alla politica di incentivazione delle migrazioni altamente qualificate [Talbot 2017].

La mobilitazione dell’ambiente scientifico britannico sembra aver prodotto qualche risultato: all’inizio di marzo, il Ministro per l’Università e la Scienza Jo Johnson ha istituito un gruppo di lavoro, guidato dal presidente della Royal Chemestry Society sir John Holman, per discutere con le società scientifiche delle modalità dell’uscita del Regno Unito dall’UE per quanto riguarda i settori di sua competenza [IOP 2017]. Le speranze di una buona riuscita della trattativa sembrano considerevoli. In occasione della Giornata Europea del 9 maggio, che celebra la “Dichiarazione di Shumann” del 1950, l’8 maggio si è svolto a Londra un grande forum su “Brexit: the facts behind opportunities & challenges for both the UK & European Science Establishments”, aperto ai ricercatori di tutta Europa ed organizzato dalla società scientifica europea
EuroScience, dalla Royal Institution e dalla Academia Europaea, che ha cercato di trovare una soluzione che soddisfi sia le esigenze del Regno Unito che quelle dell’UE [EuroScience 2017].

Soluzioni che si sono aperte, nei giorni scorsi, con la firma dell'accordo di principio firmato dal Premier inglese e dal Presidente della Commissione UE . (12/12/2017-ITL/ITNET)

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