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CULTURA ITALIANA NEL MONDO - L'ARTE RIAPRE AL MUSEO E REAL BOSCO DI CAPODIMONTE A NAPOLI CON LA MOSTRA "L' OTTOCENTO E LA PITTURA DI STORIA": F.JACOVACCI "MICHELANGELO SUL LETTO DI MORTE DI VITTORIA COLONNA"

(2021-01-15)

Lunedì 18 gennaio 2021  riapre il Museo e Real Bosco di Capodimonte che offre fino al 22 gennaio un omaggio: un biglietto  a chi visita il Museo in compagnia, per tutta la settimana per "'ripartire insieme' dall'arte e dalla cultura e poter apprezzare le mostre in corso, tutte prorogate” afferma il direttore Sylvain Bellenger. Ed insieme al Museo sarà aperto dal lunedì al venerdì anche il Real Bosco.

Prorogate fino alla domenica successiva a Pasqua 2021 (11 aprile 2021) tutte le mostre in corso: Luca Giordano, dalla Natura alla Pittura, Napoli Napoli di lava, porcellana e musica, Santiago Calatrava. Nella luce di Napoli e Christiane Lohr, quest'ultima inserita nel ciclo di mostre focus Incontri sensibili.

Ma non solo lunedì 18 gennaio, inoltre, sarà inaugurata una nuova mostra L'Ottocento e la pittura di storia: Francesco Jacovacci a cura di Maria Tamajo Contarini per il ciclo L'Opera si racconta che porta all'attenzione del pubblico il dipinto di Francesco Jacovacci Michelangelo sul letto di morte di Vittoria Colonna (1880), restaurato grazie al sostegno dell’associazione Amici di Capodimonte  Ets.

L'Opera si racconta - L'Ottocento e la pittura di storia: Francesco Jacovacci sarà aperta fino all'11 aprile 2021

La mostra porta all'attenzione del pubblico il dipinto di Francesco Jacovacci Michelangelo sul letto di morte di Vittoria Colonna (1880),  è un esempio della migliore pittura di storia dell’Ottocento, in cui sono protagonisti le due grandi personalità della cultura e dell’arte del Cinquecento italiano: Vittoria Colonna e Michelangelo Buonarroti, legati da un profodo legame di amicizia.

Il progetto espositivo  dà voce a dipinti, sculture e oggetti d’arte presentati al pubblico in relazione con altre opere o documenti in grado di spiegarne il contesto. Il ciclo è stato inaugurato nella primavera 2017 con la Crocifissione di Antoon Van Dyck, poi è proseguito con la Parabola dei ciechi di Pieter Brueghel il Vecchio, con la Sacra Conversazione di Konrad Witz e, da ultimo, con la mostra Canova. Un restauro in mostra.

Il dipinto di Francesco Jacovacci mostra in primo piano il corpo senza vita della poetessa su cui addolorato si riversa Michelangelo. Vittoria è distesa sul letto di morte coperto da un drappo di velluto nero, dove sono poggiati numerosi rami di alloro, in omaggio alle sue qualità poetiche. Partecipano, in ombra sulla destra, figure in preghiera, probabilmente inviate per la veglia dalle Santucce, monache benedettine del monastero di Sant'Anna de’ Funari, che ospitarono Vittoria dal 1544 e da cui si allontanò solo negli ultimi giorni di vita. Al centro una figura maschile mantiene la mano dell’artista: tra le varie ipotesi, non si esclude che possa trattarsi del giovane amico e allievo Ascanio Condivi, custode delle annotazioni più intime dell’artista, tra cui lo struggente saluto all’amica. Michelangelo e Vittoria si conobbero nella Roma di Paolo III animata dalla volontà di riforma della chiesa cattolica e certamente dal 1538 strinsero un rapporto di costante scambio epistolare di cui restano alcune lettere e sonetti.

