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CULTURA ITALIANA NEL MONDO - AL MUSEO DEL NOVECENTO DI MILANO LA PRIMA MONOGRAFICA PUBBLICA DEDICATA AL CONTESTO STORICO SOCIALE E POLITICO CON CUI CARLA ACCARDI SI E' RAPPORTATA.

(2021-04-26)

  Con la riapertura dei Musei delle Regioni in zone gialle, riapre il Museo del Novecento e la mostra "Carla Accardi. Contesti, la prima mostra monografica dedicata da un’istituzione pubblica all'artista trapanese (1924-2014), a sei anni dalla sua scomparsa.

L'iniziativa fa parte del palinsesto “I talenti delle donne”, promosso e coordinato dall’Assessorato alla Cultura, che propone iniziative multidisciplinari – dalle arti visive alle varie forme di spettacolo dal vivo, dalle lettere ai media, dalla moda alle scienze – dedicate alle donne protagoniste nelle arti e nel pensiero creativo.
Curata da Maria Grazia Messina e Anna Maria Montaldo con Giorgia Gastaldon, la mostra si inserisce con
coerenza in una linea di ricerca che distingue il recente operato del Museo: la riproposta e la rilettura di personalità
femminili attestate del Novecento italiano, quali Margherita Sarfatti, Giosetta Fioroni e Adriana Bisi Fabbri, o la ricontestualizzazione storico-artistica di figure finora disattese ma di primaria importanza nella ricerca intermediale
della seconda metà del Novecento, come Marinella Pirelli, Amalia del Ponte, Renata Boero.

Carla Accardi. Contesti presenta il percorso dell’artista trapanese in tutte le sue sfaccettature, proponendone una lettura nuova, che si differenzia da quella tematica delle più recenti monografiche, centrate principalmente sul suo repertorio di pittura segnico-cromatica.
Il progetto di mostra, attraverso quasi 70 opere e insieme a fotografie e documenti dell’Archivio Accardi Sanfilippo, riporta infatti al centro dell’indagine espositiva il panorama e il contesto storico, sociale e politico con cui l’artista si è rapportata, ne rivela il vivace orizzonte visivo costellato di confronti linguistici, intrecciati spesso anche con artisti più giovani, restituendo il ritratto di una donna coraggiosa e sperimentatrice che, in un momento in cui le istanze della pittura erano di competenza pressoché maschile, è diventata la prima astrattista italiana riconosciuta internazionalmente.

Il percorso della mostra è organizzato attraverso una serie di sale, cronologiche e tematiche, le cui opere – dipinti,
plastiche (sicofoil) e installazioni – sono state individuate principalmente tra quelle incluse nelle prestigiose
e fondamentali rassegne, mostre personali ed esposizioni collettive, italiane e internazionali, cui prese parte Carla
Accardi fin dai suoi primissimi esordi.

La retrospettiva si apre così con una sala corale nella quale – grazie a importanti prestiti di opere di Piero Dorazio, Achille Perilli, Pietro Consagra, Giulio Turcato e Antonio Sanfilippo – si testimonia la scelta astrattista del gruppo Forma, seguita da un approfondimento sulla svolta di Accardi del 1953, quando avviò la pittura in bianco su nero e la serie dei Negativi. La terza sala racconta del sodalizio con il critico internazionale Michel Tapié, che raggiunse il suo culmine con le Integrazioni e i Settori, anticipazioni di un ritorno al colore, ottico e vibratile, vero protagonista delle opere segniche degli anni sessanta.
Grande spazio è riservato poi alle ricerche di Accardi sui nuovi materiali – plastiche e colori fluorescenti – e sullo sconfinamento spaziale, con installazioni e ambienti, ma anche con i lavori più concettuali legati inevitabilmente alla sua militanza femminista.

Si giunge così alle ricerche degli anni ottanta, con il ritorno alla pittura, a materiali e tecniche meno artificiali, a una
rivisitazione del proprio precedente repertorio segnico e dei proprio riferimenti storici, Matisse in primis, elementi
che si prolungano nella ricerca di Accardi fino agli anni novanta e duemila, testimoniati nelle ultime due sale di questa ricca retrospettiva.

