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SICUREZZA SOCIALE - RAPPORTO STATO SOCIALE 2017 - PRES. CAMERA BOLDRINI:" UN RAPPORTO BASATO SULLA DIMENSIONE EUROPEA"

(2017-05-15)

"Un Rapporto, che fotografa la condizione dello stato sociale in Italia nel quadro delle politiche sviluppate negli ultimi anni sia sul piano nazionale che su quello europeo.  E proprio alla dimensione europea viene dedicata quest’anno, nel rapporto, un’attenzione particolare. E’ naturale che sia così, giacché quello del presente e del futuro dell’Unione Europea è diventato il tema dominante anche nel dibattito pubblico dei singoli Stati membri."  Così la presidente della Camera, Laura Boldrini intervenendo alla presentazione del Rapporto sullo Stato Sociale 2017.

  "E’ stato così - prosegue - in tutti gli ultimi appuntamenti elettorali, in Austria, in Olanda e infine in Francia. Il confronto, in questi Paesi, è stato innanzitutto tra due visioni di società: da un lato quella europeista, aperta, fiduciosa nel futuro; dall’altro quella dominata da chiusura e da paura, protezionistica - "facciamo da soli" - respingente nei confronti di chi è diverso da noi."

  "In tutti e tre i casi ha prevalso la visione europeista. E quando una settimana fa, sulla Piazza del Louvre, sventolavano, insieme alle bandiere francesi quelle europee e si intonava l’Inno alla gioia, tutti hanno compreso che il significato della vittoria di Macron andava ben al di là dei confini della Francia.  Attenzione però ad una lettura superficiale e consolatoria di questi risultati. Perché la cosa più sbagliata che si potrebbe fare sarebbe quella di considerare scampato il pericolo e di lasciar andare avanti le cose senza cambiare nulla."

  "Certo, il voto francese ha dimostrato che il populismo nazionalista si può sconfiggere. Ed è stato certamente un segnale incoraggiante per chi non vuole che venga demolito il progetto europeista. Ma le cause sociali che determinano quelle spinte sono ancora ben presenti e soltanto quando le avremo rimosse potremo dire di aver scampato il pericolo.
Quelle cause si chiamano crescita delle diseguaglianze e delle fasce di povertà, disoccupazione giovanile a livelli altissimi, disoccupazione delle donne, riduzione dei salari, delocalizzazioni, classi medie penalizzate e impaurite. Una miscela che mette in pericolo la tenuta stessa della democrazia."

  "La globalizzazione ha tradito la promessa di una crescita economica e sociale generalizzata su scala mondiale. Certo, in molte aree del mondo, un tempo sottosviluppate, milioni di persone sono uscite dalla povertà. E questo è un dato che nessuno può ignorare. Ma complessivamente negli ultimi trent’anni sono cresciute le diseguaglianze tra i diversi Paesi e all’interno di essi. E anche questo è un fatto incontestabile. Da qui, la reazione cosiddetta “sovranista” che ha preso come bersaglio la globalizzazione, prospettando un irrealistico e velleitario ritorno al passato, allo schema ottocentesco degli “stati nazione”: "Chiudiamo tutto, stiamocene a casa nostra, non ci accadrà nulla". Ma non si può aver paura della vita e del futuro: il futuro lo si deve interpretare e capire come esserne attori, non chiuderci in una dimensione antica e sorpassata."

  "Non è la globalizzazione in sé la causa dei mali attuali, quanto il fatto che la si è voluta senza regole e senza guida politica, come se la pura logica del mercato, soprattutto degli attuali, potenti mercati finanziari, potesse da sola correggere le diseguaglianze, garantire a tutti l’accesso al lavoro e all’istruzione, combattere le carestie e i cambiamenti climatici. E proprio perché si è inteso lasciare mano libera ai cosiddetti mercati, non si sono volute istituzioni sovranazionali autorevoli e democraticamente legittimate. Forse non faceva comodo, in questo assetto. In fondo è per questo che quello europeo è un progetto monco, che il processo di integrazione politica è stato continuamente ostacolato e ritardato."