Importanti testimonianze coeve ci illustrano lo spessore del rapporto tra i due protagonisti della storia culturale del XVI secolo. Anche Giorgio Vasari riferisce della loro speciale amicizia.
Jacovacci riprende in particolare il brano del testo di Condivi in cui viene tracciato un intenso profilo della Colonna.

L’opera fu presentata all’Esposizione Nazionale di Torino del 1880, dove vinse uno dei quattro premi assegnati alla pittura di storia, consacrando l’affermazione del pittore nel genere. Potente è la dimensione teatrale dell’opera, rafforzata dalla grandezza della tela e dal gioco cromatico tra scuri e chiari interrotti solo dai grigi del capo di Michelangelo. La tela fu acquistata da Vittorio Emanuele III per arricchire la collezione di Capodimonte, dove era già il dipinto Bernini nel suo studio, proveniente dall’Esposizione nazionale di Napoli del 1877. Il dipinto fu notato da Giuseppe Verdiche lo riportò in una selezione di opere osservate con interesse all’esposizione torinese, che invia a Domenico Morelli.

Jacovacci conosce le temperie culturali che animarono la società degli anni successivi all’unità d’Italia. Se già Foscolo nella Storia del sonetto italiano (1816) scrive nel profilo della Colonna che Michelangelo “stavale accanto mentr’essa moriva”, nel corso del secolo il racconto delle glorie su cui poteva fondarsi il sapere della giovane nazione, favorì la produzione di biografie dei maggiori artisti, tra cui un posto di rilievo spettò a Michelangelo e alla sua musa Vittoria.
Tra verità storica e mitizzazione romantica, l’artista è studiato nei suoi interessi di uomo politico, umanista, poeta e architetto, espressione dei malesseri dell’uomo che sono superati solo con la forza di ideali e capacità creativa.

L'alloro, nel dipinto e nel Real Bosco di Capodimonte è una tipica pianta mediterranea dal portamento arbustivo,
estremamente pollonifera, talvolta la si può vedere come un piccolo albero e raramente supera i 10 metri d’altezza. Tutte le parti della pianta hanno proprietà aromatiche, le foglie sono sempreverdi e hanno una tipica consistenza coriacea delle piante mediterranee, la corteccia è grigia e liscia. Nel Real Bosco è assai diffusa spontaneamente perché si associa naturalmente alla foresta di lecci di cui è composto principalmente il sito reale di Capodimonte. La diffusione è aiutata dall’avifauna (soprattutto colombaccio, merlo e cinciallegra) ghiotta dei suoi semi e frutti e, quindi, responsabili
della diffusione nel sottobosco. Storicamente usata nei parchi e giardini come pianta ornamentale per la realizzazione di siepi compatte e cespugli decorativi, rientra insieme al bosso e al carpino tra le specie più utilizzate nell’ars topiaria, ovvero l’arte giardiniera di realizzare siepi geometriche e sculture verdi. Un autorevole esempio di tale uso è iscontrabile nel giardino tardobarocco di Capodimonte, nucleo originario del real sito per la ricostruzione delle prospettive dei viali
settecenteschi e delle nicchie vegetali che accolgono le sculture dell'emiciclo di Porta di Mezzo.

I greci anticamente chiamavano l’alloro Dafne in ricordo della Ninfa. Era considerata una pianta  nobile, veniva coltivata nei giardini imperiali e gli imperatori romani cingevano la testa di alloro durante i trionfi come se si trattasse di una corona. Usanza tramandata anche dopo ed estesa a condottieri, eroi, cantori, poeti come segno di gloria, potenza e vittoria, ma anche di immortalità purezza fisica e spirituale. Spesso rami e corone di alloro adornavano le tombe e i monumenti funebri di persone illustri e meritevoli. Non stupisce, quindi, trovarla nel dipinto di Jacovacci per adornare la salma di Vittoria Colonna.

