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DIRITTI DEI CITTADINI - LA FAMIGLIA ITALIANA: RICERCA IREF (ACLI): LUOGO TRASMISSIONE VALORI: SOLIDARIETA' PROBITA' MA NELLA CONCRETIZZAZIONE QUALCHE VISCHIOSITA'. FAMIGLIE IN AFFANNO ECONOMICO SOPRATTUTTO A SUD

(2019-12-04)

  Quando si parla di italiani all'estero o di famiglie italiane all'estero il primo elemento che viene considerato come peculiare è la valida trasmissione dei 'sani' valori fondamentali della vita. Un patrimonio individuale e collettivo, al tempo stesso, insindacabile e perpetuabile anche in altri contesti geo-politici.  Ma cos'e' rimasto oggi del modello originario ?Come si e’ modificata in questi ultimi anni?
Ed ancora: è  adeguatamente sostenuta la 'famiglia' nei compiti sempre piu’ impegnativi che deve assolvere? In che modo lavoro e welfare influiscono sulla vita familiare? Come e’ cresciuta la sua vulnerabilità? 

A questa ed a molte altre domande ha fornito delle risposte la ricerca ‘ Il vero volto della famiglia italiana: un racconto attraverso i dati', elaborata dall'Iref (Istituto di Ricerche educative e formative delle Acli) e presentata oggi a Roma.

Avviata nel 2014,l’indagine si e’ basata su un questionario di 60 domande distribuito grazie al supporto della rete delle Acli. 700 le famiglie coinvolte, per la maggior parte residenti in piccoli centri, di cui il 32% costituite da nuclei con due figli e il 30% senza figli.

Alla base della costituzione della famiglie, il 49% ritiene sufficiente un legame semplicemente affettivo anche se nella maggior parte dei casi, la famiglia si presenta come un nucleo organizzato e sincronizzato.

Quanto ai riferimenti valoriali, due famiglie su cinque affermano che questo e’ il luogo dove si trasmettono i valori. Ma quando si passa dai valori ai comportamenti, la questione e’ tuttavia piu’ vischiosa: la maggior parte delle famiglie crede nella solidarietà tuttavia trattare male un immigrato non e’ considerata una cosa grave, appropriarsi di denaro pubblico e’ visto invece come un reato, evadere le tasse al contrario non viene giudicata un'azione cosi' inaccettabile.

In generale, la famiglia e’ motivo di soddisfazione per gli italiani ed e' una realta’ su cui si può fare affidamento in caso di difficolta'. Grande il desiderio di avere figli e il 26% dichiara che ne avrebbe voluti di piu’. Tuttavia le coppie genitoriali ammettono di avere difficolta’ nel conciliare lavoro e cura della famiglia e hanno dei problemi nel contrastare i modelli culturali dei media.

La famiglia pero' e’ anche un luogo di conflitto e le discussioni sono causate soprattutto da problemi economici ed a seguire dalla gestione della casa e della cura dei figli. Le tensioni familiari tuttavia si risolvono per lo piu’ in famiglia e solo il 14% ricorre a figure esterne.

Quanto alla situazione economica,la meta’ del campione non e’ riuscita a risparmiare e questo pone difficolta’ perche’ queste famiglie non sono bancabili e per alcune necessita’ hanno dovuto fare ricorso a enti o altre persone. Per queste risulta difficile sostenere spese impreviste dell’ordine di 500 euro. Questa condizione rende incerte il 50% delle famiglie: hanno la sensazione di consumare tutto quello che guadagnano, di essere quindi in una situazione limite. 

E questo avviene anche in presenza di un doppio reddito: siamo di fronte quindi a famiglie di working poor.

Quattro su cinque famiglie tuttavia chiedono servizi piu’ che denaro e l’opinione che si ha del welfare e’ piuttosto evoluta.

I giovani nuclei sono spesso senza figli e hanno un titolo di studio elevato. Liberta’, svago e amici sono perni importanti. I nuclei maturi invece hanno un titolo di studio piu’ basso e il lavoro e’ un asse intorno a cui ruota la vita familiare. 

Quanto alle famiglie con serie difficolta’, un terzo sono al Sud e consumano piu’ di quanto guadagno. 

Le famiglie benestanti sono invece piu’ numerose nel Nord Ovest e consumano meno di quanto guadagnano.

I nuclei disagiati ritengono che lo stato sociale debba prestare assistenza, anche se spesso non conoscono i servizi di cui potrebbero usufruire,mentre i nuclei maturi agiati pensano che debba abilitare le persone a risolvere da sole i propri problemi.

Da segnalare, inoltre, che due terzi delle famiglie hanno sperimentato la perdita del lavoro ( piu’ frequente in nuclei monoreddito) e anche una diminuzione dello stipendio.

Le coppie a doppio reddito hanno avuto invece pochi problemi circa la perdita del lavoro e possono essere considerati dei privilegiati, quello che era una volta il ceto medio.

La ricerca ha preso in considerazione anche la presenza di soggetti fragili in famiglia (15%), situazione che causa conflittualita’ spesso risolte da professionisti.