  "E’ certo facile, oggi, indicare l’Unione europea come capro espiatorio. Anche perché, come viene sottolineato nel Rapporto, alla crisi economica iniziata nel 2007, si è risposto, su scala europea, con politiche sbagliate. Con una rigida austerità che ha frenato gli investimenti e con riforme del mercato del lavoro nel segno dei bassi salari e della cosiddetta flessibilità, cioè con un maggiore potere per le imprese di assumere e licenziare alle condizioni più vantaggiose.
E con la restrizione del welfare, che in un periodo di crisi così dura è stata una scelta deleteria: si è compressa la protezione sociale proprio quando ce n’era più bisogno. Ma a me sorprendono certe critiche all’Unione Europea da parte di personalità o forze politiche che hanno avuto o hanno responsabilità di governo. Perché mi sorprendono?"

  "Perché certamente esiste e conta la Commissione Europea. Ma chi decide le linee strategiche delle politiche europee è, come sapete, il Consiglio. E il Consiglio è composto dai rappresentanti dei governi nazionali e peraltro decide all’unanimità. Quelle politiche restrittive che hanno depresso le nostre economie non le ha dunque inventate Bruxelles all’insaputa dei governi nazionali, perché questi ultimi le hanno come minimo condivise e attuate nei loro Paesi. Ci sono delle responsabilità."

  "Serve quindi una svolta, sul piano nazionale e su quello europeo. Le due cose camminano insieme.
E l’Europa di oggi ha bisogno di quattro grandi innovazioni, di quattro 'modernizzazioni', avrebbe detto Deng Xiaoping.
La prima è una maggiore integrazione politica, nella prospettiva degli Stati Uniti d’Europa. Perché nessun Paese può pensare di reggere da solo il confronto con i nuovi giganti dell’economia globale né di risolvere su scala nazionale problemi come quelli del riscaldamento climatico, delle migrazioni, della lotta al terrorismo e così via".

  "La seconda è una robusta iniezione di investimenti pubblici, come traino a quelli privati, nei settori strategici della ricerca e dell’innovazione. E’ in questo ambito che si gioca la competizione globale, non riducendo i diritti di chi lavora.
Oggi è l’Asia, non l’Europa e neanche l’America il continente che investe di più in questi settori innovativi. E’ quindi la conoscenza, il petrolio del futuro. Ed è imbarazzante vedere il basso livello - come ha detto il Rettore Gaudio - degli investimenti che noi destiniamo alla formazione e alla ricerca. Su questo ci dobbiamo concentrare".

  "La terza è il rilancio, certamente su basi nuove, del welfare, tratto identitario della costruzione europea. Se siamo stati per decenni un riferimento, è perché avevamo lo Stato sociale. Ma bisogna ribaltare lo schema dominante secondo il quale la possibilità di espansione del welfare dipende dal livello di crescita economica. Il welfare può essere, al contrario, una leva per lo sviluppo, perché incoraggia i consumi, dà più possibilità alle donne di avere e mantenere un’occupazione anche in presenza di figli, domanda lavoro professionalizzato, migliora la qualità della vita delle persone.
La quarta modernizzazione dovrebbe essere un’armonizzazione delle politiche fiscali, da fare in modo giusto, senza la quale sono destinate a persistere situazioni di disparità e di iniquità inaccettabili".

  "Queste a me sembrano le priorità sulle quali lavorare.
Servono prima di ogni altra cosa misure di politica economica che possano migliorare concretamente la vita delle persone, e che rilancino l’immagine di una Unione europea attenta al disagio sociale e che non lascia indietro nessuno. Se non si avverte il valore aggiunto dell'essere europei, le persone non si avvicineranno, vedranno sempre l'Ue come una entità astratta, fredda, che non entra nelle loro vite.
Solo partendo dalle politiche economiche si potrà ricostruire un rapporto di fiducia che si è andato deteriorando.
Mi riferisco all’incessante innovazione tecnologica che ormai è prepotentemente entrata nell’era della robotica e dell’intelligenza artificiale."

