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LAVORO - RAPPORTO MIN.LAVORO, ISTAT,INPS, INAIL, ANPAL- LO STATU QUO : SUPERATI LIVELLI PRE CRISI. FORTE INCREMENTO PART TIME INVOLONTARIO. OCCUPATI PIU' ANZIANI E PIU' ISTRUITI. IN CALO PROFESSIONISTI, INCREMENTO DONNE

(2019-02-25)

  A dieci anni di distanza dal 2008 è stato superato il livello occupazionale del periodo pre-crisi ma l’assetto del mercato del lavoro italiano risulta profondamente trasformato: la fase ciclica caratterizzata da una doppia e  intensa recessione e dalla successiva ripresa ha contribuito a realizzare una articolata ricomposizione dell’occupazione all’interno di mutamenti di lungo periodo già in atto.

Innanzitutto, dietro al record occupazionale del 2018 vi è l’impetuoso aumento del lavoro dipendente e il crollo degli indipendenti (-602 mila; -10,2% dal 2008), anche a ragione di cambiamenti strutturali del tessuto produttivo In particolare i dipendenti a tempo indeterminato, che avevano recuperato i livelli pre-crisi nel 2016 e 2017 e subito un nuovo forte calo nell’ultimo anno (-102 mila; -0,7%), presentano un saldo ancora lievemente negativo.

Di contro nella media dei primi tre trimestri del 2018, rispetto a dieci anni prima, si contano 735 mila dipendenti a termine in più (+31,9%) il cui aumento, interrotto solo in alcuni anni della crisi, ha subito una forte impennata nell’ultimo biennio; tale incremento si è concentrato soprattutto nei dipendenti con rapporti a termine di durata fino a un massimo di 6 mesi (+613 mila)   

Un importante effetto strutturale della recessione è stato il forte incremento del part time involontario: in dieci anni gli occupati che lavorano a tempo parziale perché non hanno trovato un impiego a tempo pieno sono aumentati di circa un milione e mezzo, a fronte del calo di 866 mila occupati full time. Ciò è dovuto da un lato all’indebolimento della domanda di lavoro, dall’altro alla ricomposizione dell’occupazione per settore di attività economica, che ha aumentato il peso di comparti con una maggiore incidenza di lavoro a tempo parziale (alberghi e ristorazione, servizi alle imprese, sanità e servizi alle famiglie) e diminuito quello di settori con più occupati a tempo pieno (industria in senso stretto e costruzioni) .

In dettaglio, nel settore delle costruzioni il calo costante di occupati nel periodo di congiuntura negativa non si è arrestato neppure negli ultimi anni di ripresa, producendo nei dieci anni un saldo negativo di 549 mila unità. Nell’industria in senso stretto l’aumento di occupazione nel periodo 2014-2018 ha compensato solo parzialmente le perdite subite fino al 2013 ma non fino al punto di ritornare al livello pre-crisi (-287 mila unità).

Specularmente si registrano performance positive del settore terziario: gli occupati nei servizi collettivi e personali sono aumentati costantemente in tutto il periodo arrivando a 453 mila occupati in più nel 2018, concentrati soprattutto nei servizi alle famiglie (+345 mila unità); i servizi di mercato, pur coinvolti dal calo di occupazione, già nel 2016 sono tornati a superare i livelli pre-crisi grazie soprattutto agli andamenti positivi dei settori alberghi e ristorazione, servizi alle imprese e informazione e comunicazione.

La dinamica dell’occupazione nei settori economici si rispecchia in quella delle professioni, con il forte calo in dieci anni di artigiani e operai, in particolare di quelli specializzati, e un’elevata crescita degli addetti al commercio e servizi (748 mila; +20,1%) e delle professioni non qualificate12 (+476 mila; 23,4%), nonostante il lieve calo dell’ultimo anno.

Gli occupati in professioni qualificate negli anni più acuti della crisi sono arrivati a calare di circa 800 mila unità, per poi tornare lentamente ad aumentare a partire dal 2014, pur rimanendo ancora al di sotto dei livelli del 2008 (-224 mila; -2,7%).

Oltre alle caratteristiche del lavoro, anche la composizione socio-demografica degli occupati si è modificata nei dieci anni considerati. La congiuntura economica si è accompagnata a cambiamenti strutturali di lungo periodo, agendo peraltro con intensità diversa sulle varie componenti della popolazione.