Per meglio comprendere e contestualizzare l'opera di Francesco Jacovacci Michelangelo sul letto di morte di Vittoria Colonna, l'allestimento della mostra propone un dialogo in sala con altre opere. In primo luogo con un'altra opera dello stesso Jacovacci Michelangelo e Vittoria Colonna, un olio su tela del 1880 firmato “F. Jacovacci" in basso a destra, con dedica "alla sig. Emma Tutino Vertunni" proveniente da una collezione privata di Genova. Il piccolo dipinto rappresenta il
“gioiello della mostra”. Segnalato dal collezionista proprietario dell’opera in occasione della mostra “Depositi di Capodimonte. Storie ancora da scrivere” (dicembre 2018 – settembre 2019), attraverso la dedica a Emma Tutino Vertunni, sorella del pittore, conferma la stretta relazione tra i due artisti, entrambi interessati alla “pittura di storia” portata avanti dal pittore spagnolo Mariano Fortuny y Marsala.

Il dialogo in sala prosegue con i due autoritratti dei protagonisti: Michelangelo e Vittoria Colonna.  L'Autoritratto di Michelangelo è un'incisione del 1763 di Paolo Fidanza (Camerino 1731- 1785) con teste scelte di personaggi illustri in lettere e in armi cavate già dall’antico o dall’originale e dipinte nel vaticano da Raffaello d’Urbino e da altri valenti pittori, tomo IV, edizione Roma, presente nella collezione Firmian del Gabinetto Disegni e Stampe al Museo e Real Bosco di
Capodimonte. Dal 1757 al 1763, infatti, l’incisore e pittore marchigiano Paolo Fidanza, attivo prevalentemente a Roma, avviò la raccolta di ritratti ricavati “al naturale” dei principali artisti che avevano lavorato nella Città del Vaticano. I quattro volumi contengono 144 tavole con altrettanti ritratti e forniscono una interessante testimonianza sulle fisionomie degli artisti desunti dagli affreschi. La tavola con l’Autoritratto di Michelangelo documenta la fortuna di Michelangelo anche nel XVIII secolo.

Anche il Ritratto di Vittoria Colonna è custodito nel Gabinetto Disegni e Stampe del Museo e Real Bosco di Capodimonte. La firma in basso a destra "Gnaccarini inc." offre due possibili interpretazioni dell’autore dell’incisione. Esistono infatti due incisori entrambi attivi nella prima metà dell’Ottocento: Filippo Gnaccarini (Roma 1804-1875), figlio di una famiglia di artisti romani, accolto giovanissimo presso la bottega di Thorvaldsen e Giacomo Gnaccarini, documentato a Napoli nel 1838.

Arte, letteratura, poesia, teatro e dramma musicale, affrontano i temi del rapporto tra i due  personaggi e delle sfumature culturali e sentimentali che fondano il loro legame, particolarmente nel corso dell’Ottocento. In generale la pittura affronta il tema del compianto per la perdita di persone care che coinvolgono figure illustri. L’argomento interessò la pittura neoclassica che, nel recupero della cultura rinascimentale, raffigura la drammatica morte di Raffaello, tra questi J. H. Fussli, La morte di Raffaello (1800 ca, Londra, Victoria and Albert Museum) e P. N. Bergeret, Morte di Raffaello (1806, Oberlin, Allen Memorial Art Museum). Particolare riscontro nel dipinto di J.-A.-D. Ingres, Francesco I che raccoglie gli ultimi sospiri di Leonardo da Vinci (1818, Parigi, Petit-Palais) che utilizza la composizione orizzontale, che poi sarà adottata da Jacovacci e rafforza la dimensione teatrale della scena rappresentata.

La composizione sembra trarre origini antiche, sin dall’iconografia della Dormitio Virginis, di cui in alcune compare anche una figura inginocchiata piangente sul corpo della vergine distesa, come nel caso del dossale di Giotto già nella chiesa di Ognissanti a Firenze, ora alla Gemaldegalerie di Berlino, che aveva destato l’interesse di Michelangelo che amava osservare l’opera frequentemente, come ci racconta Vasari.

