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FORMAZIONE - LAVORO ITALIANI - ISTAT: ITALIANI AGLI ULTIMI POSTI IN EUROPA PER LIVELLO ISTRUZIONE E NEL SUD RIMANGONO INFERIORI SIA LIVELLI ISTRUZIONE CHE TASSI OCCUPAZIONE ANCHE FRA LAUREATI
(2020-07-22)
In Italia, la quota di popolazione con titolo di studio terziario continua a essere molto bassa: il 19,6% contro il 33,2% dell’Ue. Nel Mezzogiorno rimangono decisamente inferiori sia i livelli di istruzione (il 54% possiede almeno un diploma, 65,7% nel Nord) sia i tassi di occupazione anche delle persone più istruite (71,2% tra i laureati, 86,4% nel Nord). Il divario territoriale nei tassi di occupazione dei laureati è più ampio tra i giovani e raggiunge i 24,9 punti. Migliora il tasso di occupazione dei giovani diplomati e laureati alla fine del percorso di istruzione e formazione (+2,2 punti sul 2018; 22,8 punti di divario dall’Ue)
E' TEMPO DI SFATARE alcune affermazioni circa l'alto livello di istruzione degli italiani gli Italiani sono fra gli ultimi in Europa per livello di istruzione La quota di popolazione tra i 25 e i 64 anni in possesso di almeno un titolo di studio secondario superiore è il principale indicatore del livello di istruzione di un Paese. Il diploma è considerato, infatti, il livello di formazione indispensabile per partecipare con potenziale di crescita individuale al mercato del lavoro. In Italia, nel 2019, tale quota è pari a 62,2% (+0,5 punti rispetto al 2018), un valore decisamente inferiore a quello medio europeo (78,7% nell’Ue28) e a quello di alcuni tra i più grandi paesi dell’Unione: 86,6% in Germania, 80,4% in Francia e 81,1% nel Regno Unito. Solo Spagna, Malta e Portogallo hanno valori inferiori all’Italia. Non meno ampio è il divario rispetto alla quota di popolazione di 25-64enni con un titolo di studio terziario: in Italia, si tratta del 19,6%, contro un valore medio europeo pari a un terzo (33,2%). Anche la crescita della popolazione laureata è più lenta rispetto agli altri paesi dell’Unione, con un incremento di soli +0,3 punti nell’ultimo anno (+0,9 punti in media Ue) e di +2,7 punti nell’ultimo quinquennio (+3,9 punti). I livelli e la velocità di cambiamento di questi indicatori risentono anche della struttura demografica della popolazione e della sua evoluzione. Per questo sono stati identificati più indicatori in grado di dar conto in modo compiuto del posizionamento dei diversi paesi e soprattutto dei sentieri di sviluppo del grado di istruzione della popolazione e delle sue relazioni con il successo sul mercato del lavoro.
ED E' UN DATO DI FATTO: I LAUREATI HANNO PIU' OPPORTUNITA' DI LAVORO RISPETTO AI DIPLOMATI Il tasso di occupazione della popolazione laureata residente in Italia è superiore solo a quello greco ed è di ben 5 punti più basso di quello medio europeo (81,4% verso 86,3%); tale differenza si riduce al crescere dell’età ma si annulla solo nelle classi di età più mature, dai 50 anni in su.
Nel nostro paese, dunque, le opportunità occupazionali sono minori anche per coloro che raggiungono il più alto livello di istruzione, ma il “premio” che ne deriva, inteso come la maggiore occupabilità al crescere del titolo di studio conseguito, è elevato e in linea con quanto si osserva nella media dell’Unione. Nel 2019, il tasso di occupazione italiano tra i laureati di 25-64 anni è di quasi 30 punti (28,6) più elevato di quello registrato tra chi ha conseguito al massimo un titolo secondario inferiore (la differenza è di 29,0 punti nella media Ue).
Il risultato deriva dalla somma del vantaggio occupazionale (pari a 18,6 punti) di chi ha un titolo secondario superiore rispetto a chi ha un titolo secondario inferiore e di quello (10,0 punti) di chi ha un titolo di studio terziario rispetto a chi ha un secondario superiore (le differenze in media Ue sono rispettivamente 19,6 e 9,4 punti).