La mostra dedicata a Carla Accardi, significativamente intitolata Contesti, si iscrive proprio in questo ambito. Pur
trattandosi della prima retrospettiva antologica in un’istituzione pubblica dopo la scomparsa dell’artista, non intende
avere pretese di esaustività, data anche la vastissima produzione di Accardi, bensì mira, attraverso la ricostruzione
delle tappe creative salienti dell’artista, a ricostruirne l’esperienza, prendendo certamente in considerazione la componente segnica e coloristica più volte visitata dalla critica, ma analizzando soprattutto il lavoro di Accardi attraverso
l’analisi degli ambiti in cui ha operato. Nella mostra dapprima si prende in considerazione la fitta e complessa rete di relazioni, conoscenze e fascinazioni che contribuirono alla definizione di un immaginario determinato e profondamente
coerente per poi interpretare la critica, come evidenziato nel catalogo, a tutti gli effetti come un riferimento di contesto: “Sono preoccupata dal rapporto fra il significato del mio lavoro e il mio tempo”, scrive eloquentemente Carla Accardi nel 1980, volgendo uno sguardo indietro verso la sua produzione e interrogandosi con coscienza sull’evoluzione che la sua arte avrebbe seguito da lì in poi.

Non solo l’universo di frequentazioni e spunti ideativi appaiono in questo senso interessanti, ma anche l’individuazione
e l’analisi dei contesti espositivi di maggior rilievo nei quali Carla Accardi ha mostrato le proprie opere. La scelta dei lavori rende anche conto di un approfondimento circa le mostre fondamentali nel percorso dell’artista, dalle personali
romane degli anni cinquanta, a quelle parigine, alla Biennale del 1964 fino alle prime retrospettive, a partire da quella di Ravenna del 1983.

Partendo da un ‘esordio corale’, la prima sala esplora la formazione della giovane artista negli anni del dibattito tra
Astrattisti e Realisti, e alla luce delle relazioni instaurate con il compagno Antonio Sanfilippo, ma anche con Consagra,
Turcato, Dorazio, Perilli, Guerrini e Attardi.
Sono gli artisti che il 15 marzo 1947 firmano il Manifesto del gruppo Forma, apparso sull’unico numero della rivista “Forma 1” e con i quali Carla Accardi condivide le prime esperienze espositive di spessore. Tra queste, la mostra del 1948 Arte astratta in Italia alla Galleria di Roma, allestita da Forma e dai milanesi del futuro Movimento Arte Concreta nella quale è esposto il piccolo e prezioso dipinto della collezione del Museo del Novecento, e la personale all’Age d’or di Roma nell’inverno 1950, preceduta di qualche giorno dalla collettiva Arte astratta e concreta, una tra le numerose esposizioni che la impegneranno almeno fino ai primi anni cinquanta.

Il tema dei Negativi è approfondito nella seconda sezione del percorso dal 1953, anno di rallentamento a livello espositivo ma densissimo di studi, in cui Accardi elabora un nuovo linguaggio, fatto di segni bianchi su fondo nero e certamente influenzato dalla conoscenza, nei viaggi a Parigi e durante le Biennali di Venezia, di artisti come Hartung, Mathieu e Tobey.

Notata dal critico francese Michel Tapié nel corso di una personale all’Asterisco a Roma nel 1954, dove espone Grigio con colori, viene da questi inserita nel gruppo dell’informel o art autre, con gli americani Pollock e Tobey,i francesi Mathieu, Riopelle, Wols e, fra il 1955 e il 1956, partecipa a importanti collettive a Parigi.

Alla fine degli anni cinquanta, nelle serie delle Integrazioni o Labirinti e dei Settori la rete di concatenazioni segniche
si infittisce e prolifera in opere di grandi dimensioni, che si rifanno anche agli immaginari visivi propri della cartellonistica
pubblicitaria e dei fotogrammi cinematografici. Tapié presenta Accardi in importanti personali a Milano e a Torino. Anche altri critici e galleristi si interessano al suo lavoro, tra questi Luciano Pistoi, Gian Tommaso Liverani e Pierre Restany che ne introduce la personale alla Galleria La Salita di Roma nel 1959 parlando di strutture ripetitive, dotate di un simbolismo millenario, magico e rituale. Nel successivo percorso della mostra si rende conto di questa ricerca, con opere fondamentali, quali Grande integrazione e Integrazione viola blu, esposte rispettivamente nel 1957 a Milano presso la Galleria dell’Ariete e nella già citata mostra del 1959 alla Salita.

