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ITALIANI E ITALIANI ALL'ESTERO - GIOVANI - MONTI(LUISS) : IL DEBITO CRESCENTE ED UN ESERCITO DI NEET
(2020-07-22)
"È opinione diffusa che a pagare il prezzo più elevato della pandemia da Covid-19 siano state e tuttora siano le generazioni più avanti negli anni. Questo è certamente vero per l’ambito sanitario (WHO, 2020) dove a pagare con la vita è stata prevalentemente quella generazione definita “Silent”, cioè i nati prima del 1946, che “silenziosamente” hanno ricostruito l’economia mondiale dalle ceneri dalla Seconda guerra mondiale e ora, altrettanto “silenziosamente” e in solitudine, hanno terminato in isolamento il loro percorso di vita." Ad affermarlo il Prof. Luciano Monti, docente di Politica Economica Europea all'Università Luiss Guido Carli di Roma in un articolo di fine giugno.
"In queste settimane e nei mesi a venire,- sottolinea Monti - si dibatte sugli effetti asimmetrici dell’impatto della pandemia sul tessuto economico e sociale dei paesi. Effetti determinati da tanti fattori, come la rapidità e l’efficacia delle misure di contenimento alla diffusione del Virus, l’efficienza dei sistemi sanitari nazionali, gli ammortizzatori sociali a disposizione e soprattutto lo stato delle finanze pre-covid.
Come nella fase di emergenza sanitaria, anche nell’ambito economico e sociale la principale asimmetria potrebbe essere di natura intergenerazionale. Ovviamente è presto per trarre conclusioni in tal senso ma forse è già troppo tardi per dispiegare una efficace strategia di contenimento sulle fasce di età più colpite. La domanda che sorge dunque è: quali generazioni pagheranno il prezzo più alto nel breve e nel medio lungo periodo?
Una prima risposta potrebbe essere cercata analizzando gli accadimenti che hanno seguito la crisi finanziaria del 2007-2008. Limitandosi al nostro paese, l’Indice di divario generazionale annualmente elaborato dalla Fondazione Bruno Visentini rilevando l’intensità delle barriere che ostacolano il regolare progresso di un giovane verso la vita da adulto e l’autonomia economica, mostra come, fatto 100 il 2004, lo stesso è rimasto sostanzialmente stabile sino agli inizi del 2007, per peggiorare sensibilmente sia a valle della crisi finanziaria citata (+7%), che nel 2011 (+12%). Gap che negli anni successivi e sino ad oggi non è stato più recuperato mantenendo l’indicatore attorno a 130 punti. Un freno tirato dunque per lo sviluppo delle nuove generazioni.
A denunciare che anche per Covid-19, coloro che rischiano di pagare il conto economico e sociale più salato saranno i giovani, OCSE ha pubblicato l’11 giugno scorso lo studio Youth and Covid-19: Response, Recovery and Resilience.
L’analisi dei ricercatori prende spunto da una survey che ha coinvolto 90 organizzazioni giovanili attive in 48 paesi, tra il 7 e il 20 aprile scorsi, e che ha messo a fuoco, da un lato la grande asimmetria generazionale dell’impatto economico e sociale della pandemia, e dall’altro le differenti strategie e azioni introdotte dai paesi colpiti.
Sul primo punto, i risultati dell’analisi mostrano come i principali ambiti nei quali si può cogliere questa asimmetria sono sostanzialmente tre: l’interruzione e l’alterazione del processo educativo, la frammentazione e compressione del mercato del lavoro, il reddito.
Nel primo ambito, quello educativo, si segnala l’emergere di diseguaglianze tra gli studenti che possono contare su un’efficiente strumentazione informatica e un ambiente domestico confacente allo studio e all’apprendimento e coloro che invece non possono disporne. Inoltre, un altro recentissimo studio OCSE denuncia come la perdita di un anno scolastico determini un deprezzamento del capitale umano pari al 7-10% del reddito atteso nel corso della vita produttiva degli studenti colpiti. A questo vanno aggiunti effetti sulla psiche e la condizione mentale dei giovani e dei giovanissimi.
Nel secondo ambito, quello lavorativo, i ricercatori rimarcano come la maggioranza dell’occupazione giovanile sia concentrata nei settori maggiormente colpiti dalle misure restrittive, come il settore dell’accoglienza, quello alberghiero e la GIG Economy. Per fragilità contrattuale e contrazione dell’offerta di lavoro saranno i più giovani lavoratori a farne le spese.
Nel terzo ambito, l’interruzione di percorsi professionalizzanti, avrà ripercussioni sulla futura carriera lavorative e sulla progressione verso l’indipendenza economica e l’accesso alla propria abitazione.
Relativamente invece alle strategie poste in essere dai governi per ridurre e compensare l’impatto asimmetrico sulle generazioni più giovani, emergono paesi che hanno subito deciso di porre l’attenzione sulla dinamica generazionale, approntando una specifica strategia di intervento per la ripresa (Nuova Zelanda), la mobilitazione giovanile di giovani lavoratori e giovani volontari (Francia e Canada), avvio di rilevazioni statistiche per coorti di età (Austria, Francia, Germania e Nuova Zelanda), analisi di impatto generazionale delle misure a sostegno della ripresa (Svizzera e Nuova Zelanda) o la loro destinazione a determinate fasce di età (Slovacchia, Corea).
L’italia è menzionata tra i paesi virtuosi solo allorquando si comparano le iniziative per valutare gli impatti di lungo termine delle azioni da introdurre, con evidente riferimento all’incarico conferito dal Governo alla commissione indipendente presieduta da Vittorio Colao.
Un Paese vecchio che ha ancora un vecchio modo di pensare non ha purtroppo futuro e preclude quello delle generazioni più giovani. Non voler porre la lente sull’impatto asimmetrico intergenerazionale di Covid-19, come suggerisce OCSE, è sorprendente per l’Italia, che si presentava alla sfida pandemica già sfibrato da un costante calo della competitività del sistema paese, un debito pubblico crescente e un esercito di NEET. (22/07/2020-ITLITNET)
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