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IMPRESE ITALIANE NEL MONDO - DIGITALIZZAZIONE - PROF.ESPOSITO (UNIV MERCATORUM /ASSOCAMERESTERO) : L'INNOVAZIONE ESCLUDENTE . L'OPZIONE : SVILUPPO DIFFUSO E CRESCITA DIFFUSA "

(2019-05-21)

  A proposito della digitalizzazione e dei suoi effetti sul mondo del lavoro:

"Un paese cresce economicamente quando aumenta la produttività, cioè il rapporto tra prodotto (in valore) e impiego dei fattori produttivi. Bella scoperta! Ma da che dipende la produttività? Da tanti elementi, ma in particolare dalla capacità di innovare, da quella singolare abilità degli avanzamenti tecnologici di trasformare assetti produttivi e imprese. E così dalla prima Rivoluzione industriale (quella per intenderci delle macchine a vapore) maggiore innovazione si è accompagnata alla crescita delle produttività."  Ad affermarlo, Gaetano Esposito, docente all'Universita' Mercatorum e Segretario Generale di Assocamerestero in un articolo pubblicato sull'Huffington Post.

Ma qualcosa è cambiato! Le tecnologie del passato all’inizio creavano sconvolgimenti produttivi (il motore a vapore ha distrutto tanti mestieri legati ad esempio allo spostamento a trazione animale), ma poi c’era un travaso dai settori tradizionali (a basso livello di innovazione) a quelli moderni (in genere l’industria).

Il tutto avveniva in tempi ragionevoli, perché il processo necessario per adeguare le conoscenze non era tanto complicato. La nuova tecnologia era scomponibile in singoli aspetti perciò l’adeguamento delle conoscenze personali e professionali era abbastanza rapido e alla fine la compensazione tra posti di lavoro persi e guadagnati era tutta a favore dei settori ad alta produttività! I paesi a maggiore adeguamento tecnologico crescevano di più.

Oggi non è più così… la Quarta Rivoluzione industriale della digitalizzazione e delle reti è pervasiva e sotto molti aspetti più “escludente” delle altre, perché richiede anche rivoluzione nei modi di pensare e di interagire. Il cambiamento tecnologico implica sempre una ricomposizione economica e sociale: chi non riesce ad adeguarsi viene emarginato e costretto ad orientarsi verso campi più precari.

In alcuni ambiti l’innovazione fa crescere la produttività, in tanti altri, in particolare quelli dei servizi meno avanzati, la produttività rimane stagnante (o peggiora). Risultato? A causa di questi cambiamenti e degli spostamenti tra settori “guida” e settori “spugna” l’andamento della produttività complessiva può ridursi. Un processo inverso a quello del passato!

Secondo un recente studio dell’OCSE in tutti i paesi maggiormente industrializzati a partire dal 2010 la produttività del lavoro è aumentata dello 0.9%, circa la metà di quanto accaduto negli anni 1995-2000. E il decremento è cominciato generalmente già prima della Grande crisi del 2008. L’occupazione è complessivamente cresciuta, ma si è concentrata nei settori industriali a bassa produttività e nei servizi più semplici: dall’ospitalità alla ristorazione, alla cura e assistenza delle persone e della loro salute.

Aumenta la velocità del cambiamento tecnologico e… si riduce la produttività complessiva, con situazioni generalizzate ed “effetti di compensazione” tra settori a bassa produttività e quelli a più alta produttività. In altri termini, per la maggiore segmentazione delle esigenze e dei mercati, ce ne sono alcuni che crescono molto, ma nel complesso l’economia dei diversi paesi, anche di quelli più avanzati, perde dinamismo: questo vale per la Germania, per gli Stati Uniti e (finanche) per la Cina. Da noi poi la variazione della produttività del lavoro dal 2014 al 2018 è stata nulla, unico caso tra le grandi economie avanzate!

Le imprese fanno oggi minori investimenti in innovazione del passato, ma è tutta qui la questione? Le nuove tecnologie richiedono una maggiore qualificazione per essere acquisite, governate e gestite: in sintesi un diverso passo dei processi di formazione e di educazione.

Non si tratta solo di formare le persone secondo le esigenze delle imprese, quanto di cambiare il modo di affrontare i problemi, di ricostruire un processo educativo basato molto di più su stimolare innovazioni “ricombinanti”, cioè nuove intersezioni tra saperi. Non occorre solo fornire un’educazione specializzata, ma una diversificata, per stimolare la creatività oltre che la familiarità con le nuove tecnologie che rimangono uno strumento.

Forse il punto è proprio qui… con le precedenti rivoluzioni tecnologiche l’adeguamento professionale era più semplice bisognava specializzarsi imparando cose nuove e la specializzazione aumentava la produttività. Oggi la produttività è guidata dalla capacità di trovare soluzioni sempre diverse e dalla flessibilità non solo tecnologica. E spesso – purtroppo – le “generazioni di mezzo” sono state educate a sottovalutare questo aspetto, in nome della specializzazione.

Anzi la nuova rivoluzione digitale comporta anche l’esclusione di molte persone dai settori a maggiore creatività verso settori a modesta espressione di creatività. Per esempio negli Stati uniti dal 2010 c’è stata una compensazione di posti di lavoro (anche nell’industria) a minore produttività pari a circa 7 milioni di occupati, quasi il 7% dell’occupazione iniziale.

Ma allora che dobbiamo fare: rallentare il ritmo del progresso tecnologico? Sarebbe come correre voltati all’indietro, in direzione di una opinabile decrescita felice. No dobbiamo essere coscienti che sviluppo diffuso richiede crescita diffusa in molti campi dell’economia, per evitare nuove ineguaglianze e fratture, accompagnata da un profondo ridisegno dei nostri processi educativi, in una logica di maggiore creatività.

Questa è la sfida! Altrimenti creeremo società sempre più segmentate e diseguali, alimentando la paura del nuovo (e diverso) e addossando a presunte minacce esterne i problemi di esclusione, con risposte difensive che sono originate proprio dall’incapacità di accettare e (anzi) favorire un effettivo (e necessario) cambiamento culturale." conclude Esposito in un'analisi sulla quale c'e' ancora molto da dire sul piano della concretezza. (21/05/2019-ITL/ITNET)

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