In primo luogo, è aumentata la presenza femminile nel mercato del lavoro (da 40,1% a 42,1% del totale occupati): le donne occupate nel 2018 sono mezzo milione in più (+5,4%) rispetto all’analogo periodo del 2008, mentre gli uomini sono 388 mila in meno (-2,8%). Questi ultimi sono diminuiti costantemente tra il 2008 e il 2013 (circa 900 mila occupati in meno nei cinque anni), risentendo soprattutto dell’andamento negativo delle costruzioni e dell’industria; mentre l’occupazione femminile, concentrata nel terziario, tra il 2008 e il 2013 ha visto arrestarsi il trend di crescita di lungo periodo, ripreso dal 2014 a ritmi più sostenuti rispetto agli uomini.

In secondo luogo, a livello territoriale la crisi ha prodotto un ulteriore impoverimento occupazionale del Mezzogiorno ampliando il già elevato divario con il resto del paese. Se nel Centro-Nord la ripresa è iniziata prima e ha portato al recupero occupazionale già nel 2016, arrivando a quasi 376 mila occupati in più nel 2018, nelle regioni meridionali il calo degli occupati ha toccato il massimo di 600 mila unità fino al 2014 e il saldo rispetto al periodo pre-crisi è ancora ampiamente negativo (-262 mila; -4,1%)

Complessivamente l’aggregato degli occupati si configura come più “anziano” e più istruito rispetto a dieci anni prima. Se nel 2008 il 30,3% degli occupati aveva un’età compresa tra 15 e 34 anni, dieci anni dopo tale quota è scesa al 22,1%, a ragione di dinamiche opposte: da un lato, il calo della popolazione giovanile e le difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro dei più giovani, dall’altro il progressivo invecchiamento di coorti numerose di popolazione e l’aumento dell’età pensionabile che ha prolungato gli anni di permanenza al lavoro (Istat e altri, 2017).

Inoltre l’allungamento dei percorsi di istruzione, con il raggiungimento di titoli di studio più elevati che posticipa l’ingresso nel mercato del lavoro dei più giovani, fa sì che il ricambio generazionale degli occupati avvenga in favore di coorti sempre più istruite: in dieci anni la quota di occupati con almeno la laurea passa dal 16,9% al 23,1%. In un contesto di ricomposizione delle professioni che favorisce quelle poco qualificate a scapito di quelle a elevata qualifica, l’aumento del livello di istruzione degli occupati può generare situazioni di mismatch tra domanda e offerta di lavoro che generano sovraistruzione e spreco di capitale umano.

L’aumento della quota di occupazione meno qualificata, accompagnata dalla marcata segmentazione etnica del mercato del lavoro italiano, ha favorito la presenza di lavoratori immigrati più disposti ad accettare lavori disagiati e a bassa specializzazione (Strozza e De Santis, 2017; Cnel, 2018). Nel decennio esaminato gli stranieri sono passati dal 7,1% al 10,6% degli occupati totali aumentando la concentrazione nei settori dove erano già maggiormente presenti: alberghi e ristorazione, agricoltura e servizi alle famiglie (in quest’ultimo settore su 100 occupati 70 sono stranieri). Lo stesso vale per le professioni, dove la crescita della presenza straniera si concentra in quelle operaie, del commercio e servizi e non qualificate (in quest’ultimo caso circa un terzo degli occupati è straniero).

Infine, nel decennio in esame le retribuzioni orarie contrattuali sono aumentate sostanzialmente in linea con i prezzi e, dopo nove anni di rallentamento, nel 2018 la loro dinamica ha superato l’inflazione favorendo un minimo guadagno in termini reali. Tuttavia la riallocazione occupazionale a favore di settori a bassa qualifica e bassa retribuzione ha contribuito alla lieve riduzione delle retribuzioni reali. Fra la media dei primi tre trimestri del 2018 e i corrispondenti del 2008 le retribuzioni lorde orarie e quelle per Unità di lavoro sono aumentate rispettivamente del 12,6% e del 12,5% mentre i prezzi al consumo (Indice Ipca) sono cresciuti nello stesso periodo del 13,4%. (25/02/2019-ITL/ITNET)

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