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DIRITTI DEI CITTADINI - COVID-19/POVERTA' - LE PROPOSTE DELL'ALLEANZA CONTRO LE POVERTA' SUL REDDITO DI CITTADINANZA

(2020-05-08)

  L'Alleanza contro la povertà ha incontrato il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Nunzia Catalfo alla quale ha presentato come base per la discussione un documento, già inviato al Ministro, con le proposte messe a punto per migliorare la funzionalità del Reddito di Cittadinanza.

L'emergenza sociale dei prossimi mesi costringerà a rivedere la misura di contrasto alla povertà. L'Alleanza contro la povertà intende, come sempre, portare un contributo concreto e utile attraverso le proprie proposte.

Il Reddito di cittadinanza e la Pensione di cittadinanza sono state erogate (periodo aprile 2019 -
gennaio 2020, dati Inps) ad oltre un milione di famiglie, ovvero più di 2,5 milioni di individui, con
un importo medio di poco inferiore ai 500 euro mensili a famiglia. Si è trattato, dunque, di un
importante sostegno per le famiglie in difficoltà economica, che ha permesso loro in alcuni casi di
uscire dalla condizione di povertà nella quale si trovavano, in altri di ridurre l’intensità della
medesima. Assai più incerti gli effetti in termini di inclusione socio lavorativa dei beneficiari che
comunque necessitano di tempi di attuazione più lunghi. Se infatti da un lato l’inclusione sociale ha
potuto basarsi su una sostanziale continuità con la precedente misura di sostegno al reddito (il REI),
che aveva in parte già attivato o rinforzato i servizi sociali dei comuni interessati, l’attivazione
lavorativa ha invece sofferto di una carente domanda di lavoro e di strutture dedicate che sono state
potenziate solo di recente ed in maniera talvolta poco efficace e comunque scarsamente sinergica con
gli altri strumenti di attivazione lavorativa preesistenti.

                        Abbiamo più volte messo in luce l’importanza
del reddito di cittadinanza e delle risorse necessarie al suo finanziamento, pur sottolineando che
necessiterebbe di una serie di aggiustamenti per poter operare in misura più equa ed efficace.
A partire dal febbraio 2020, come sappiamo, l’Italia è tuttavia entrata in una fase emergenziale dovuta
ad una delle più grandi pandemie comparse nell’ultimo secolo, il Coronavirus (o COVID-19), che ha
colpito il nostro paese in maniera particolarmente virulenta e che rischia di determinare, oltre al più
immediato e drammatico impatto sanitario in termini di vite umane, un forte impatto di medio periodo
sull’economia. Le necessarie misure di contenimento dell’espansione del virus, infatti,
determineranno un periodo di recessione con una perdita di reddito più o meno marcata per ampi
strati della popolazione. Le misure esistenti rischiano, per come sono strutturate, di non riuscire a far
fronte in maniera adeguata ai nuovi bisogni.

Le strade che si aprono di fronte all’emergenza per il sostegno al reddito sono di due tipi:

- prevedere misure aggiuntive (sono di questo tipo ad esempio il sostegno di 600€ devoluto
alle partite Iva, o i buoni spesa comunali) mettendo eventualmente in campo ulteriori
strumenti selettivi che affianchino il reddito di cittadinanza;
- modificare le misure in essere – in primis il reddito di cittadinanza – per renderle adeguate
al nuovo contesto.

L’Alleanza ritiene fondamentale accrescere il sostegno al reddito per coloro che si trovano in
difficoltà economica in questa fase di assenza di lavoro, facendo in modo che questo possa risultare
adeguato al sostentamento e possa raggiungere tutte le persone bisognose. Ben vengano dunque
misure aggiuntive, tuttavia riteniamo fondamentale agire anche sul Reddito di cittadinanza, sia per
renderlo più adeguato alla fase attuale sia perché riteniamo che debba comunque essere in grado nel
medio periodo di continuare a sostenere in misura equilibrata tutte le famiglie il cui reddito rimarrà
insufficiente.