Inoltre, se per la popolazione laureata il tasso di occupazione già dal 2018 ha superato il valore del 2008, anno di avvio della crisi economica mondiale, per la popolazione diplomata il tasso del 2019 è ancora di circa 3 punti percentuali inferiore, registrando la maggior perdita di posti di lavoro durante la crisi e la ripresa più debole. Il vantaggio occupazionale della laurea rispetto al diploma è dunque in aumento.
SUI LIVELLI DI OCCUPAZIONE FEMMINILE VEDI:
Pochi e scarsamente occupati gli stranieri diplomati e laureati Le differenze nei livelli di istruzione per cittadinanza sono molto ampi. Nel 2019, solo il 47,3% degli stranieri ha conseguito almeno il diploma di scuola secondaria superiore (o un titolo equivalente) e appena il 12,0% un titolo terziario; tra i cittadini italiani le quote salgono al 64,0% e al 20,6% rispettivamente . Il gap di cittadinanza è ampio anche nella media Ue, seppur con sostanziali differenze tra i Paesi. Tuttavia, mentre nell’Ue e nei principali Paesi dell’Unione il livello di istruzione degli stranieri nel corso del tempo ha registrato importanti aumenti, in Italia la quota di stranieri con almeno il titolo secondario superiore si è molto ridotta (dal 2008, -6,3 punti contro i +4,7 punti nella media Ue) e quella di chi ha un titolo terziario è rimasta invariata (dal 2008: -0,5 punti; +8,9 punti nella media Ue).
Nel 2008, il tasso di occupazione degli stranieri residenti in Italia era più elevato di quello medio Ue, per tutti i livelli di istruzione; l’impatto della crisi economica sull’occupazione straniera, però, è stato più forte che nel resto d’Europa, in particolare per i titoli di studio medio-alti, e anche la ripresa successiva è stata più flebile. Di conseguenza, nel 2019, il tasso di occupazione degli stranieri con titolo di studio medio-alto è significativamente inferiore a quello medio europeo; resta più elevato soltanto quello degli stranieri con basso livello di istruzione.
Nel Mezzogiorno l’istruzione è scarsa ma premia sempre La popolazione residente nel Mezzogiorno è meno istruita rispetto a quella nel Centro-nord: poco più della metà degli adulti ha conseguito almeno il diploma di scuola secondaria superiore e nemmeno uno su sei ha raggiunto un titolo terziario (al Centro oltre i due terzi è almeno diplomato e quasi uno su quattro ha conseguito la laurea). Le differenze territoriali nei livelli di istruzione permangono, indipendentemente dal genere.
Nel Mezzogiorno, i vantaggi occupazionali dell’istruzione sono maggiori rispetto al Centro-nord; in particolare le donne residenti nel Mezzogiorno che raggiungono un titolo terziario aumentano considerevolmente la loro partecipazione al mercato del lavoro e riducono il divario con gli uomini e con le donne del Centro-nord. Ciononostante, i tassi di occupazione nel Mezzogiorno restano molto più bassi che nel resto del Paese e quelli di disoccupazione molto più alti, anche tra chi ha un titolo di studio elevato.
Giovani più istruiti ma l’Europa è lontana I giovani sono più istruiti del resto della popolazione: nel 2019, oltre i tre quarti (76,2%) dei 25-34enni ha almeno il diploma di scuola secondaria superiore, a fronte di appena la metà (50,3%) dei 55-64enni, del 57,7% dei 45-54enni e del 68,3% dei 35-44enni. Lo svantaggio dell’Italia rispetto al resto dell’Europa nei livelli di istruzione della popolazione, pur riducendosi nelle classi di età più giovani, resta comunque marcato.
