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IMMIGRAZIONE - DOSSIER IDOS/CONFRONTI :LIMITARE GLI INGRESSI ? E' UN FENOMENO PLANETARIO, EPOCALE ED IRREVERSIBILE CHE GRAVA IN GRAN MISURA SUI PAESI IN VIA DI SVILUPPO"

(2018-10-25)

  Secondo le Nazioni Unite, dei 7 miliardi e 600 milioni di persone che, a fine 2017, costituivano la popolazione mondiale, oltre 1 su 30 è un migrante (cioè una persona che si trova fuori del paese in cui è nato o è residente): si tratta di 258 milioni di individui, il 3,4% di tutti gli esseri umani del pianeta. In soli due anni questo numero è aumentato di 14 milioni (erano 244 milioni nel 2015); ed è destinato ancora a crescere, dal momento che la stessa ONU stima che nel 2050, quando gli abitanti della Terra saranno 9,8 miliardi (per un aumento medio di 70 milioni all’anno), i migranti saranno 469 milioni (211 milioni più
degli attuali). All’epoca l’Africa avrà raddoppiato la sua popolazione, che dagli 1,2 miliardi di oggi sarà arrivata a 2- 2,5 miliardi di persone, elevando ancor di più il suo già alto “potenziale migratorio”. A segnalare questi dati il Rapporto sull'Immigrazione edizione 2018 del Centro ricerche IDOS, in collaborazione con la rivista Confronti che presenta un quadro assai complesso di un fenomeno che coinvolge numerosi Paesi del mondo

Dei suddetti 258 milioni di migranti, l’81,6% è rappresentato da abitanti del Sud del mondo e la stragrande maggioranza (circa 230 milioni) è costituita da migranti cosiddetti “economici” e loro familiari. L’ineguale distribuzione dei beni e delle ricchezze a livello planetario resta, infatti, una delle principali concause delle migrazioni globali: basti pensare che ancora oggi oltre i due quinti (43%) dell’intera ricchezza del pianeta, equivalente a 128 migliaia di miliardi di dollari Usa (Pil mondiale), è appannaggio di quel sesto di popolazione della Terra (17%, pari a 1,2 miliardi di persone) che abita il Nord del mondo, mentre i rimanenti 6,3 miliardi di persone che popolano il Sud si spartiscono il restante 57% di risorse. Questa sperequazione diventa sempre più ampia e, considerata in termini di ricchezza media annua per abitante, manifesta rapporti ancora più estremizzati: ai 58mila dollari Usa di Pil procapite dell’America del Nord e ai 41mila dell’Ue si contrappongono gli appena 5mila dell’Africa (per una proporzione rispettivamente di 12 a 1 e 8 a 1), mentre ai 128mila dollari Usa del Qatar, il paese dal Pil procapite più elevato al mondo, fanno da contraltare gli appena 726 dollari della Repubblica Centrafricana, il paese dal reddito procapite più basso del pianeta.

Ma non sono solo le ragioni economiche a determinare le migrazioni. I cosiddetti migranti “forzati” sono saliti a 68 milioni nel 2017: 2,4 milioni in più rispetto all’anno precedente, quando erano già pressoché raddoppiati rispetto a 20 anni prima (se ne contavano 33,9 milioni nel 1997). Come sottolinea anche l’Internal Displacement Monitoring Centre, di questi profughi, la parte di gran lunga maggioritaria è rappresentata da sfollati interni (oltre 40 milioni), mentre quelli che emigrano in altri paesi sono 23 milioni, costituiti da rifugiati (la stragrande maggioranza) e richiedenti asilo. I restanti 5 milioni sono sfollati o rifugiati palestinesi, di cui si occupa un’apposita agenzia delle Nazioni Unite (l’Unrwa).

È da almeno 20 anni che, nel mondo, gli sfollati interni aumentano più dei profughi che lasciano il proprio paese, al punto chenegli ultimi anni il loro tasso di incremento è stato doppio rispetto a questi ultimi, ad attestare le crescenti difficoltà, anche per chi fugge da un immediato pericolo di morte, a uscire dai confini del proprio paese per cercare riparo.

Se, in generale, i primi paesi per numero di emigrati nel mondo sono l’India (con 16,6 milioni), il Messico (13 milioni), la Russia (10,6), la Cina (10) e il Bangladesh (7,5), tra i soli profughi che cercano salvezza fuori dal proprio paese 1 su 3 proviene dalla Siria (che conta oltreconfine 6,3 milioni di rifugiati riconosciuti, cui si aggiungono quasi 150mila richiedenti asilo, mentre altri 6,2 milioni sono gli sfollati interni), seguita da Afghanistan e Sud Sudan (ciascuno con circa 2,5 milioni di profughi espatriati), quindi da Myanmar e Somalia (ognuno con circa 1 milione).

D’altra parte, contrariamente a quanto comunemente si pensa, nel mondo l’accoglienza dei rifugiati grava in misura massiccia (85% dei casi) sui paesi in via di sviluppo: per il quarto anno consecutivo, a causa della guerra nella confinante Siria e degli accordi con l’Ue, è la Turchia a ospitarne il numero maggiore (3,5 milioni, cui si aggiungono 300mila richiedenti asilo), seguita dal Pakistan con 1,4 milioni (quasi tutti afghani), dall’Uganda con 1.350.000 (un numero cresciuto di 400mila unità in un anno e di cui 1 milione proviene dal Sud Sudan e 230mila dalla Repubblica Democratica del Congo), dal Libano con 1 milione (in maggioranza siriani), dall’Iran con 980mila (per lo più afghani).

Se poi si considera l’incidenza dei rifugiati sulla popolazione residente, il primato spetta al Libano (dove il rapporto è di 1 ogni
6 abitanti), seguito dalla Giordania (1 ogni 14), due paesi in cui il rapporto arriva rispettivamente a 1 ogni 4 e 1 ogni 3 se si considerano anche i rifugiati palestinesi sotto il mandato dell’Unrwa. La Turchia è terza, con 1 su 23.

In un simile contesto, il ricorrente motto “aiutiamoli a casa loro”, all’insegna del quale molti vorrebbero liquidare sbrigativa-
mente il “problema” dell’immigrazione chiudendo le frontiere, se per un verso richiama, in positivo, la necessità di sostenere
maggiormente la cooperazione internazionale, per altro verso date le dimensioni globali e il carattere strutturale e multidimensionale del fenomeno e delle sue cause – non avrebbe effetti apprezzabili, in termini di riduzione dei flussi migratori, nel breve-medio periodo, per cui richiederebbe in ogni caso l’affiancamento di politiche di gestione dei flussi e di integrazione dei migranti maggiormente coerenti e, soprattutto, armonizzate a livello internazionale, come la portata del fenomeno richiede." affermano i coautori del Rapporto. (25/10/2018-ITL/ITNET)

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