Rispetto a questa opzione a nostro parere si aprono tre possibili scenari:
1. un semplice potenziamento del Fondo dedicato al RdC per far fronte da subito all’attesa
espansione della platea degli aventi diritto, a parità di requisiti di accesso;
2. un potenziamento più consistente del Fondo accompagnato da un periodo di sospensione della
condizionalità e da un’agevolazione dei meccanismi e delle pratiche di accesso anche
attraverso l’allentamento di alcuni requisiti;
3. il passaggio verso una misura universale e incondizionata (reddito di base o basic income).
Escludiamo la terza ipotesi poiché presenta il difetto principale di modificare in maniera troppo
drastica la misura esistente e richiede, presumibilmente, profondi interventi sul sistema fiscale e su
quello di protezione sociale: si introdurrebbe, sull’onda dell’emotività e della condizione unica nella
quale ci troviamo, una misura strutturale volta a modificare fortemente il nostro sistema di welfare,
che peraltro presenterebbe diverse criticità, senza poterne adeguatamente valutare i costi e le ricadute
in particolare sul mercato del lavoro.

D’altra parte la prima ipotesi ci sembra minimale e poco adeguata al contesto nel quale ci troviamo
oggi e necessiterebbe, per risultare efficace, di essere affiancata da un sostanziale strumento
temporaneo aggiuntivo (il Reddito di emergenza) che risultasse operativo da subito.

La seconda ipotesi è a nostro parere da preferire. Si tratterebbe di operare sul reddito di cittadinanza,
introducendo, da una parte, nell’immediato quei necessari aggiustamenti che ne permettano l’accesso
anche a coloro che ne erano precedentemente esclusi e, dall’altra parte, modificando alcune sue
caratteristiche “strutturali” per meglio adattarlo alle necessità dei nuclei più bisognosi e agli stessi
bisogni emergenti durante questa crisi.

COME OPERARE NELL’IMMEDIATO
Le principali criticità relative al disegno del reddito di cittadinanza finora evidenziati quasi
unanimemente da tutti i commentatori più attenti riguardano i vincoli eccessivamente restrittivi verso
i cittadini stranieri e l’applicazione di una scala di equivalenza che, sia dal punto di vista dei requisiti
di accesso che dell’importo delle prestazioni erogate, sfavorisce relativamente i nuclei familiari più
numerosi, in particolare quelli con minori.
Una modifica che dovrebbe comunque essere operata da subito e resa strutturale nel tempo è, pertanto,
quella che consente un maggiore accesso e un importo del beneficio più elevato per le famiglie con
minori e/o numerose. I dati ufficiali confermano che la distribuzione dei beneficiari è sbilanciata a
favore delle famiglie senza minori, in particolare quelle con due e soprattutto un componente. La
distribuzione del beneficio risulta in termini relativi più svantaggiosa per le famiglie numerose e non
tiene adeguatamente conto dell’eventuale presenza di disabili nel nucleo. La soluzione che
proponiamo è piuttosto agevole e consiste in un’adeguata modifica della scala di equivalenza e
un innalzamento o eliminazione del tetto previsto. Si tratta di un intervento necessario a rendere
più equo lo strumento e che oggi risulterebbe facilmente finanziabile nell’ambito delle misure di
politica sociale contenute nel prossimo decreto, nonché particolarmente urgente, dato che le difficoltà
economiche per le famiglie con minori e numerose rischiano di diventare assai più ingenti. La tabella
1 – ottenuta mediante microsimulazioni costruite a partire dai dati ISTAT IT-SILC – illustra i costi
stimati e gli effetti distributivi del passaggio dall’attuale scala di equivalenza (che sia per il requisito
reddituale che per il calcolo delle prestazioni assegna valori ai componenti della famiglia oltre il
primo ben inferiori di quelli previsti dalla scala ISEE) a diverse tipologie di scala.
Nello specifico, si è valutato la variazione del numero di beneficiari, l’importo medio del beneficio e
la spesa annua per il bilancio pubblico di 4 scenari alternativi, via via più generosi (Tabella 1 dove la
nuova scala verrebbe applicata sia per il calcolo del requisito reddituale, sia per il calcolo dell’importo
della prestazione): l’eliminazione del tetto a 2,1 (2,2 per i nuclei con disabili) per il valore massimo
della scala; l’applicazione di una scala che assegni valore di 0,4 anche ai minori (attualmente
valorizzati a 0,2; la simulazione è condotta assumendo o meno l’esistenza del “tetto” a 2,1 nel valore
della scala); l’uso della scala ISEE, che sarebbe il più coerente dato l’impianto della misura.
Sia nel caso della “scala 0,4 per tutti” che di quella ISEE il numero dei nuclei beneficiari crescerebbe
in misura sensibile, così come l’importo medio. Per quanto riguarda il costo per le finanze pubbliche,
la spesa per prestazioni crescerebbe del 14% circa nel caso in cui si adottasse la “scala 0,4”, mentre
l’aggravio per il bilancio pubblico sarebbe maggiore (+47%, 4 miliardi di maggior spesa in base ai
calcoli del nostro modello) se si passasse alla scala ISEE.