Penultimi in Europa, quota di laureati in stallo La strategia Europa2020 aveva tra i target per l’istruzione l’innalzamento della quota di 30-34enni in possesso di un titolo di studio terziario, considerato un obiettivo fondamentale per una “società della conoscenza”. Nel 2019, in Italia, la quota di giovani laureati non cresce (27,6%; -0,2 punti rispetto al 2018) mentre l’Unione europea, la Francia, la Spagna e il Regno Unito (pur avendo già superato l’obiettivo strategico del 40%) registrano, nel 2019, un ulteriore aumento (+0,9, +1,3, +2,3 e +1,2 punti). L’Italia resta dunque al penultimo posto nell’Ue, in posizione davvero isolata, seconda solo alla Romania (Figura 3). La bassa quota di giovani con un titolo terziario risente anche della molto limitata disponibilità di corsi terziari di ciclo breve professionalizzanti , in Italia erogati dagli Istituti Tecnici Superiori. Nonostante tali corsi siano diffusi solo in alcuni Paesi europei, in Spagna e in Francia danno origine a circa un terzo dei titoli terziari conseguiti.
Il divario con la media europea è ancora più marcato se si considerano i giovani stranieri: nel 2019, in Italia, solo il 12,8% dei 30-34enni stranieri ha un titolo terziario, a fronte del 38,7% nell’Ue (34,3% in Germania, 31,3% in Spagna, 42,8% in Francia e 55,7% nel Regno Unito). Nell’ultimo anno resta invariato il differenziale, molto marcato, a favore delle donne: una giovane su tre è laureata, mentre lo è solo un giovane su cinque, un vantaggio peraltro superiore a quello medio europeo. Molto marcato e in considerevole aumento negli anni il divario territoriale a sfavore del Mezzogiorno, dove si laurea circa un quinto dei giovani (21,2%, stabile rispetto al 2018), contro l’oltre 30% registrato nel Nord (31,4%, -1,1 punti rispetto al 2018) e nel Centro (31,3%, +1,4 punti). Permane dunque una forte criticità nel perseguire gli obiettivi di equità nel raggiungimento di adeguati livelli di istruzione, fondamentali a garantire cittadinanza attiva e congrue opportunità di accesso al lavoro.
Tasso di occupazione dei 30-34enni laureati: ampio il divario con l’Europa Nonostante il limitato numero di giovani laureati in Italia, le loro prospettive occupazionali sono relativamente più deboli rispetto ai valori medi europei: la quota degli occupati tra i 30-34enni laureati non raggiunge l’80% (78,9%) contro un valore medio europeo dell’87,7% ((Figura 4). Tra i più giovani, la differenza Italia-Ue nei tassi di occupazione dei laureati sale dunque a 9 punti; indicando un mercato de lavoro che assorbe con difficoltà e lentezza il giovane capitale umano più formato del Paese.
Anche tra i giovani, resta tuttavia importante e di entità simile a quello medio europeo il vantaggio occupazionale della laurea rispetto al diploma: il tasso di occupazione tra i 30-34enni laureati è di quasi 10 punti più elevato di quello tra i diplomati (69,5%), essendo anche cresciuto in maniera sostenuta nel corso degli anni. Resta invece inferiore a quello medio europeo il vantaggio occupazionale dei giovani con diploma rispetto a coloro che non hanno conseguito questo titolo.
Le giovani donne registrano vantaggi occupazionali molto forti al crescere del livello di istruzione, ma il tasso di occupazione femminile resta significativamente inferiore a quello maschile anche per le laureate più giovani (75,9% contro l’83,4% dei laureati). Nel Mezzogiorno, l’ampio divario territoriale nella quota di laureati occupati - dovuto alla ridotta domanda di lavoro anche per i livelli di istruzione più elevati - si allarga ancora di più tra i laureati più giovani.
Ancora forte lo svantaggio femminile nelle lauree tecnico-scientifiche Nel 2019, il 24,6% dei laureati (25-34enni) ha una laurea nelle aree disciplinari scientifiche e tecnologiche; le cosiddette lauree STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics).
Il divario di genere è molto forte: il 37,3% degli uomini ha una laurea STEM contro il 16,2% delle donne. Le quote si invertono per le lauree umanistiche: 30,1% tra le laureate e 15,6% tra i laureati. Anche le lauree nell’area medicosanitaria e farmaceutica sono conseguite più frequentemente dalle donne (18,2% contro 14,5% di uomini), mentre per l’area socio-economica e giuridica la proporzione è simile (35,5% tra le laureate e 33,2% tra i laureati). La quota di laureati in discipline STEM non è molto variabile sul territorio, passando dal 23,5%del Mezzogiorno al 25,3% del Nord.