La letteratura sulla importante amicizia è fervida per tutto il XIX secolo, particolarmente nella seconda metà. Nel 1860, in un volume a stampa sulle Rime della Colonna, sono pubblicate per la prima volta le lettere che Michelangelo scrisse alla Colonna; nel 1877 viene edito a Parigi La Renaissance di Joseph Arthur de Gobineau, che dedica al dialogo tra i due, le conclusioni sui valori del secondo Rinascimento.

Inoltre, i festeggiamenti del 1875 per il IV centenario della nascita di Michelangelo celebrati a Firenze, possono aver fornito lo spunto per il soggetto. Il poeta fiorentino Emilio Frullani compose l’ottava Michelangelo Buonarroti al letto di morte di Vittoria Colonna; ancora più significativa la biografia Vita di Michelangelo Buonarroti di Aurelio Gotti, che dedica alla visita di Michelangelo all’amica defunta un intero capitolo. Nell’ incisione di presentazione, eseguita dal pittore Giacomo Martinetti il corpo di Vittoria è in posizione orizzontale e occupa quasi tutta la larghezza dell’incisione, come in Jacovacci.

Anche la produzione teatrale del XIX secolo si interessa a Michelangelo che assume i valori di personaggio etico ed esemplare forma morale. Solo in pochi casi Vittoria è presente nella scena, ma è frequentemente evocata nei dialoghi dell’artista come fonte di sostegno nei momenti difficili, come quello della sospensione dei lavori in Vaticano in cui la donna assume la fisionomia di una vera e propria guida spirituale, paragonata in alcuni drammi a Beatrice o Monnalisa.
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Vittoria Colonna (1490-1547), figlia di Fabrizio Colonna e Agnese di Montefeltro, dei duchi di Urbino, andò in sposa al marchese di Pescara Fernando Francesco d’Avalos nel 1509 con funzione celebrata nel Castello Aragonese di Ischia, dove si stabilì la coppia e dove la donna visse sino al 1536, anche dopo la morte del marito nel 1525.

Considerata tra le maggiori poetesse rinascimentali,  cantata da Ludovico Ariosto, compose i primi versi dedicati al marito, fonte di ispirazione anche per le poesie mature in forma di epistola. Intrattenne stretti contatti con i più importanti letterati del secolo come Pietro Bembo, Baldassarre Castiglione e l’Aretino. Frequentatrice degli ambienti
napoletani, vi ebbe l’opportunità di incontrare il grande mistico spagnolo Juan de Valdés, con cui certamente condivise i valori in direzione di rinnovamento antidogmatico cristiano.

Dal 1525 Vittoria alternò la vita sull’isola a soggiorni a Marino e a Roma, nel convento delle Clarisse annesso alla chiesa di San Silvestro in Capite. Rientrata stabilmente a Roma nel 1536, con l’intento di realizzare il difficile e inesaudito desiderio di un viaggio in Terra Santa, conobbe i sostenitori delle nuove dottrine cristiane, tra cui Bernardino Ochino, apprezzandone gli interessi per il libero misticismo e consolidò i rapporti con gli Spirituali riuniti a Viterbo al fianco del cardinale inglese Reginald Pole. Il cardinale divenne la sua guida spirituale e favorì incontri con il cardinale Morone, il protonotario apostolico Pietro Carnesecchi e con Giulia Gonzaga. Riferimento teologico fu il trattato “Il Beneficio di Cristo” opera del monaco Benedetto Fontanini, rivisto dall’umanista Marcantonio Flaminio, che a Napoli aveva frequentato Valdés e a Padova il cardinal Pole.