La ricerca ha fornito anche una serie di dati interessanti che permettono di valutare come e’ cambiata la famiglia.

Le famiglie presenti oggi in Italia sono poco meno di 26 milioni (circa 25 milioni e 300mila). In venti anni il numero medio di componenti è sceso da 2,7 a 2,4: una graduale riduzione della dimensione familiare che ha investito anche il Sud che storicamente ha il primato delle famiglie numerose. Sono, di conseguenza, aumentate le famiglie unipersonali ovvero con un solo componente, che dal 20,5% del biennio 1995-96 raggiungono oggi quota 31,6%. Per contro sono diminuite quelle numerose (con cinque o più componenti), che dall’8,1% del 1995-96 scendono al 5,4% attuale. 

I dati segnalano dunque che il Paese si trova da tempo in una fase di declino demografico, conclamato almeno dal 2015. Per il terzo anno consecutivo i nati sono stati meno di mezzo milione, di cui circa il 15% stranieri (anch’essi in diminuzione). 

La presenza straniera cresce leggermente e oggi sono più di un milione le famiglie con almeno un cittadino straniero.

Secondo le stime, proseguendo il trend attuale, nel 2065 la popolazione italiana sarà scesa a 54,1 milioni con una perdita secca di 6,5 milioni di abitanti e con un calo drastico a partire dal 2025. Il Mezzogiorno soprattutto perderà costantemente popolazione che si sposterà al Centro-Nord. L’età media crescerà fino ai 50 anni dai circa 45 attuali. 

Le famiglie sono e saranno sempre più chiamate, quindi, in futuro a fare fronte anche alla cura degli anziani, dal momento che il nostro Paese ha un primato rispetto alla speranza di vita media alla nascita che è ormai vicina agli 83 anni. Già oggi gli anziani in Italia rappresentano il 22,6% della popolazione totale; l’indice di vecchiaia mostra che oggi ci sono 168,9 anziani ogni cento giovani. Tali dati collocano l’Italia al primo posto in Europa per l’indice di vecchiaia.

L’invecchiamento della popolazione pone la questione degli anziani tra le più urgenti in Italia e in Europa. Sono stimati in poco meno di 3 milioni gli over 65 non autosufficienti nel nostro Paese. Di fronte a tali bisogni la risposta dei servizi pubblici e privati non è adeguata, né al passo con le esigenze dei cittadini. In un clima di risorse scarse e di fronte a necessità crescenti le famiglie si auto-organizzano per garantire assistenza ai propri cari non più autonomi. Otto milioni di caregiver familiari sono impegnati in compiti di cura verso gli anziani e di questi uno su 5 è anziano a sua volta. A questi si affiancano poco meno di un milione di badanti, regolari e non. 

Il calo delle nascite si accompagna alla posticipazione dell’evento nascita: cresce l’età media al parto per le donne, che raggiunge quasi i 32 anni, rispetto ai 27,2 del 1980. L’Italia detiene anche il record europeo delle mamme ultraquarantenni: 7,2% contro 3,2% della media europea; e quello negativo delle mamme sotto i 20 anni: 1,7% contro 4,9% della media europea. 

Si registra inoltre un numero crescente di figli nati al di fuori del matrimonio: 28,7% del totale delle nascite. Del resto, l’istituto matrimoniale appare in affanno: negli anni di crisi i matrimoni sono diminuiti al ritmo di 10.000 l’anno.

L’instabilità matrimoniale emerge chiaramente dai dati. Con  l’introduzione del cosiddetto “divorzio breve”, afferma la ricerca, il numero dei divorzi è aumentato nel 2015 (+57% rispetto al 2014). Al momento della separazione la durata del matrimonio è in media di 17 anni. L’età media degli sposi che si separano è di 48 anni per l’uomo e di 45 per la donna. 

La ricerca mette in rilievo anche le difficoltà di conciliazione vita-lavoro che si scaricano ancora oggi prevalentemente sulle donne a causa della struttura del mondo del lavoro. Ciò fa sì che più figli si hanno e  meno le donne lavorano. Il 22,4% delle donne occupate in gravidanza, non lavora più due anni dopo la nascita del figlio. Questo indicatore nel 2012 è salito, superando di quattro punti percentuali il valore registrato nel 2005. Al Sud sale quasi al 34%. A non lavorare più sono, poi, le precarie e chi lavora nel settore privato. E più a rischio appaiono le più giovani. Del resto i problemi ci sono anche per chi ha continuato a lavorare dopo la nascita dei figli: in questo caso il 42,8% delle donne dichiara di avere problemi nel conciliare l’attività lavorativa e gli impegni familiari. 

La stragrande maggioranza delle madri che hanno un figlio e che lavorano lo affidano ogni giorno a servizi o persone che si occupano di lui/lei mentre loro sono al lavoro: il 51,4% dei nati al di sotto dei due anni è accudito dai nonni, mentre il 37,8% frequenta un asilo nido.(04/12/2019-ITL/ITNET)


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