Nel 1964, la sala personale alla Biennale di Venezia mostra una radicale virata verso un accentuato cromatismo che
sembra rielaborare, in maniera coerente con la precedente ricerca, le suggestioni derivanti dall’ambiente della Galleria
Notizie e dall’amicizia con la critica Carla Lonzi: da Mark Tobey a Enrico Castellani agli americani Kenneth Noland e Frank Stella. I segni-colore si alleggeriscono, diventando ideogrammi bicolori in sequenza, esaltano la qualità luministica
della superficie pittorica, in relazione non tanto con le coeve ricerche optical, quanto con precedenti pittorici più antichi, come testimonia la serie di gouache dedicata a Matisse.

La sezione Colori presenta importanti capolavori, tra cui Striscia votiva, esposta nel 1964 alla Biennale, nel 1965 a Parigi e successivamente al PAC di Milano nel 1983.
Proseguendo fino alle soglie degli anni settanta si rileva, pur nella generale coerenza del lavoro di Accardi, uno scarto
materico e di linguaggio che si collega da un lato a una ricerca sull’‘antipittura’ di matrice concettuale, dall’altro alla tematica di genere e alla sua militanza femminista nel gruppo Rivolta, fondato a Roma nel 1970 con Carla Lonzi ed Elvira  Banotti.

A partire dal 1965 Accardi adotta vernici fluorescenti che stende su sicofoil, un materiale plastico trasparente
allora venduto a rotoli. Il segno, ripetuto su diversi fogli sovrapposti, diventa un tutt’uno con il supporto, che a sua
volta si fa veicolo di trasmissione di luce, sottolineando la tensione verso una pittura ‘espansa’. In linea con le ricerche
di molti artisti coevi, tra cui Paolini e Fabro, la meditazione sullo spazio prende la forma di opere ambientali e praticabili.
La Tenda del 1965-66 è in tal senso un’opera fondamentale, che da una parte testimonia una pionieristica meditazione
sul tema dello ‘spettatore’ attivante, dall’altra si riferisce, come esplicitato dall’artista, a una fenomenologia del femmi- nile nella sua ambiguità fra la trasparenza del rifugio e un materiale da società dei consumi. Grandi lavori aggettanti dalla parete, come A Gent abbiamo aperto una finestra del 1971, così come i celebri Coni e Cilindri, testimoniano
l’apertura a una dimensione sempre più immateriale e immersiva. Allo stesso tempo la gamma cromatica si semplifica,
andando decisamente verso la monocromia e inserendo una vasta gamma di grigi e bruni e di preziosi argenti e ori.
La fase finale e più compiuta della ricerca concettuale di Carla Accardi è testimoniata dalla sperimentazione, a metà
degli anni settanta, che mira a sovvertire il concetto stesso di pittura andando a ricercarne le coordinate essenziali.

Nella serie dei Trasparenti il colore scompare e il supporto è costituito dalla giustapposizione di bande di sicofoil trasparente intrecciate. Mentre la superficie è trasparente, o addirittura assente, il telaio è spesso dipinto, diventando a
sua volta non semplice cornice ma elemento di installazioni complesse a parete e a terra. Testimonianze eloquenti di
questo periodo creativo sono le opere Aethos Prometheus del 1979, costituita da ventiquattro segmenti di telai colorati
e disposti sul pavimento a forma di stella, e Dimenticare. Mettersi in salvo del 1978, formata da otto telai triangolari
sovrapposti in legno dipinto e sicofoil, esposta nel 1978 a Milano presso la Galleria Betti e alla Biennale del 1978.

