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CULTURA ITALIANA NEL MONDO - ARCHEOLOGIA - ALL'AVENTINO (ROMA) UN NUOVO GIOIELLO CHE RACCHIUDE 8 SECOLI DI STORIA

(2020-10-07)

  A quasi vent’anni dall’apertura del Mitreo di Santa Prisca, all’Aventino si inaugura una nuova area
archeologica: otto secoli di storia dell’antica Roma, quattro anni di scavi, due di progettazione, un
allestimento multimediale.
È La scatola archeologica della Domus Aventino, un progetto della Soprintendenza Speciale di Roma e
Bnp-Paribas Real Estate per molti aspetti unico, dove si uniscono archeologia, architettura e tecnologia
dando origine al primo sito all’interno di un complesso residenziale privato che si aprirà regolarmente
alle visite.

«La scatola archeologica della Domus Aventino è per molti aspetti innovativa e virtuosa –spiega Daniela
Porro Soprintendente Speciale di Roma–. Presenta uno scavo come gli archeologi lo hanno indagato,
grazie a un complesso progetto architettonico della Soprintendenza Speciale di Roma a cui hanno
collaborato splendidamente per la parte multimediale Piero Angela e Paco Lanciano. Grazie alla
fruttuosa collaborazione con Bnb-Paribas Real Estate, che ha sposato l’iniziativa finanziando l’intera
operazione, oggi non solo possiamo presentarla, ma questo gioiello archeologico sarà aperto ai
visitatori».

«Negli ultimi anni abbiamo lavorato in team con la Soprintendenza per arrivare a completare un progetto
archeologico unico per la città di Roma: un museo all’interno di un condominio. Una sfida che abbiamo
vinto tutti quanti riuscendo a coniugare gli interessi imprenditoriali con il desiderio di restituire al mondo
uno scrigno nascosto, testimone millenario del nostro passato. Si è trattato di un caso esemplare di
virtuosismo tra pubblico e privato che siamo onorati di poter presentare.

Dallo scavo sono emersi mosaici, strutture e materiali incomparabili, che dall’VIII secolo avanti Cristo
arrivano al III dopo Cristo. Dai primi terrazzamenti nel banco di tufo dell’Aventino fino a una sontuosa
residenza, che dall’età tardo repubblicana a quella medio imperiale subisce continue trasformazioni.
A raccontare la storia di questo prezioso angolo di Roma l’allestimento multimediale curato da Piero
Angela e Paco Lanciano, che si avvale di video mapping e proiezioni.

La proficua cooperazione tra Soprintendenza e Bnp Paribas Real Estate non si è limitata alla sola tutela e
conservazione: dal prossimo novembre il sito sarà aperto al pubblico con visite guidate inizialmente
programmate due volte al mese e sono in pubblicazione due volumi sugli scavi.

Dell’Aventino le fonti letterarie ricordano la natura aspra dei luoghi che ha condizionato l’insediamento umano fin dai primordi della storia. Coinvolto nel mito delle origini di Roma, deve la sua fortuna nel tempo proprio alla peculiare morfologia di roccaforte in posizione strategica, ricca di risorse idriche di superficie e del sottosuolo., spiegano Roberto Narducci e Letizia Rustico.

Le indagini archeologiche a seguito del cambiamento di destinazione d’uso degli edifici della Banca Nazionale del Lavoro risalenti al 1952, si sono svolte dal 2014 al 2018. Tra i plinti di fondazione del vecchio complesso sono riemerse le significative tracce di un paesaggio urbano del passato, posto lungo il versante meridionale del colle e prospiciente un’area pianeggiante dove passava in antico il vicus Piscinae Publicae, oggi viale Aventino.

Dopo una frequentazione nell’VIII secolo a.C., epoca della fondazione di Roma, lo scavo ha individuato un muro in blocchi, interpretabile come un apprestamento militare, forse la fondazione di una torre di guardia, edificata tra VI e III secolo a.C., quando Roma, per fronteggiare le minacce di invasione a cui era sottoposta, predispone un circuito di mura difensive, visibili attualmente a piazza Albania e in via di Sant’Anselmo con due tratti monumentali.

Si data alla fine del III secolo a.C. la sistemazione del pianoro con la realizzazione di una grande colmata di terra e detriti che aveva lo scopo di rialzare la quota del terreno, attenuandone le asperità e ampliando la superficie piana a disposizione. Da qui provengono interessanti materiali che per varietà e quantità documentano uno dei più rilevanti depositi di questo periodo mai rinvenuti a Roma.