Il maggior costo si accompagnerebbe però a effetti redistributivi non irrilevanti: nello scenario “0,4”
e in quello ISEE l’incidenza della povertà si ridurrebbe, rispettivamente, di 2,2 e 2,8 punti percentuali
e l’indice di Gini della disuguaglianza dei redditi disponibili scenderebbe di 1,4 e 1,7 punti
percentuali.

In aggiunta alla modifica strutturale della scala di equivalenza, vi sono una serie di modifiche all’Isee
che, oltre a renderne più rapida ed agevole la richiesta nel periodo del lockdown, andrebbero attuate
per migliorare l’efficacia del RdC Innanzi tutto andrebbe favorito per quanto possibile l’ottenimento
dell’Isee corrente, poiché, ancor più in questa fase emergenziale, la quantificazione del reddito e del
patrimonio effettuata nell’Isee ordinario, risalente a due anni prima, finisce per essere temporalmente
troppo distante rispetto alla situazione di bisogno. Occorrerebbe inoltre prevedere procedure
velocizzate per chi intendesse “mettersi in chiaro” e richiedere il RdC, agendo, in via
emergenziale e garantendo tempi di risposta molto rapidi, sul suddetto ISEE corrente per quei soggetti
che dovessero presentare la prima domanda. Ovviamente la misura non dovrebbe incentivare
comportamenti opportunistici da parte di chi poi volesse rientrare successivamente nel sommerso. Se
ben disegnata, e coinvolgendo anche gli enti locali, la concessione del RdC durante questa fase di
crisi potrebbe rappresentare una forma di “voluntary disclosure dei poveri” che potrebbe riportare in
chiaro migliaia di lavoratori. In questo ambito potrebbero essere pensate norme specifiche – di durata
prestabilita – relative agli impegni da stipulare nei Patti per il lavoro o per l’inclusione sociale, una
volta finita la sospensione della condizionalità.

Per rispondere all’emergenza, considerato che i riflessi si protrarranno oltre quella sanitaria, si
potrebbe anche immaginare di allentare, per un tempo definito, i vincoli patrimoniali per RdC, fermo
restando che il vincolo ISEE “morderebbe” comunque per un patrimonio complessivo (mobiliare e
immobiliare) di importo equivalente superiore a 46.800 euro. La tabella 2 – nella quale è mostrata la
distribuzione fra i diversi requisiti aggiuntivi (anni di residenza in Italia e vincoli monetari su reddito,
patrimonio mobiliare e immobiliare) fra i nuclei che rispettano il primo requisito di un ISEE inferiore
a 9.360 euro – mostra in quale modo influiscono le diverse componenti dell’Isee nell’accesso al RdC.