Gli uomini con laurea STEM sono meno numerosi rispetto al resto dell’Ue Il confronto con altri Statiiii indica come in Italia la quota di 25-34enni con un titolo terziario nelle discipline STEM sia simile alla media dei 22 paesi dell’Unione europea membri dell’OCSE (25,4%) e al valore del Regno Unito (23,2), di poco inferiore alla Francia (26,8%) e alla Spagna (27,5%) e più distante dalla quota della Germania (32,2%).
Se per la componente maschile, il divario va da un minimo di 6 punti, con la media Ue22 e con il Regno Unito, ad un massimo di 13 punti, con la Germania, per le giovani laureate l’incidenza delle discipline STEM è persino superiore a quella registrata nella media Ue22 e negli altri grandi Paesi europei. Il divario di genere, nelle scelte delle discipline tecnico-scientifiche, appare dunque in Italia un po’ meno marcato che negli altri Paesi europei.
Determinante l’area disciplinare della laurea per trovare lavoro L’attenzione alla scelta dell’indirizzo di studio universitario trova ragione nelle importanti differenze che si osservano nei tassi di occupazione dei laureati per area disciplinare. Nel 2019, il tasso di occupazione della popolazione laureata raggiunge il livello più alto per l’area medicosanitaria e farmaceutica (86,8%), seguono le lauree nell’ambito scientifico e tecnologico, le cosiddette STEM (83,6%), quelle dell’area socio-economica e giuridica (81,2%) e infine i titoli dell’area umanistica e servizi (76,7%). Questa associazione tra ritorni occupazionali e ambiti disciplinari è indipendente dal genere e dalla ripartizione geografica. Tuttavia, le differenze nei tassi di occupazione tra le lauree medico-farmaceutiche, STEM e socio-economiche sono più contenute tra gli uomini e nel Centro-nord, mentre per le donne e nel Mezzogiorno, i tassi di occupazione delle lauree nell’area medico-sanitaria e farmaceutica sono decisamente più elevati di quelli degli altri ambiti disciplinari. D'altronde, le opportunità occupazionali risentono del tessuto produttivo che caratterizza l’area geografica di residenza; nel Mezzogiorno, la concentrazione industriale e di impresa è bassa e risulta ridotta anche la domanda di lavoro verso skills tecnico-scientifici.
Infine, il divario di genere nei ritorni occupazionali, a sfavore delle donne, rimane elevato anche tra i laureati nelle discipline tecnico-scientifiche (STEM) e anche per i corsi a maggiore occupabilità tra quelli STEM; come ad esempio ingegneria e architettura.
Ancora troppo alto fra i giovani l’abbandono degli studi L’abbandono precoce del sistema di istruzione e formazione - il fenomeno degli Early Leavers from Education and Training (ELET) – è di rilevante importanza anche a livello europeo. La quota di 18-24enni che possiede al più un titolo secondario inferiore ed è già fuori dal sistema di istruzione e formazione è uno degli indicatori della Strategia Europa2020; per il quale il benchmark europeo è stato fissato al 10%. Nel 2019, nonostante il valore in Italia scenda al 13,5% (per un totale di 561 mila giovani), in linea con la tendenza di più lungo periodo, la percentuale di ELET resta sopra al valore benchmark, quasi raggiunto in media dall’Ue28, dal Regno Unito e dalla Germania e già superato da diversi anni in Francia.