  "Queste innovazioni aprono enormi opportunità. Non dobbiamo averne paura, non dobbiamo temerle o demonizzarle. È straordinario quello che potrà succedere.
Ma sorge subito una domanda. Una domanda e una preoccupazione. Quante lavoratrici e quanti lavoratori saranno sostituiti dai robot? È una domanda che dobbiamo farci oggi, non fra 5 o 10 anni. E che ne sarà di loro? Quali professioni scompariranno e come sarà possibile, in quali campi, per le future generazioni trovare un’occupazione?
Secondo uno studio privato americano, entro il 2030 il 38% dei lavori negli Stati Uniti potrebbe essere sostituito dalle macchine. Il 35% in Germania e il 30% in Inghilterra".

"E chi entra oggi nel mercato del lavoro potrà cambiare, nel corso della vita, tra le 5 e le 7 professioni.
Non c’è dubbio che i lavori più a rischio saranno quelli che richiedono un livello di istruzione più basso.
La formazione e la ricerca sono dunque la vera assicurazione sulla vita per le nostre società.
E’ chiaro inoltre che una prospettiva che dovesse prevedere più percorsi professionali nel corso della vita, richiederebbe anche nuovi meccanismi di welfare capaci di sostenere i cambiamenti che si dovranno affrontare.
Misure come il reddito minimo di dignità, che ritengo assolutamente necessarie, non potranno più essere rappresentate e concepite come strumenti assistenziali, ma come iniziative volte a sostenere il lavoratore nella transizione da un impiego ad un altro e nei diversi passaggi formativi".

  "Conosco già l’obiezione : ma i soldi per fare tutto questo non ci sono. Come si fa a sostenere l’istruzione e le misure di sostegno ai redditi più bassi se il nostro debito pubblico è ancora così elevato?
Vi dico la verità: in un Paese dove l’evasione fiscale si mangia più o meno100 miliardi di euro in un anno, e la corruzione decine di miliardi, in un Paese in cui i giganti del web fanno ingenti guadagni ma pagano le tasse altrove, io non accetto che si dica che non si sa dove prendere soldi per gli investimenti".

"L’evasione fiscale va combattuta con più energia. La corruzione va sradicata dalla nostra vita sociale.
Non ho nulla contro l’abolizione dell’Imu per la prima casa. Ha alleviato le difficoltà per tante famiglie. Ma era proprio necessario e giusto estenderla anche alle persone facoltose? A chi di case oltre che la prima, ha la seconda e poi la terza e la decima, e così via? Cioè a chi possiede grandi patrimoni? Io credo proprio di no.
I soldi spesi per fare un favore a chi poteva permettersi di pagare l’Imu, andavano indirizzati verso gli investimenti.
Per questo dico che servono nuove scelte politiche. Su scala nazionale e soprattutto europea. Non ci si può accontentare di qualche punto di flessibilità in più".

  "E’ tutta la politica economica seguita negli ultimi anni che va cambiata. Non si aiuta il progetto europeista lasciando le cose come stanno. Stare fermi vuol dire dare a chi vuole distruggere l'Unione europea la possibilità di farlo.
Non possiamo stare fermi non solo per la Ue, ma per la democrazia: che non sopravvive senza lavoro, senza giustizia sociale, senza un futuro dignitoso per i nostri figli. Chiudo ricordando le illuminanti parole pronunciate da una grande figura europea, Vaclav Havel, subito dopo la riconquista della libertà nel suo Paese: ”Abbiamo sognato, in prigione e fuori, un’Europa senza filo spinato, una politica europea basata sul rispetto delle persone e dei diritti umani”. Questo disse Havel, in una serata meravigliosa. Per questa Europa vale la pena di spendersi, di lottare, di andare fino in fondo." (15/05/2017-ITL/ITNET)

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