Nel clima convulso della Roma di Paolo III animata dalla volontà di riforma della chiesa cattolica, Vittoria incontra Michelangelo con cui certamente dal 1536 strinse un rapporto di costante scambio epistolare di cui restano alcune lettere e sonetti. Da questa corrispondenza traspare la “nuova religiosità” (De Tolnay) che coinvolge la produzione dell’artista dagli anni ’40, cruciali per l’ideazione del Giudizio Universale e della Cappella Paolina.

Vittoria Colonna muore a Roma il 25 febbraio 1547, assistita dalle Santucce, monache benedettine del monastero di S. Anna de’ Funari, che ospitarono Vittoria dal 1544 e da cui si allontanò solo negli ultimi giorni di vita per essere assistita dalla nipote Giulia Colonna e dal marito Giuliano Cesarini nel palazzo di famiglia a Torre Argentina dove si svolge la scena del dipinto. Lei ha 55 anni e Michelangelo 72 anni.
Importanti testimonianze coeve ci illustrano lo spessore del loro rapporto. Giorgio Vasari e Ascanio Condivi, biografi contemporanei di Michelangelo, riferiscono della speciale amicizia. Se il primo scrive: “Ha meritato ancora Michele Agnolo che la divina Marchesa di Pescara gli scriva, et opere faccia di lui cantando” (G. Vasari, Vite, ed.1991, p. 909), il secondo diffusamente racconta del profondo legame con Vittoria “del cui divino spirito era inamorato, essendo al incontro da lei amato sviceratamente” (A. Condivi, Vita di Michelagnolo Buonarroti, Roma, Antonio Blado Stampatore
Camerale 1553, p. 45). Interessanti osservazioni sono anche contenute nei Dialoghi del pittore Francisco de Hollanda che descrive le conversazioni svolte nel 1538 negli ambienti della chiesa di San Silvestro, dove Michelangelo si recava per ascoltare il commento alle epistole di S. Paolo del cardinal Politi. Qui i tre, insieme al grecista Lattanzio Tolomei, discorrevano di temi religiosi e filosofici.

Donna di grande fascino Vittoria intrattenne quella celebre sul primato della pittura avviata con profondità dalla Colonna, “con arte che non si può descrivere a parlare di molte cose ben scelte e giudiziose, dette cortesemente senza toccar soggetto di pittura, per accaparrarci il pittore”, che portò l’artista ad esprimere alcune dense osservazioni: “una buona pittura non è altra cosa se non una copia della perfezione di Dio” a cui la donna più avanti aggiunge: “Essa ci mostra la morte e quel che siamo in modo soave: essa ci rappresenta i tormenti e il pericolo dell'inferno, e per quanto è possibile la gloria e la pace dei beati; e l'immagine inconcepibile di Dio”. Affinità spirituali e letterarie che porteranno Michelangelo a scrivere a Vasari negli anni della maturità: “Messer Giorgio amico caro, voi direte ch’io sie vecchio e pazzo a vole’ far sonecti”.
Delle opere che Michelangelo realizzò per l’amica poetessa restano sicuri un ritratto a matita del 1525 (Londra, British Museum), due bozzetti per una Crocifissione (Londra, British Museum e Parigi, Louvre) che l’artista donò a Vittoria tra il 1540 e il 1545 per la cappella privata e il disegno a carboncino per La Pietà (Boston, Isabella Strewart Garden Museum) che si fa risalire al 1546. In questo disegno la scritta sul braccio lungo della croce, che vediamo in corrispondenza del capo della Vergine: “Non vi si pensa quanto sangue costa”, citazione da Dante (Paradiso XXIX, 91), riconduce al principio teologico della centralità della figura di Cristo e alle riflessioni con Vittoria sulla nuova religiosità.

Per la visita al museo basterà prenotare un ingresso utilizzando l'app Capodimonte liberamente scaricabile su Google store e App Store o attraverso il sito web di Coopculture, concessionario di biglietteria (la promozione è valida per il biglietto intero). (15/01/2021-ITL/ITNET)

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