Gli ELET italiani lavorano meno di quelli europei In Italia, nel confronto con l’Europa, alla più elevata incidenza di giovani che abbandonano precocemente gli studi, si associa una quota di occupati, tra questi, significativamente inferiore (-11 punti). In Italia è occupato un giovane ELET su tre (35,4%), nella media Ue poco meno di uno su due (46,6%). (Figura 7). Di contro, in Italia un ELET su due dichiara che vorrebbe lavorareiv a fronte di uno su tre in Europa. Il differenziale Italia-Europa nel tasso di occupazione degli ELET è aumentato fortemente durante la crisi economica del 2009- a causa del più sostenuto calo occupazionale in Italia - e di conseguenza la quota di ELET che avrebbe voluto lavorare è molto cresciuta. Il divario con l’Europa ha continuato ad ampliarsi nei primi anni della ripresa; infatti, solo nell’ultimo biennio si registrano segnali di miglioramento anche in Italia (+3,9 e +1,8 punti le variazioni nel tasso di occupazione degli ELET, rispettivamente nell’ultimo biennio e nell’ultimo anno).
Abbandono scolastico e lavoro: forti i divari di genere e territoriali Le giovani donne sono meno frequentemente coinvolte nel fenomeno dell’abbandono scolastico precoce rispetto ai coetanei (rispettivamente 11,5% e 15,4%, nel 2019). Tuttavia, il tasso di occupazione delle giovani che hanno abbandonato gli studi è solo del 26,1%, mentre sale al 41,8% tra i ragazzi. Il vantaggio femminile, in termini di minori abbandoni scolastici precoci, viene dunque meno quando si confronta la quota di chi, avendo abbandonato gli studi, è comunque riuscito a inserirsi nel mondo del lavoro. I divari territoriali rispetto al fenomeno degli ELET sono molto ampi e persistenti: nel 2019, l’abbandono degli studi prima del completamento del sistema secondario superiore o della formazione professionale è del 18,2% nel Mezzogiorno (-0,6 punti), 10,5% nel Nord (-1,6 punti) e 10,9% nel Centro (+0,2 punti). Alla più elevata incidenza di giovani che abbandonano precocemente gli studi, nel Mezzogiorno si associa il più basso tasso di occupazione degli stessi (22,7%); valore marcatamente inferiore a quello del Nord e del Centro (49,5% e 46,9%), dove il mancato proseguimento degli studi si accompagna a un numero decisamente più consistente di giovani occupati.
L’uscita precoce dagli studi è molto più frequente tra i giovani stranieri: 36,5% contro 11,3% degli italiani. Alla più alta quota di giovani stranieri che abbandonano precocemente gli studi, si associa tuttavia un più elevato tasso di occupazione (44,1% contro 32,7%).
Poco il lavoro per chi ha bassa istruzione La mancanza di opportunità educative riduce la probabilità che da adulto riesca a sottrarsi a una condizione di disagio economico, poiché una bassa istruzione implica una maggiore difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro. Confrontando la condizione occupazionale dei giovani ELET con i coetanei che hanno abbandonato i percorsi di istruzione e formazione dopo aver raggiunto il titolo secondario superiore, si osserva che oltre la metà di questi ultimi (53,6%) è occupato già dopo pochi anni dall’uscita dagli studi, contro appena un terzo degli ELET (35,4%) (Figura 8). Peraltro, il basso tasso di occupazione degli ELET non deriva da uno scarso interesse a entrare nel mondo del lavoro, ma dalla reale difficoltà a trovare un’occupazione; il tasso di mancata partecipazione, cioè la quota di non occupati tra quanti sono disponibili a lavorarev è infatti significativamente maggiore tra gli ELET (56,2%) rispetto ai diplomati (38,9%).
INFINE: Nell’Ue primato italiano per i giovani non occupati e non in formazione I giovani non più inseriti in un percorso scolastico/formativo e neppure impegnati in un’attività lavorativa, i cosiddetti NEET (Neither in Employment nor in Education and Training) - pur avendo caratteristiche e motivazioni di base eterogenee - hanno in comune una condizione che, se protratta a lungo, può comportare il rischio di concrete difficoltà di inclusione nel mondo del lavoro.
Nel 2019, in Italia, l’incidenza dei giovani di 15-29 anni non occupati e non in formazione cala di 1,2 punti rispetto al 2018 e raggiunge il 22,2% (2 milioni di giovani). La quota di NEET è la più elevata tra i Paesi dell’Unione, di circa 10 punti superiore al valore medio Ue28 (12,5%) e decisamente distante dai valori degli altri grandi Paesi europei.