Il 1977 segna l’allontanamento di Carla Accardi dalla militanza femminista per dedicarsi al solo lavoro artistico, seguito
di lì a poco dall’esaurirsi della temperie concettuale in favore di un ritorno alla pittura. Nel 1981, alla Galleria Peccolo
di Livorno, l’artista espone la serie di gouache già dedicate nel 1964 a Matisse. È proprio la ricerca ‘matissiana’, veicolata da grandi tele con ricercate e morbide campiture di colore, a connotare la produzione degli anni ottanta,
certamente in assonanza con il coevo movimento della Transavanguardia, ma coerente prima di tutto con i tratti costitutivi della pittura di Accardi fino dagli esordi: tratti decisi, ricerca cromatico-luministica, interesse per le culture figurative dell’Oriente. Il successo dell’artista è testimoniato dalla prima mostra retrospettiva a Ravenna, cui ne succedono altre in Italia e all’estero.

Le Geometrie analitiche degli anni novanta sono esposte nell’ultima sala del percorso espositivo. Nei dipinti di questi anni i segni, iscritti in figure geometriche, tornano a manifestare tangenze con l’astrazione concettuale, e in particolare con Sol Lewitt: l’artista sembra arretrare e i lavori portano come titolo la sola denominazione dei contrasti cromatici binari o ternari di cui sono costituiti. Questa pittura ‘fredda’ e intellettualistica sembra contraddetta dai dipinti realizzati all’inizio del XXI secolo, in cui ritornano titoli lirici ed evocativi tratti da letture poetiche.

Chiude la mostra Carla Accardi. Contesti il monumentale trittico Pieno giorno (Veduta), presentato, assieme a sette
grandi dittici, nella sala personale di Accardi alla Biennale di Venezia del 1988, su invito del critico Giovanni Carandente,
all’interno della sezione Nuovi sviluppi astratti di Burri, Accardi, Dorazio, Santomaso, una suggestiva e preziosa
veduta dell’Isola Tiberina, capolavoro che sembra riassumere le coordinate essenziali di tutta la pittura di Accardi,
rigorosa e lirica al contempo.

La volontà di guardare al lavoro di Carla Accardi attraverso diverse chiavi di lettura si esplicita nel catalogo, che si
pone certamente come testimonianza della mostra, ma ancor più come strumento di studio storico-critico. Il contributo
di Maria Grazia Messina approfondisce accuratamente la dimensione corale che caratterizza il lavoro dell’artista
dagli esordi agli anni sessanta, sottolineandone gli spunti creativi, le fascinazioni e andando in questo modo a riflettere
sul suo ruolo nel sistema dell’arte del secondo Novecento. Il testo di Giorgia Gastaldon studia invece la relazione
tra la visione dell’artista sul proprio lavoro e la critica istituzionale, mentre Francesco Tedeschi analizza puntualmente
l’opera A Gent abbiamo aperto una finestra, dove il concetto di ‘finestra’ funge da soggetto e oggetto di interpretazione
della pittura di Accardi negli anni settanta. Il contributo di Laura Iamurri rappresenta un approfondimento sulla
dimensione socio-politica e femminile del lavoro dell’artista attraverso la lettura delle opere ‘percorribili’.

Infine, una intervista di Maria Grazia Messina a Francesco Impellizzeri, assistente dell’artista dalla metà degli anni ottanta, restituisce un racconto emotivo, fornendo allo stesso tempo dettagli sulle tecniche e sui materiali utilizzati dall’Accardi, sulla sua pratica artistica, e sulla meticolosità con cui in prima persona seguiva le proprie mostre, cercando di creare un coinvolgente racconto visivo, che diventava a sua volta opera d’arte. Carla Accardi. Contesti è quindi un viaggio cronologicamente connotato, ma che si muove continuamente nello spazio, ricostruendo la figura di un’artista e di una donna complessa e militante.

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Carla Accardi nasce a Trapani il 9 ottobre 1924. Frequenta l’Accademia di Belle Arti di Palermo, dove nel 1944 conosce
Antonio Sanfilippo. Nel 1946, dopo aver frequentato per alcuni mesi l’Accademia di Belle Arti a Firenze, si trasferisce insieme a Sanfilippo a Roma, dove conosce Pietro Consagra e Giulio Turcato. Alla fine dell’anno compie un importante viaggio di studio a Parigi con Sanfilippo, Attardi, Consagra, Maugeri, Turcato.