Dalla tabella, ottenuta mediante il medesimo modello adottato per le stime degli scenari sulle scale
di equivalenza, si osserva che poco più di 1/3 di chi soddisfa il requisito ISEE (il 35,4%) rispetta
anche i 4 requisiti principali aggiuntivi. In particolare, una quota non irrilevante di persone bisognose
in base all’ISEE (il 15,7%) viene esclusa dal beneficio perché non rispetta unicamente il vincolo
relativo al patrimonio mobiliare e una quota ancora maggiore (il 28,1%) non rispetta il solo requisito
relativo al reddito, rispetto al quale, come già sottolineato, “morde” l’applicazione di una scala di
equivalenza che, diversamente da quella ISEE, penalizza i nuclei più numerosi e con minori.
L’attuale quota di beneficiari stranieri extra comunitari rispetto al totale dei beneficiari è decisamente
inferiore a quella dei medesimi in situazione di povertà assoluta, a causa del vincolo di residenza che
risulta fortemente stringente e che può creare difficoltà di accesso anche ai senza dimora. Inoltre,
occorre tenere in considerazione le particolari difficoltà economiche alle quali potrebbero andare
incontro durante il periodo del lockdown queste categorie particolarmente fragili. Pertanto, un’altra
importante modifica che andrebbe attuata da subito e poi mantenuta nel tempo, rendendola strutturale,
riguarda proprio il vincolo residenziale che andrebbe ridotto da 10 a 2 anni con la contemporanea
abrogazione della norma che vincola ulteriormente la concessione della prestazione a favore delle
famiglie di extra-comunitari richiedendo loro una specifica certificazione da ottenere dal paese di
provenienza.

Con riguardo alla condizionalità, ovvero all’obbligo di presentazione dei beneficiari presso i Centri
per l’impiego (Cpi) o i Servizi sociali dei comuni per intraprendere i percorsi d’inclusione socio-
lavorativa, ricordiamo che essa è stata già sospesa per un tempo ridotto dal Decreto Cura Italia;
riteniamo che tale sospensione vada prolungata per un tempo più lungo oltre l‘interruzione delle
misure restrittive. Per quanto concerne gli obblighi relativi all’attivazione lavorativa, infatti,
immaginiamo che i Cpi non potranno svolgere adeguatamente il loro ruolo in presenza di una forte
carenza di domanda di lavoro. Per quanto concerne gli obblighi connessi all’attivazione sociale,
occorre salvaguardare l’importanza ed il mantenimento della presa in carico nei casi di bisogno e per
i percorsi d’inclusione già consolidati. Occorre da un lato evitare di sovraccaricare i Servizi sociali dei
comuni che dovranno rispondere anch’essi all’emergenza e ai nuovi bisogni emergenti e dall’atro,
durante il periodo di sospensione della condizionalità, operare per mantenere la presa in carico dei
nuclei beneficiari che necessiteranno di ausilio.

Una volta terminato il periodo transitorio, la misura tornerebbe ad essere condizionale, ferma restando
la possibilità di mantenere alcuni aggiustamenti per un periodo più lungo in caso l’ampiezza della
platea rispetto alla condizione dei servizi interessati lo richiedesse.

A PROPOSITO DELLE MISURE AGGIUNTIVE
Qualora si decidesse invece di effettuare solo piccoli aggiustamenti al Reddito di Cittadinanza, di cui
è in ogni caso necessario potenziare il Fondo dedicato per rispondere ai nuovi beneficiari che questa
crisi produrrà, occorre tener presente quanto segue.
In linea generale, le misure di sostegno ai redditi vanno pensate sulla base di due finalità, non
necessariamente alternative:
- in base a una logica assicurativa (i.e. ottica individuale) di mantenimento del livello abituale
di reddito da lavoro;
- in base a una logica assistenziale (i.e. ottica familiare) di supporto di ultima istanza a favore
dei nuclei che in virtù della riduzione del reddito familiare, nonostante le suddette misure
assicurative, scivolassero verso una situazione di deprivazione economica.

