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RICERCATORI ITALIANI NEL MONDO - "MIGRAZIONI E INTEGRAZIONI NELL'ITALIA DI OGGI": I MOTIVI PER CUI I RICERCATORI ITALIANI GUARDANO CON INTERESSE AL MONDO DELLA RICERCA NEGLI STATI UNITI - LA VARIABILE TRUMP

(2017-12-12)

Proseguendo nella disamina sui quattro Paesi scelti dei ricercatori italiani dove proseguire la loro formazione e spesso, rimanere per gli ulteriori sviluppi della ricerca e della carriera, gli Stati Uniti sono certamente il paese che attualmente ospita il maggior numero di ricercatori stranieri. Inoltre, gli USA ospitano il 26% degli studenti che seguono corsi di master o di dottorato in paesi diversi dalla propria patria, molti dei quali studiano in questo paese con la prospettiva di potervi poi svolgere un’attività di ricerca. " Ad intervenire sull'argomento il volume ‘Migrazioni e integrazioni nell’Italia di oggi’ curato da Corrado Bonifazi, direttore dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Cnr, presentato oggi a Roma.

Afferma Bonifazi "Questi ricercatori e studenti di master e di dottorato sono ammessi negli USA prevalentemente con visti a tempo determinato, anche se alcuni di loro sono successivamente autorizzati a risiedere ed a lavorare permanentemente. Infatti, negli Stati Uniti esistono cinque categorie di immigrant visa permanente, rilasciati a persone con speciali caratteristiche (ed ai loro familiari) ed a stranieri chiamati nominalmente da un datore di lavoro statunitense per occupare un posto per il quale non sia possibile trovare nel paese la qualificazione richiesta.

Questi visti sono però contingentati, la procedura per ottenerli è lunga (da due a quattro anni) e costosa (dai 10.000 ai 20.000 dollari) e spesso, arrivato alla fine, l’aspirante viene rifiutato perché il datore di lavoro non riesce a dimostrare
all’Ufficio Immigrazione che non vi sono statunitensi capaci e disponibili per il lavoro offerto all’immigrante. Al contrario, è stato fino ad ora facile, rapido ed economico per un lavoratore altamente qualificato ottenere un visto temporaneo di lavoro di durata fino a sei anni, i cosiddetti visti H-1B. Il numero di questi visti è cresciuto rapidamente negli ultimi anni, passando da 240.900 nel 1998 a 474.355 nel 2013 [USA Office of Immigration Statistics 2014].

  Oltre al visto H-1B, esistono in USA altre diciotto categorie di visti temporanei, che coprono una vasta casistica, comprendente anche particolari tipi di mobilità ad alta ed altissima qualificazione: ad esempio, i visti “A” sono i visti diplomatici, quelli “O1” sono destinati a persone “di straordinaria capacità”, quelli “P1” ad atleti ed artisti dello spettacolo, gli “R1” ai religiosi [Martin 2001].

Comunque, il visto più utilizzato dagli skilled migrants è sicuramente quello H-1B. La migrazione dei ricercatori italiani verso gli stati Uniti ha la sua radice nelle Leggi Razziali del 1938, che portarono in USA molti dei più illustri scienziati italiani dell’epoca. Questi studiosi hanno contribuito a creare scuole scientifiche di eccellenza, che poi hanno attratto in quella nazione numeri considerevoli di giovani ricercatori italiani i quali, dal dopoguerra fino ad oggi, hanno sempre
trovato difficoltà, maggiori o minori a seconda dei periodi, a trovare un lavoro adeguato in Patria [Brandi 2001]. La possibilità di svolgere ricerca di eccellenza, di insegnare in una lingua che in maggioranza conoscono, gli alti salari, la relativa facilità nell’ottenere almeno contratti a termine, la presenza di reti di colleghi italiani ben organizzate hanno costituito e continuano a costituire potenti fattori di attrazione per gli USA.

  Nell’ultimo decennio, questo flusso di laureati altamente qualificato è stato molto rilevante, anche se ha subito una flessione tra il 2007 ed il 2009 a causa della crisi economica: il numero di italiani ammessi in USA con i visti H-1B è stato in media di 6.150 persone all’anno

Molti altri immigrati altamente qualificati italiani, come il personale di imprese transnazionali che si trasferiscono in USA per lavoro (anche questi in numeri molto rilevanti), gli atleti e gli artisti professionisti, gli investitori, i religiosi, vengono ammessi negli Stati Uniti con tipi diversi di visto temporaneo.
Ogni anno, i nuovi immigrati si vanno poi a sommare a quanti sono arrivati negli anni precedenti, la quasi totalità dei quali sfrutta per intero i sei anni di permanenza negli Stati Uniti permessi dal visto H-1B ed in alcuni casi riescono anche ad ottenere un permesso di soggiorno permanente. Quindi, il numero di ricercatori italiani residenti in USA è andato costantemente aumentando.