Nel 1947 realizza il suo primo dipinto astratto intitolato Scomposizione. Nel marzo dello stesso anno dà vita al gruppo
Forma (“Forma 1” s’intitola il primo e unico numero della rivista-manifesto, uscita il 15 aprile) con Attardi, Consagra,
Dorazio, Guerrini, Perilli, Sanfilippo, Turcato. Nel 1948 prende parte per la prima volta alla Biennale di Venezia, alla mostra Arte astratta in Italia alla Galleria di Roma ed espone con Sanfilippo e Attardi nella sede romana dell’Art Club. L’anno successivo sposa Antonio Sanfilippo.

Nel 1950 ha le prime personali, alla Galleria Numero di Firenze e alla Galleria Age d’or di Roma, dove è presentata da
Turcato. Tra la fine degli anni quaranta e l’inizio dei cinquanta Accardi partecipa alle principali rassegne del giovane
astrattismo italiano promosse dall’Art Club, fra le quali la mostra Arte d’Oggi a Palazzo Strozzi di Firenze e Arte astratta
e concreta in Italia alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
Il suo lavoro si sviluppa fino al 1952 nell’ambito della pittura concretista, conosciuta e assimilata in particolare a Parigi.

Nelle opere del 1953 si nota un cambiamento nella ricerca fondata sulla poetica del segno, che insegue ancora
un’idea di ‘figura’, immaginata in colori per lo più raccolti sui toni delle terre come sono, ad esempio, gli Animali immaginari.
Negli anni a seguire il segno si sviluppa in insiemi di segmenti articolati nella secca alternanza del bianco e del nero, ai quali s’aggiungerà spesso il rosso.

Nel 1954 incontra Michel Tapié, la conoscenza e l’appoggio del quale segnano un momento di particolare importanza
per l’artista. Il critico francese la inserisce infatti tra i protagonisti dell’art autre, e affianca il suo lavoro a quello di Alberto Burri, Giuseppe Capogrossi e Lucio Fontana in mostre come Individualités d’aujourd’hui (1955) o Structures
en devenir (1956) e in altre da lui curate dal 1954 al 1959.

Tapié presenta, inoltre, le personali dell’artista alla Galleria Stadler a Parigi nel 1956 e alla Galleria Notizie di Torino nel 1959. Nel luglio del 1957 partecipa alla mostra International alla Rome New York Art Foundation sull’isola Tiberina a Roma. Nel dicembre 1959 una personale alla Galleria La Salita di Roma è accompagnata da un testo di Pierre Restany. Altre personali di rilievo, nello scorcio del decennio, si tengono ancora a La Salita e alla Notizie di Torino, e inoltre alla Galleria dell’Ariete di Milano e alla Galleria L’Entracte di Losanna: con esse Accardi conferma la sua maturità e il ruolo preminente che ormai gioca all’interno della situazione internazionale della pittura segnica.

Il successivo decennio si apre con notevoli cambiamenti stilistici. Riappare il colore con toni molto più vivi e variati,
mentre il segno cambia struttura. Le prime opere fortemente cromatiche vengono esposte alla Parma Gallery di New
York e alla New Vision Center Gallery di Londra con una presentazione di Lionello Venturi, nel 1961.

Nel 1964 è invitata con una sala personale alla XXXII Biennale di Venezia. In questi anni nascono i primi lavori realizzati
su sicofoil, un materiale plastico trasparente usato per la prima volta in campo artistico. Nascono così anche opere come la Tenda (1965-66), Ambiente Arancio (1966-68) e Triplice tenda (1969-71).

