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DONNE - ASSOCIAZ. ADERENTI "GIUSTO MEZZO" SPOSANO PETIZIONE EUROPARL. VERDE GEESE E CHIEDONO AL GOVERNO ITALIANO 50% FONDI RECOVERY -PER POLITICHE INTEGRATE E INVESTIMENTI MOLTIPLICATORI

(2020-10-07)

  Le associazioni aderenti al "GIUSTOMEZZO" - alla quale aderiscono parlamentari, singoli soggetti, Minerva (Ateneo La Sapienza), associazioni e movimenti: dateci voce, Gamma Donna, le contemporanee, mamadimera, Prime Donne (Scuola di Politica di + Europa), European Women Alliance (EWA), Noi rete donne -  hanno inviato una lettera al Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte, e al Governo per chiedere Politiche integrate ed investimenti moltiplicatori per le donne italiane. 
L'iniziativa è partita dall'adesione alla piattaforma promossa dalla'Europarlamentare verde tedesca Alexandra Geese che ha lanciato una petizione  #halfofit - indirizzata alla Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen - per chiedere  metà dei fondi del Recovery fund  per le donne.

Sostengono nella lettera:
"La pandemia da Covid-19 sta finalmente affermando un cambio di paradigma politico e sociale: problemi affrontati parzialmente o non affrontati affatto come la denatalità, la disoccupazione femminile, la povertà educativa, il disinteresse per l’infanzia, la mancata conciliazione famiglia lavoro, l’insufficienza del welfare sociale sui servizi alla persona da zero anni alla terza età, hanno rivelato la loro urgenza e importanza occupando con forza il campo delle politiche per uno sviluppo globale e sostenibile, come è giusto che sia.

In questi mesi, da più parti, la voce delle donne – individuale e collettiva – si è via via fatta più forte e anche autorevole, contribuendo al dibattito con una visione lucida unita alla preoccupazione dei problemi amplificati dall’emergenza della pandemia, si è distinta anche per la qualità della proposta, per l’approccio divergente e insieme trasversale sui problemi sollevati, per lo sguardo ampio.
Dapprima è stata avanzata la richiesta di una rappresentanza adeguata, che corrisponda alle complessità della nostra società, adesso l’attenzione si è spostata nel merito dei problemi ma anche nel metodo necessario per affrontarli.

I problemi delle donne sono tanti, e non riguardano solo loro, ma lo sviluppo sano ed equo di tutti. Su alcune priorità si può raccogliere una convergenza generale d’interesse, di tutte in primis, e di tutti, società, politica, attori individuali o collettivi.

In particolare, su tre problemi “chiave”, osserviamo una nuova attenzione anche da parte del governo:

L’allargamento dell’offerta sulla cura della prima infanzia, dei bambini (nidi e tempo pieno) e della cura familiare in generale (anziani e non autosufficienti) anche con una spinta alla condivisione, pensando a un vincolo di spesa percentuale (sia sulla spesa ordinaria che su fondi UE o sul Recovery Fund) a tal fine per le Regioni e i Comuni “inadempienti”, che hanno percentuali minime di offerta di tali servizi.

Il rilancio dell’occupazione femminile (anche riprendendo ipotesi di supporto fiscale: in questo modo, si favorisce l’ingresso delle donne sul mercato del lavoro)

Il gender pay gap, perché la disparità salariale tra uomini e donne non è solo una questione femminile, ma allontana l’intero paese da un efficiente utilizzo delle risorse con le quali creare benessere per l’intera popolazione.

Quello che chiediamo e che, nell’affrontare questi, come altri problemi, è necessario agire con politiche strutturali e integrate, non si può farlo per compartimenti stagni o attraverso interventi parziali. Noi abbiamo portato l’esempio di tre ambiti su cui è urgente intervenire, ma vogliamo che siano trattati come le tre gambe dello stesso tavolo, in modo organico, puntellarne una senza le altre non lo fa stare in piedi. Chiediamo non bonus o finanziamenti una tantum bensì il rafforzamento e la realizzazione delle necessarie infrastrutture sociali per un’offerta piena e strutturata, disponibile a tutti e tutte, su tutto il territorio nazionale a prescindere dalla domanda.