Gli interventi, importanti, finora realizzati dal governo si sono mossi nella direzione “assicurativa”
fornendo tutela a tutta la platea del lavoro dipendente (anche temporaneo o part-time) tramite CIG e
a tutta la platea del lavoro autonomo/parasubordinato tramite l’una tantum da 600 euro. Intervenire
sul sostegno dei redditi da lavoro o mediante indennità/ammortizzatori la cui erogazione è connessa
alla precedente attività lavorativa ci sembra fondamentale sia perché la crisi di queste settimane nasce
principalmente come rischi di caduta dei redditi da lavoro, sia perché questo tipo di intervento è il più
immediato e (non basandosi sostanzialmente sulla prova dei mezzi) meno complicato da attivare. In
aggiunta, queste misure, anche in una situazione emergenziale, fanno capire l’importanza di relazioni
lavorative basate sui contratti regolari.

Resterebbero comunque escluse alcune categorie. Dunque, sebbene sia auspicabile il proseguimento
degli interventi di “tipo assicurativo” in una logica emergenziale, magari rafforzando ed estendendo
le misure già attuate nonché possibilmente la durata degli ammortizzatori sociali per chi dovesse aver
esaurito recentemente il periodo di corresponsione, l’Alleanza non ritiene per sua natura di suggerire
interventi specifici in quest’ambito, quanto richiamare l’attenzione su coloro che comunque ne
rimarrebbero esclusi e che non sarebbero neppure coperti da un Reddito di Cittadinanza
sostanzialmente inalterato, auspicando come già chiesto, che il Governo metta in campo tutti gli
interventi straordinari necessari a sostenere il reddito delle persone che lo hanno perso a causa della
crisi epidemiologica per scongiurarne la caduta in povertà e intervenga per includere tra i beneficiari
del Reddito di Cittadinanza chi, ad oggi, pur vivendo una condizione di bisogno ne è escluso per i
vincoli imposti, a cominciare dal requisito anagrafico di 10 anni di residenza.

Non va altresì trascurato che un ulteriore canale di intervento potrebbe essere rappresentato
dall’incremento al finanziamento del welfare territoriale, anche nella direzione che il Governo ha
tracciato attraverso il decreto della Protezione civile. Attraverso questo intervento si
responsabilizzano le comunità locali che, col sostegno della rete del terzo settore, sono in grado di
mappare e intervenire con una sorta di intervento indiretto sulle concrete situazioni di fragilità sulle
situazioni che, per più ragioni, sono sconosciute all’Inps.