La tradizionale politica statunitense tesa ad attrarre ricercatori di talento da tutto il mondo può però subire un forte rallentamento a seguito dell’orientamento contrario all’immigrazione della nuova Amministrazione. Il fatto che né il testo del primo né quello del secondo Immigration Ban relativo al blocco delle immigrazioni da alcuni paesi islamici facciano eccezione per gli scienziati ha suscitato una forte preoccupazione nell’ambiente accademico [Svrluga 2017].

Non a caso, sono già quasi 200 i ricercatori ai quali è stato negato l’accesso o il rientro negli Stati Uniti, anche solo per partecipare ad un congresso.
Una petizione contro l’Immigration Ban ha raccolto finora circa 43.000 firme di accademici, prevalentemente statunitensi (quasi 31.000), tra i quali 50 Premi Nobel e 82 vincitori di altri prestigiosi riconoscimenti accademici, come la Medaglia Fields (l’equivalente del Nobel per i matematici) o il Premio Pulitzer.

Questa petizione condanna il decreto presidenziale come discriminatorio, lesivo degli interessi degli Stati Uniti e degli interessi della comunità scientifica, inumano, inefficace e “non americano” .  Anche importanti organizzazioni scientifiche
internazionali, come l’International Astronomical Union, hanno espresso il loro totale dissenso contro il decreto10. Ben 43 società scientifiche europee internazionali e nazionali (tra le quali anche diverse associazioni inglesi) hanno sottoscritto, nel febbraio 2017, una lettera con la quale esprimevano una forte preoccupazione per gli ostacoli posti dalla nuova Amministrazione statunitense alla libera circolazione dei ricercatori ed in generale al libero scambio di idee nella comunità scientifica internazionale, chiedendo ai governi europei di fare pressione sugli USA per rimuovere questi ostacoli 11. Questa lettera ha già ricevuto l’adesione ufficiale di diversi governi europei, come quello svedese .

Naturalmente, questo blocco delle immigrazioni non riguarda gli italiani, i quali anzi ne potrebbero persino essere avvantaggiati per la riduzione, anche se limitata, della concorrenza. Tuttavia, nella comunità scientifica italiana va diffondendosi una considerevole diffidenza verso il lavoro negli Stati Uniti, derivante dalla preoccupazione per l’isolazionismo, che spesso sembra sfociare in xenofobia, da parte della nuova Amministrazione USA (e di quella considerevole parte dei cittadini di quella nazione che la ha votata). Inoltre, l’atteggiamento del governo statunitense nei riguardi di alcuni settori scientifici, per ora le scienze ambientali ed alcuni campi della biologia, fa temere che anche
la tradizionale libertà di ricerca delle istituzioni accademiche statunitensi sia a rischio.

Effettivamente, durante la sua campagna elettorale, Trump aveva dichiarato che l’uso del visto H1-B per assumere personale tecnico e scientifico straniero era un cheap labour programme, che toglieva lavoro agli americani per darlo a
stranieri che accettano bassi stipendi e che poi tornano in patria dove utilizzano le nuove conoscenze tecnologiche apprese in USA, concludendo quindi che andava fermato [Hunter 2017]. Ora, anche in questo come in altri settori, i fatti stanno seguendo alle dichiarazioni elettorali: anche se non c’è stato fino ad ora un decreto presidenziale sull’argomento, il 30 gennaio 2017, la Camera dei Rappresentanti statunitense ha approvato una riforma dei visti H1-B che porta da 60.000 a 130.000 dollari il salario minimo che un’impresa statunitense deve offrire ad uno straniero altamente qualificato per potere richiedere per lui questo tipo di visto; inoltre, il Dipartimento del Lavoro e quello della Sicurezza Nazionale sono incaricati di vigilare congiuntamente sul fatto che il datore di lavoro abbia effettivamente preventivamente verificato che non vi siano cittadini americani qualificati per l’attività prevista e che il candidato straniero abbia tutti i requisiti necessari, sia come competenze sia come affidabilità.

Questo provvedimento ha avuto una approvazione bipartisan ma dovrà comunque ancora essere ratificato dal Senato. Non è però escluso che, per affrettare i tempi, il Presidente emetta un decreto in questo senso, in modo da rendere operativa la normativa già dall’anno in corso [Dormido et al. 2017]. Bisogna notare che il provvedimento approvato dalla Camera non riduce il numero totale di visti H1-B che possono essere concessi ogni anno, come era stato inizialmente proposto, ma rende notevolmente più difficile ottenerli e, soprattutto, condizionando la loro concessione anche all’approvazione da parte del Dipartimento per la Sicurezza Nazionale, rende il processo notevolmente più aleatorio e meno trasparente. (12/12/2917-ITL/ITNET)

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