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ITALIANI E ITALIANI ALL'ESTERO - LIBIA - SAINI FASANOTTI (ISPI): "A 10 ANNI DALLA FINE DI MUAMMAR GHEDDAFI... E' UN PAESE SFINITO DAI CONTINUI SCONTRI. MOLTI I DUBBI SULLE FUTURE ELEZIONI

(2021-10-20)

  "Il 20 ottobre 2011, esattamente dieci anni fa e dopo otto mesi di guerra civile, il leader della Libia Muammar Gheddafi veniva catturato nell’entroterra di Sirte, brutalmente torturato e poi ucciso. Con lui, due dei suoi figli: Mutassim e Saif, il primo ucciso mentre tentava la fuga, il secondo catturato e ultimamente riapparso dal nulla, dopo essere stato liberato dalle stesse milizie che lo hanno tenuto ostaggio per anni. " Lo ricorda Federica Saini Fasanotti, Senior Associate Fellow allo ISPI E THE BROOKINGS INSTITUTION, fa presente Saini Fasanotti.

"Le manifestazioni di gioia della popolazione, finalmente libera da una dittatura durata 42 anni, raggiunsero ogni piazza del Paese, inserendosi nell’ondata d’euforia diffusa che le Primavere Arabe stavano producendo nel Maghreb così come in Medio Oriente.
Quelle proteste, in realtà, si sarebbero ben presto rivelate uno tsunami distruttivo per la maggior parte delle nazioni in cui si erano manifestate: le società erano state rase al suolo, i perni su cui si reggevano scardinati e le fondamenta poco profonde non erano state in grado di reggere quell’urto violento.

La Libia non è stata risparmiata e il suo processo rivoluzionario si è trasformato poco a poco in un’implosione, in un fenomeno degenerativo che ha sgretolato il già debole tessuto sociale libico, parcellizzando ancora di più le realtà locali e acuendo conflittualità antiche di secoli e mai mutate.

I libici, desiderosi di autogovernarsi, non sono stati in grado di farlo – almeno sino ad ora – e poche sono le speranze nel breve periodo: la comunità internazionale sta con il fiato sospeso in attesa delle tanto desiderate elezioni presidenziali del 24 dicembre 2021 e delle successive parlamentari. Dal marzo scorso la Libia, grazie ai continui sforzi delle Nazioni Unite e degli inviati speciali succedutisi nel corso degli anni, ha finalmente un nuovo governo di transizione a Tripoli, nato dalla volontà di una rappresentanza popolare, ma esso è in chiara difficoltà e quotidianamente ostacolato, se non addirittura sfiduciato, da buona parte della Camera dei Rappresentanti del Parlamento che, dalle disastrose ultime elezioni del 2014, ha trovato sede a Tobruk, in Cirenaica.

Guardando indietro nel tempo e passando attraverso le continue agitazioni causate dalla lotta per il potere fra le milizie della capitale – ormai definite veri e propri cartelli, spesso criminali – fino ad arrivare alle più distruttive fasi di una guerra civile che, negli ultimi dieci anni, ha mutato forma ma non sostanza, ciò che emerge è una classe politica individualista e fondamentalmente immatura, che si è rivelata incapace non solo di traghettare il Paese dalla dittatura alla democrazia, ma anche di gestirne i bisogni quotidiani legati alla distribuzione dell’acqua così come a quella dell’energia elettrica o della benzina, sino ad arrivare alla raccolta dei rifiuti per le strade. Strade che, se prendiamo quelle di Tripoli, al momento appaiono vitali, con la gente assiepata nei bar di sapore italiano che discute mentre conclude affari, ma che in realtà nascondono il dramma di una nazione che per dieci anni non è stata governata e che appare più disillusa che mai. In tanti sono emigrati, sottraendo alla propria terra competenze preziose e le poche eccellenze che sono rimaste guardano al futuro con ansia.

In un’intervista che uscì su Panorama nel febbraio del 1997, Gheddafi disse che se fosse crollato il suo regime, il Mediterraneo sarebbe divenuto un “mare insicuro”, mentre le sponde africane avrebbero visto la crescita di movimenti islamisti e di caos. Gheddafi conosceva bene il suo popolo, le divisioni interne e le sue debolezze. Spesso aveva utilizzato l’odio antitaliano prodotto da un colonialismo ingiusto e “straccione” come collante per tenere insieme una nazione fragile ma che faceva gola a molti per le sue infinite risorse energetiche e la sua straordinaria posizione fra Mediterraneo e Nordafrica. Molti in Europa e in Occidente avevano sottovalutato, dando prova di una disarmante quanto pericolosa ignoranza, la reale portata della forza gheddafiana, non solo voltando le spalle al rais, quando ne aveva avuto bisogno, ma contribuendo alla sua violenta deposizione. Col tempo, e non solo grazie all’esperienza libica, si è capito che la democrazia occidentale non è un concetto facilmente esportabile e che esso può attecchire solo su terreni che sono pronti ad accoglierne il seme e a fare di tutto per farlo germogliare. Le tattiche utilizzate dalla comunità internazionale per raggiungere quella tanto ambita democrazia sono servite a poco, almeno sino ad oggi, e quei continui tentativi, rivelatisi sempre fallimentari, non hanno fatto che disilludere i libici.

Oggi - tira le somme Federica Saini Fasanotti - la Libia è un Paese stanco, sfinito dai continui scontri e con poco entusiasmo. Molti sono i dubbi sulle future elezioni, soprattutto perché non esiste un apparato statale di sicurezza che possa assicurare una morbida accettazione dei risultati elettorali. Sono in molti, infatti, a temere agitazioni alla chiusura dei seggi, qualora le elezioni si riescano a tenere. La Libia ha bisogno di tempo, ma né le Nazioni Unite né i leader occidentali sembrano averlo capito." (20/10/2021-ITL/ITNET)

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