Intorno alla metà del II secolo a.C. un’imponente muratura di sostruzione in opera incerta segna un
diverso utilizzo dell’area: da difensivo per la collettività a residenziale privato, in concomitanza con una rinnovata situazione socio economica. All’interno di questa opera si sviluppa una domus,vissuta come espressione di prestigio sociale da parte della proprietà. Dell’abitazione si sono riconosciute le zone residenziali per la notte e per il giorno, quelle destinate allo stivaggio di merci o di derrate alimentari, e quelle all’aperto, utilizzate come giardini con il sistema di smaltimento delle acque, ma soprattutto si sono identificate le fasi edilizie, concentrate in uno spazio limitato, vincolato dall’orografia del terreno.

Sei i livelli pavimentali sovrapposti messi in luce in un settore della residenza, a testimonianza dei rifacimenti avvenuti in questo luogo nell’arco di due secoli. Lo studio dei materiali provenienti dagli strati preparatori ha permesso di stabilire che all’incirca a distanza di trenta anni, venivano ristrutturati gli ambienti. Ad ogni cambio di generazione i proprietari mettevano mano alla riorganizzazione della domus, seguendo la moda dei tempi e adattando la dimora alle nuove necessità.

La fase più antica della fine del I secolo a.C., è costituita da un mosaico in tessere bianche e nere a
esagoni e da un piano in cementizio bianco punteggiato da dadi neri. Seguono due pavimenti in
cementizio ascrivibili alla seconda metà del I secolo d.C. e agli inizi del secolo successivo.

Particolare è il lacerto musivo con iscrizione, databile agli anni del regno dell’imperatore Traiano (98-117 d.C.) e conservato in frammenti a causa del reimpiego delle tessere, riutilizzate nelle successive trasformazioni. L’iscrizione ricorda l’offerta della pavimentazione a spese di tre personaggi appartenenti a un collegium con sede in quella parte della domus, prefigurandone per questo periodo un uso semipubblico, riservato ai membri dell’associazione.

Della fase di età adrianea (117-138 d.C.), rimangono mosaici in tessere bianche e nere, intrecciate tra loro nei colori contrastanti in modo da delineare eleganti motivi geometrici. Un esemplare di questo periodo, in buono stato di conservazione, è stato lasciato a vista nell’area archeologica.

I cinque rivestimenti musivi di età antonina (150-175 d.C.), apparsi per primi agli scopritori, sono senza dubbio quelli maggiormente rappresentativi dello straordinario contesto. L’estensione e la vivace policromia nel repertorio iconografico dei tappeti lascia intuire una committenza di alto livello, probabilmente dedita al commercio, vista la prossimità con l’Emporium tiberino.

Pertinenti alla stessa fase costruttiva, sono i tramezzi con tracce di intonaco dipinto. Il nucleo dei muri è messo in opera non nella tradizionale gettata in conglomerato cementizio, ma in pisé, in terra battuta con una tecnica inusuale per questa epoca che fa dei rinvenimenti archeologici di piazza Albania un’eccezionale rarità.

Sulla superficie dei pavimenti di età antonina si legge una deformazione dovuta probabilmente a un cedimento del terreno che ha determinato l’abbandono di questi ambienti, agli inizi del III secolo d.C. Le cause dello sprofondamento si possono ricercare nella presenza di gallerie ipogee per l’estrazione di materiale da costruzione, come tufo e pozzolana, che già in antico devono aver dato segni di collasso.

Esigenze di tutela e di valorizzazione degli importanti resti, che in parte sono stati delocalizzati, hanno richiesto un progetto ambizioso. I Tecnici della Soprintendenza hanno ideato a tal fine un’inedita scatola archeologica, un contenitore, una sorta di scrigno per racchiudere, proteggendolo, un tesoro del patrimonio culturale. Grazie al sostegno finanziario di BNP Paribas RE, è stato così realizzato un apposito spazio nei sotterranei del moderno complesso residenziale di piazza Albania, superando gli schemi di una musealizzazione tradizionale.

Attraverso un rigoroso lavoro di distacco, coordinato dalla Soprintendenza, sono stati successivamente ricollocati nella scatola archeologica - alla stregua di uno straordinario puzzle - le opere murarie e i mosaici delle fasi di età antonina e adrianea, esattamente come riemersi al momento della scoperta, secondo una ricostruzione filologica che ne ha mantenuto deformazioni,orientamento e successione stratigrafica.

L’utilizzo di un volume sospeso per ricollocare i rinvenimenti antichi ha permesso di fruire, inoltre, in maniera diretta delle strutture rimaste in situ, garantendo vicinanza e rapporto visivo con il contesto originario. (07/10/2020-ITL/ITNET)

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