Nello stesso tempo chiediamo interventi strutturali, radicali, non bonus nidi ma offerta diffusa su tutto il territorio nazionale, l’educazione dell’infanzia non è un servizio a domanda ma un diritto della persona, come recita anche la recente legislazione. Ed è un sopporto al lavoro delle donne. Anche in presenza di offerta di lavoro o di possesso di competenze spendibili e aggiornate (entrambi settori su cui comunque si deve agire) le donne segnalano in molte indagini una loro assenza dal lavoro per l’assenza di servizi a supporto dell’infanzia (nidi e tempo pieno) in troppe parti del territorio nazionale, o di supporto alla cura. In alcune aree del Paese molte donne non si pongono e non pongono nemmeno la domanda, tradizionalmente rassegnate. Questa domanda può e deve crearsi con l’offerta.

L’assenza di nidi, specialmente in aree con ritardi, finisce con l’agire negativamente sia sull’educazione dell’infanzia, sui rendimenti scolastici successivi, sia sui numeri dell’occupazione femminile e, in una prospettiva più ampia, sulla ricchezza sociale, culturale, civile non solo economia prodotta nel paese e, quindi, sul benessere di tutte e tutti: finisce di essere un problema personale per diventare un tema collettivo.

Ci uniamo a quanti e quante chiedono in queste settimane un’azione mirata e non generica sulla Scuola, che preveda le risorse che servono ma in un’ottica programmatica e lungimirante. Anche in questo caso: le risorse servano per azioni sistemiche e per provvedimenti efficaci. Il sistema d’istruzione, pilastro del vivere collettivo da infiniti di vista, deve assolvere tutte le sue funzioni, per farlo, anche questo caso, serve sì un’attenzione agli ambienti e agli arredi, ma serve uno sguardo rinnovato verso la qualità organizzativa, gli obiettivi didattici generali, che non confonda spinta innovatrice e con la mera fornitura di strumenti tecnologici, e tutto questo prevede il coinvolgimento, la cura, il benessere e le esigenze di chi la Scuola la vive. Studenti, docenti, dirigenti scolastici, personale e famiglie. Serve un discorso con la scuola non solo sulla scuola. A tutto questo si unisce la necessità di un ridisegno aggiornato del welfare del Paese.

Quello che si chiede da più parti è un riequilibrio dei compiti nelle attività di cura, coinvolgendo anche gli uomini. Per tutto questo non bastano le liste della spesa, ma servono visione e progetto accompagnate da politiche integrate, da provvedimenti plurisettoriali, da approcci trasversali: sulla scuola, sul lavoro, sulla fiscalità, sui diritti, sul welfare.

Per portarle avanti chiediamo convergenza ai ministri competenti, auspichiamo risorse strutturali e non bonus o interventi frammentati e discontinui, chiediamo il coinvolgimento di attori e attrici sociali per curarne l’ideazione e l’attuazione.

Chiediamo la parità qualificata di rappresentanza di genere nei livelli decisionali degli organismi pubblici che dovranno elaborare, promuovere e gestire politiche di spesa in ogni campo. Lo sguardo plurale e divergente delle donne che hanno competenze arricchisce e qualifica le decisioni e anche le attuazioni dei provvedimenti.

I vantaggi dell’azione strutturale su educazione e cura della prima e della infanzia, sulla scuola, su incentivazione del lavoro femminile, su superamento della discriminazione di genere relativa a funzioni, salario e riconoscimenti, sulla presenza delle donne nelle decisioni della policy pubblica, come dicono voci e studi noti, sarebbero tali da ripagare gli investimenti, in questo caso non riducibili a costi ma definibili “ investimenti moltiplicatori” cioè che si ripagano da soli e in poco tempo conducono a guadagni: sociali, economici, culturali, demografici.

Abbiamo la straordinaria opportunità di ridisegnare un Paese più equo, più giusto, più sano. Un Paese in cui uomini e donne possano contribuire alla prosperità comune. E futura." (07/10/2020- ITL/ITNET)

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