Il decennio successivo è dedicato a continue ricerche sul sicofoil. Il colore diventa meno forte, a volte prevalgono i colori pastello (rosa chiarissimo, bianco velato, grigio). A metà degli anni settanta inizia a utilizzare il sicofoil completamente
trasparente, senza l’uso del colore, in intrecci che privilegiano il supporto e rendono il telaio protagonista (in una ricercata “ostensione del supporto e del telaio”, dirà, che ha sapore certamente concettuale). Nel 1976 è presente
con la Tenda alla XXXVII Biennale di Venezia nella sezione Arte Ambiente.
Negli anni ottanta Accardi ritorna alla tela, che spesso viene lasciata grezza, animata da segni colorati diventati ora
molto grandi, all’interno dei quali il colore può essere anche uno solo.

Numerosissime sono d’ora in avanti le mostre personali. Nel 1983, ad esempio, espone alla Pinacoteca Comunale di
Ravenna e al Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano;mentre nel 1988 è nuovamente invitata con una sala personale
alla XLIII Biennale di Venezia, in cui espone opere di grandi dimensioni, mentre l’anno successivo due suoi lavori storici la rappresentano alla Royal Academy of Arts di Londra nella mostra Italian Art in the 20th Century.

Nel 1994 un’ampia retrospettiva si apre al Castello di Rivoli; nello stesso anno partecipa alla rassegna The Italian Metamorphosis 1943-1968 presso il Guggenheim Museum di New York. Fra le molte personali e retrospettive, s’inaugurano due grandi mostre antologiche a Parigi, al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris (2002), e a Roma, al
MACRO (2004).

Nel 2006 le opere di Accardi e Fontana sono accostate in una mostra alla Sperone Westwater Gallery di New York.

Nel 2011 si apre alla Fondazione Puglisi di Catania Carla Accardi. Segno e trasparenza, curata da Luca Massimo
Barbero: in questa occasione, nei due piani di Palazzo Valle sono esposti importanti lavori storici. Escono nel frattempo,
a cura di Germano Celant, i due volumi del catalogo ragionato della sua opera, editi rispettivamente da Charta
(1999) e Silvana (2011).

“Rimettere in gioco […] alcuni quadri non sono interamente dipinti, lasciano vedere la tela grezza, mentre altri sono
saturati dal colore in ogni loro parte. Così il segno è alle volte più libero, meno controllato, altre invece è più disegnato,
più chiaramente delineato nella sua forma. […] la mia pittura non può arrestarsi su un problema, porlo e definirlo una volta per tutte. Mi piace ruotare attorno a questo problema, vederne le diverse, possibili soluzioni, essere coerente e, al tempo stesso, in grado di cambiare”. In queste poche parole dell’artista sta tanto del suo spirito, mai stanca di cercare, di affrontare un ostacolo, di conoscere una nuova frontiera del fare, di vincere un’ennesima sfida.
Carla Accardi scompare a Roma il 23 febbraio 2014.

Negli ultimi anni le sue opere sono state esposte in diverse mostre collettive, in Italia e all’estero, tra cui L’altra metà
dell’avanguardia al Macro di Roma (2015), TV 70: Francesco Vezzoli guarda la Rai alla Fondazione Prada di Milano (2017), New York New York. Arte italiana: la riscoperta dell’America alle Gallerie d’Italia a Milano (2017), Women House alla Monnaie di Parigi (2017), Roma 1950-1965 alla Prada Rong Zhai di Shangai, Tutto. Prospettive dell’arte italiana al Museion di Bolzano (2018), trasferita poi alla Sammlung Goetz di Monaco (2019). Sue personali si sono tenute a Roma, alla Galleria La Nuova Pesa nel 2015 e alla Galleria Mucciaccia nel 2017 (quest’ultima a cura di Fabrizio D’Amico), e a Milano, alle gallerie Francesca Minini e Massimo Minini (2018-2019).

La mostra è accompagnata da un catalogo della casa editrice Electa, con saggi che, in linea con il percorso, contribuiscono a definire il variegato contesto socio culturale in cui l’artista operò.

Il pubblico può  tornare a visitare l’esposizione dal martedì alla domenica, dalle 10 alle 19.30 con prenotazione obbligatoria nei fine settimana da effettuare un giorno di anticipo. La visita della mostra si svolgerà nel rispetto delle misure in vigore per la prevenzione del contagio, con un numero di ingressi che consentirà il distanziamento tra il pubblico nelle sale.  (26/04/2021-ITL/ITNET)

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