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PENSIONATI ITALIANI NEL MONDO - CORTE DEI CONTI : "STRETTI SE NON ESAURITI SPAZI ATTENUAZIONE EFFETTI CORRETTIVI LEGGE FORNERO A MENO DI RIPENSAMENTO COMPLESSIVO"

(2018-07-12)

  "Nei prossimi anni, il bilancio pubblico sarà fortemente condizionato dall’invecchiamento della popolazione e dalle modifiche della struttura demografica. E’ un fenomeno i cui tratti essenziali sono noti da tempo, ma che, stando a nuove stime prodotte nelle sedi preposte (Istat, RGS, Commissione europea), potrebbe avere effetti sulla spesa per la protezione sociale (previdenza, assistenza e sanità) più acuti di quanto finora atteso." E' l'incipit del rapporto della Corte dei Conti presentato oggi che  dedica ampio spazio a questi tre comparti, nella convinzione che nel prossimo futuro essi dovrebbero essere oggetto di politiche sempre più attente a tenere unitariamente conto di tale comune elemento problematico.

Afferma il Rapporto "Nel 2017 la spesa per prestazioni sociali in denaro è cresciuta dell’1,7 per cento.  L’incidenza sul prodotto è diminuita di un decimo, al 19,9 per cento. Sono cresciute dell’1,2 per cento le prestazioni pensionistiche, del 3,4 per cento le altre prestazioni sociali: si tratta di tendenze che segnano miglioramenti rispetto agli ultimi anni .

Secondo le proiezioni del Def 2018, per le pensioni si prefigura un aumento intorno al 2 per cento annuo nel 2018/19 e un’accelerazione vicina al 3 per cento annuo nel successivo biennio; per le altre prestazioni sociali in denaro una crescita del 3,9 per cento quest’anno, del 3,2 per cento nel 2019 e assai inferiore nel 2020-21 (1,4 e 0,7 per cento). Ma il settore previdenziale non può essere giudicato solo dagli andamenti di  breve termine. Nel complesso, le informazioni più recenti consegnano un quadro in chiaroscuro: chiaro con riferimento all’oggi e al futuro prossimo; meno nitido, e
soprattutto meno favorevole rispetto a quanto si fosse usi a ritenere, con riguardo al lungo periodo.

Notizie non tranquillizzanti si traggono dall’aggiornamento delle proiezioni di lungo termine effettuato lo scorso settembre dalla Ragioneria generale dello Stato e riproposte nel Def 2018. Nelle nuove proiezioni, il rapporto spesa per
pensioni/Pil aumenta, rispetto alle valutazioni del Def 2017, tra i 2 e i 2,5 punti percentuali intorno al 2040; l’effetto sul rapporto debito pubblico/Pil risulterebbe marcato: un aumento di circa 30 punti nel 2070. Le ragioni alla base del peggioramento sono da ascrivere alla minore crescita del Pil nel lungo periodo, a sua volta dovuta a fattori demografici e di produttività. D’altra parte, un dato è sufficiente a sottolineare le sfide che l’Italia dovrà vincere per guadagnare migliori prospettive di sviluppo: la prevista riduzione della popolazione, da qui al 2070, per circa 6,5 milioni di abitanti.

Nel Rapporto si sostiene che queste nuove indicazioni devono indurre ad una seria riflessione su quanto è stato fatto e quanto resta da fare. Nel settore pensionistico il nostro Paese ha realizzato negli ultimi lustri un aggiustamento rimarchevole. Come sottolineato nel Def 2017 e confermato nel Documento di quest’anno, la minore  incidenza della spesa in rapporto al Pil derivante dagli interventi di riforma a partire dal 2004 (lasciando, quindi, perfino da parte le radicali trasformazioni degli anni Novanta attraverso le leggi Amato e Dini) ammonta cumulativamente a 60 punti percentuali fino al 2050, un effetto che è da ascrivere in misura importante alla riforma introdotta con la legge 214/2011.

Certamente, la correzione effettuata con la legge Fornero è stata brusca; ma è la virulenza della crisi sovrana che l’ha imposta. Negli ultimi anni il legislatore si è trovato di fronte a due implicite sfide: da un lato, correggere gli effetti indesiderati della legge 214/2011, dall’altro, monitorare il processo di riforma con riguardo agli andamenti complessivi della spesa nel breve e nel lungo termine.

Alla prima sfida è stato risposto efficacemente (seppure in maniera talvolta disorganica) con correzioni al margine e senza rimettere in discussione un impianto frutto di molti  decenni di riforme. In una prima fase, ci si è concentrati sull’emanazione di norme di salvaguardia degli “esodati”, norme che, come la Corte ha anche osservato per tempo in
alcuni suoi referti, sono andate talvolta oltre gli obiettivi della protezione di quelle specifiche fasce e che, nel complesso, hanno ridimensionato i risparmi previsti dalla legge 214/2011. In una seconda fase, sono state messe a punto soluzioni ponte per particolari soggetti: lavoratori precoci ed altre categorie per le quali sono stati disegnate misure di anticipo pensionistico (APe sociale, APe volontaria ed aziendale, RITA).

La Corte ha in più occasioni sottolineato l’importanza di ben circoscrivere, in generale, i destinatari di misure di deroga. Queste ultime, se operate sulla base di criteri opportuni, come possono essere quelli della gravosità di certe attività lavorative, possono risultare anche sostenibili dal punto di vista della stretta logica previdenziale-attuariale. Tuttavia, resta fondamentale evitare l’eccessiva frammentazione del sistema.

Circa la seconda sfida, quella di un attento monitoraggio delle tendenze in atto e della predisposizione di eventuali interventi correttivi, l’insieme delle evidenze di cui oggi disponiamo, soprattutto di quelle in materia di proiezioni della spesa nel lungo periodo, spinge a ritenere che sono stretti, se non del tutto esauriti, gli spazi per ulteriori attenuazioni degli effetti correttivi della legge 214/2011, a meno di un ripensamento complessivo del sistema. Piuttosto, per quanto ovvio, giova rimarcare che, specie in campo previdenziale, le politiche pubbliche dell’oggi influiscono sulla spesa del domani.

  Sono dunque da auspicare azioni in grado di favorire un aumento del tasso di natalità; gestire in maniera equilibrata i flussi migratori; stimolare la partecipazione al mercato del lavoro; rafforzare la dotazione di infrastrutture materiali e immateriali. È, d’altra parte, essenziale preservare i miglioramenti di fondo che il sistema previdenziale ha realizzato in questi decenni. Ogni elemento di possibile flessibilizzazione dell’attuale assetto dovrebbe contemplare compensazioni in grado di salvaguardare la sostenibilità finanziaria di lungo periodo. È cruciale non creare debito pensionistico aggiuntivo. (12/07/2018-ITL/ITNET)

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