L’incidenza dei NEET è maggiore tra i giovani con un titolo secondario superiore (23,4%), leggermente più bassa tra chi ha raggiunto al massimo un titolo secondario inferiore (21,6%) ed è minima tra coloro che possiedono un titolo terziario (19,5%). In Europa invece l’incidenza è massima tra coloro che possiedono un basso livello di istruzione (14,8%), confermandosi minima tra i laureati (9,0%).
Tuttavia, se la quota di NEET viene calcolata escludendo dal denominatore i giovani ancora in istruzione o formazione, tra chi ha al massimo un titolo di studio secondario inferiore risulta molto più elevata rispetto a chi ha un titolo secondario superiore, sottolineando l’indubbio vantaggio di possedere un diploma. Tra chi non è più in istruzione, le possibilità di essere occupato invece che NEET sono decisamente maggiori tra i diplomati. Il risultato invece non cambia se si confronta il titolo secondario superiore con il terziario, poiché la quota di 15-29enni ancora in istruzione è simile e conferma l’entità della differenza, con un ruolo leggermente più protettivo del titolo di studio terziario nell’incidenza della condizione di NEET.
NEET: il livello di istruzione non attenua i divari territoriali La condizione di NEET è più diffusa tra le donne (24,3% contro il 20,2% degli uomini) Indipendentemente dal livello di istruzione posseduto.
Nel Mezzogiorno l’incidenza dei NEET è più che doppia (33,0%) rispetto al Nord (14,5%) e molto più alta di quella rilevata al Centro (18,1%). Il divario territoriale nell’incidenza del fenomeno (18,5 punti tra Mezzogiorno e Nord) permane ampio indipendentemente dal livello di istruzione.
Tra gli stranieri i NEET sono il 31,2% contro il 21,2% degli italiani, una differenza dovuta quasi esclusivamente alla componente femminile: sono il 40,6% tra le straniere e il 22,3% tra le italiane (tra gli uomini le quote sono 21,4% e 20,1% rispettivamente). Il divario di cittadinanza nella condizione di NEET si riduce tra chi possiede un titolo di studio secondario superiore. Il 36,8% dei NEET cerca attivamente un lavoro, il 31,1% fa parte delle forze di lavoro potenziali (cfr. Glossario), mentre il restante 32,0% non cerca un impiego e non sarebbe disponibile a lavorare. Questi ultimi, gli inattivi più lontani dal mercato del lavoro, sono più frequentemente NEET con basso livello di istruzione (Figura 10).
La quota di NEET interessati a lavorare (disoccupati e forze di lavoro potenziali) è più bassa tra le donne (59,1%) rispetto agli uomini (77,9%). La differenza si riduce all’aumentare del livello di istruzione: tra chi ha un basso titolo di studio una giovane NEET su due non cerca lavoro e non è disponibile a lavorare contro un giovane NEET su quattro; tra chi ha un medio titolo di studio non cerca lavoro e non è disponibile a lavorare una giovane NEET su tre contro un giovane su cinque. Infine, tra chi ha un titolo terziario la volontà di entrare nel mondo del lavoro di uomini e donne è decisamente più simile.
Nel Mezzogiorno la quota dei NEET interessati a lavorare è notevolmente più elevata: sono il 75,1% a fronte del 62,6% del Centro e del 56,7% del Nord. Peraltro, la differenza territoriale permane indipendentemente dal livello di istruzione raggiunto dal giovane NEET ad indicare come nel Mezzogiorno la condizione di NEET sia la conseguenza di minori opportunità lavorative che tengono ai margini del mondo del lavoro anche i giovani interessati ad entrarvi.
Tra gli stranieri, qualunque sia il loro livello di istruzione, la condizione di NEET più difficilmente si lega alla volontà di entrare nel mercato del lavoro rispetto a quanto osservato tra gli italiani. La quota di disoccupati e forze di lavoro potenziali, pur essendo considerevole, è significativamente più bassa di quella rilevata tra i NEET italiani (50,5% verso il 70,9%). La differenza è dovuta alla sola componente femminile: tra le straniere la quota di NEET disoccupate o forze di lavoro potenziali è almeno 20 punti inferiore a quella delle italiane.