UN INSIEME DI INTERVENTI DA ADOTTARE IN UNA SECONDA FASE DOPO L’EMERGENZA
Le modifiche elencate di seguito sono a nostro avviso meno urgenti ma necessarie a migliorare la
funzionalità del Reddito di Cittadinanza, dunque possibilmente da adottare una volta superata la fase
critica in atto.
1. Rimane auspicabile nel lungo periodo un riequilibrio degli importi del beneficio tra le
famiglie mono e bi-componenti proprietarie di abitazione e le famiglie con minori e più
numerose, ottenibile anche attraverso un ulteriore potenziamento della scala di equivalenza,
qualora questa non fosse già stata aumentata a sufficienza nella prima fase.
2. Sebbene i criteri di ripartizione dei beneficiari tra CPI e Servizi Sociali comunali siano stati
ridefiniti nel corso dell’iter parlamentare del provvedimento, tuttavia riteniamo che la
mancanza di un’analisi preliminare non consenta ancora di indirizzare al meglio i beneficiari
nel loro percorso d’inclusione socio-lavorativa. In particolare rischia di non essere
ottimizzata la presa in carico di quei nuclei che presentano una molteplicità di problemi
contemporaneamente (tra i quali es: perdita del lavoro, figli minori, situazioni di dipendenza,
disabilità). Occorrerebbe dunque ripristinare l’analisi preliminare, senza la quale una
maggiore integrazione tra i servizi sociali e quelli per l’impiego, comunque da rafforzare,
diventa imprescindibile per il buon funzionamento dei percorsi d’inclusione dei beneficiari.
L’assenza dei punti unici di accesso ha costituito effettivamente un problema rispetto a
quanto sperimentato con il Rei? Sebbene possano risultare gravosi per i Comuni, essi infatti
potrebbero anche svolgere un ruolo positivo di raccordo tra i Servizi Sociali e i CPI.
Occorrerebbe valutare l’attuale sinergia ed efficacia delle due piattaforme dedicate a
riguardo.
3. In tale ottica diventa ancor più prioritario il rafforzamento dei servizi sociali e della
complessiva infrastruttura sociale territoriale, al fine di mettere le istituzioni pubbliche nelle
condizioni di supportare la complessità di bisogni che una drammatica crisi, come quella
attuale, produrrà tra le persone, in particolare tra le più fragili.
4. La scomparsa del Piano Nazionale per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale non
consente di aggiustare rapidamente lo strumento e i suoi parametri rispetto alle eventuali
nuove risorse a disposizione o di modificarlo adeguatamente in base alle eventuali
indicazioni provenienti dal monitoraggio o dal nucleo di valutazione. Occorrerebbe
recuperare questa flessibilità attraverso un programma pluriennale concordato con le
Organizzazioni sociali che leghi gli eventuali risparmi a future modifiche dello strumento,
anche per garantire che non vadano a finanziare misure che non riguardino la povertà o siano
usati per il risanamento dei conti.
5. La mancanza di un Osservatorio sulla povertà non consente un adeguato controllo da parte
di componenti esterni alla pubblica amministrazione sull’andamento dello strumento e sul
suo monitoraggio. L’esperienza del passato (sul SIA e REI) ha dimostrato che il
monitoraggio risulta spesso tardivo ed incompleto mentre sarebbe fondamentale per definire
i futuri interventi migliorativi di adeguamento dello strumento. Oltre al nucleo di valutazione
già previsto dalla normativa sul Reddito di Cittadinanza, che tuttavia per essere realmente
efficace dovrebbe essere messo in grado di operare al più presto, occorrerebbe dunque creare
un organismo di confronto permanente con le principali Organizzazioni coinvolte nel
contrasto alla povertà.
6. Occorrerebbe concedere ai senza dimora una piccola quota aggiuntiva del beneficio da
intendersi come “dote abitativa”.
7. La contabilizzazione del reddito da lavoro nel calcolo dell’indicatore è solo lievemente
ridotta e la riduzione è prevista per un tempo assai limitato. Questo non può essere sufficiente
ad arginare la trappola di povertà. Occorrerebbe operare una modifica al riguardo. Questo
problema, che ormai risulta essere stato sollevato da diversi esperti della materia, potrebbe
essere affrontato principalmente in due modi, che permetterebbero, anche in linea con i
principali strumenti di sostegno al reddito vigenti in altri paesi, una maggiore cumulatività
del beneficio con altri guadagni: riducendo comunque l’impatto di un reddito percepito nel
nucleo per le soglie di accesso ed il calcolo del beneficio (così come veniva effettuato nel
REI attraverso l’uso dell’ISR), oppure scontando, almeno fino ad una certa soglia, una parte
dei nuovi redditi percepiti dai beneficiari del sostegno economico (come indicato nel Reis).
Nel primo caso si darebbe un maggior sostegno anche a chi è già un “lavoratore povero” nel
momento della richiesta del beneficio.(08/05/2020-ITL/ITNET)

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