Diplomati e laureati: migliora il passaggio dalla scuola al lavoro Per monitorare la transizione dalla scuola al lavoro, si utilizza il tasso di occupazione dei 20-34enni, non più inseriti in un percorso di istruzione e formazione, che hanno conseguito il titolo di studio (secondario superiore o terziario) da uno a non più di tre anni. vi Nel 2019, in Italia, l’indicatore è pari a 58,7% (+2,2 punti rispetto al 2018); sintesi di un tasso di occupazione dei diplomati pari al 52,9% (+2,6 punti) e dei laureati pari al 64,9% (+2,1 punti). (Figura 11). La dinamica tendenziale è più vivace rispetto a quello dell’anno precedente, che aveva mostrato un rallentamento nella crescita decisamente sostenuta registrata nel triennio 2015-2017, primo segnale positivo dopo il gravissimo deterioramento del quadro occupazionale giovanile italiano negli anni della crisi.
Divari con il resto dell’Europa restano molto ampi I valori restano però drammaticamente inferiori a quelli medi Ue28 (pari a 81,5% nel totale, 76,4% tra chi ha conseguito un titolo secondario superiore e 85,3% tra chi ha conseguito un titolo terziario); segnando un divario Italia-Europa nel tasso di occupazione di 23,5 punti per i diplomati e di 20,4 punti per i laureati.
Anche l’indicatore relativo al tasso di disoccupazione, applicato sullo stesso collettivo, conferma le ridotte prospettive occupazionali dei giovani italiani all’uscita dal ciclo di studi e le forti criticità che caratterizzano la transizione dal percorso formativo al mercato del lavoro. In Italia, l’indicatore assume valori molto alti ed è pari al 27,7% nei diplomati e al 17,9% nei laureati (13,2% e 8,1% i rispettivi valori medi dell’Ue28).
Ricerca del lavoro poco attiva ma restano scarse le possibilità Nonostante in Italia e in particolare in alcune aree del paese, anche dopo pochi anni dall’uscita dagli studi, la ricerca di lavoro sia spesso poco attiva, in termini di numero e frequenza delle azioni di ricerca, l’attachment al mercato del lavoro è comunque presente. Il tasso di mancata partecipazione (che oltre ai disoccupati tiene conto anche delle persone che non hanno cercato lavoro nelle ultime 4 settimane ma sarebbero disponibili a lavorare) raggiunge valori molto elevati e indica che dopo uno-tre anni dall’uscita dagli studi, il 40,1% dei diplomati e il 27,2% dei laureati disponibili a lavorare non è occupato.
Il divario di genere nelle opportunità occupazionali all’uscita dal percorso di istruzione e formazione si riduce molto quando si passa dal diploma alla laurea. La differenza tra donne e uomini nel tasso di occupazione si riduce da -13 a -4 punti; nel tasso di disoccupazione da 7,6 a 1,5 punti; in quello della mancata partecipazione da 9,9 a 2,5 punti .
I differenziali tra Nord e Mezzogiorno nella transizione scuola-lavoro restano invece molto forti anche per i titoli di studio più elevati. Tra i laureati, il tasso di occupazione del Mezzogiorno è 31 punti inferiore a quello del Nord (34,5 la differenza nei diplomati); il tasso di disoccupazione è 23,2 punti più elevato (26,8 la differenza nei diplomati) e il tasso di mancata partecipazione è di 32,6 punti superiore (37,5 punti tra i diplomati). In particolare, nel Mezzogiorno, tra i laureati usciti uno-tre anni prima, è occupato meno di uno su due (46,1%), il tasso di disoccupazione raggiunge il 32,9% e circa uno su due, tra quelli usciti dagli studi e disponibili a lavorare, non è occupato. La struttura produttiva del Mezzogiorno appare incapace di assorbire anche l’offerta di lavoro più qualificata nonostante la quota di laureati in quest’area del Paese sia, peraltro, molto contenuta. (22/07/2020-ITL/ITNET)
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