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ITALIANI. ITALIANI ALL'ESTERO - ISPI H24 "ISRAELE, GAZA E LA CREDIBILITA' EUROPEA.. "IL GLOBAL SOUTH" OSSERVA PERPLESSO" COMMENTA UGO TRAMBALLI SENIOR ADVISOR ISPI

(2024-04-12)

"La guerra a Gaza ha posto l’Europa di fronte alle sue divisioni e alla sua impotenza. E a distanza di sei mesi, il silenzio del continente sulle violazioni israeliane ha eroso la credibilità del continente nei paesi del ‘Sud Globale’ osserva Ugo Tramballi nel Daily Focus di oggi.

"Ad oltre sei mesi dall’inizio del conflitto nella Striscia di Gaza l’inazione europea sta erodendo il suo soft power, agli occhi di una parte consistente di mondo. Se è vero, infatti, che il blocco dei 27 non possiede, da solo, le chiavi per determinare l’esito del conflitto, più la guerra si protrae mietendo vittime civili, più l’Europa è esposta alle contrad-dizioni della sua diplomazia, riluttante a condannare Israele mentre cerca di mobilitare il resto del mondo in difesa dell’Ucraina, contro la Russia.

Con l’eccezione di Irlanda e Spagna – pronti al riconoscimento di uno Stato Palestinese e che chiedono con urgenza una revisione degli accordi di associazione con Tel Aviv – i paesi europei hanno resistito alla richiesta di un cessate il fuoco immediato a Gaza e hanno finora evitato di condannare le violazioni israeliane, anche di fronte all’annessione di fatto della Cisgiordania e dopo che l’esercito israeliano ha raso al suolo gran parte della Striscia e ucciso circa 35mila palestinesi. Quello di cui l’Europa non sembra rendersi conto, però, è il costo politico della sua inerzia: non solo, infatti, il continente è ormai scomparso dal dibattito pubblico e politico dei paesi a sud del Mediterraneo, che già prima del conflitto accusavano il blocco dei 27 di ‘andare al seguito’ degli Usa, ma nelle rilevazioni che sondano l’umore delle società araba l’Europa come entità politica è assente, sostituita in ordine sparso da ‘Germania’, ‘Regno Unito’ e ‘Francia’. Un problema, non solo perché testimonia l’inconsistenza dell’Europa in un’area geografica a due passi da casa, ma anche perché ha ricadute negative sulla strategia di difesa di Kiev e, in generale, del diritto internazionale, in Ucraina e altrove."
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Riconoscere uno stato palestinese? e la domanda che

"A lungo le relazioni europee con i governi del Medio Oriente sono state guidate dalla realpolitik e da storie divergenti che hanno plasmato le diverse posizioni dei singoli paesi sul conflitto israelo-palestinese. Oggi, come messo in luce dalle votazioni all’Onu del 27 Ottobre e 13 dicembre 2023, il continente è diviso al punto da rendere difficile per il capo della politica estera comunitaria, Josep Borrell, definire una posizione sufficientemente ampia da riunire tutti i 27, senza essere talmente vaga da risultare insignificante.

L’Unione avanza in maniera disordinata anche sull’opportunità –rilanciata dall’esigenza di creare una ‘visione per il dopo’ – di riconoscere uno Stato palestinese. All’inizio di aprile, Madrid ha dichiarato che avrebbe riconosciuto lo stato palestinese entro luglio, con o senza gli altri, rafforzando la dichiarazione diffusa a marzo in cui Spagna, Irlanda, Malta e Slovenia si erano detti pronti, “nell’interesse della pace e della sicurezza”, a riconoscere la Palestina quando sarebbe arrivato “il momento giusto”.

È chiaro che il riconoscimento sarebbe un atto formale – ad oggi non esiste di fatto un’entità statuale palestinese – ma dal significato simbolico inequivocabile e in aperto dissenso con la volontà dell’attuale governo israeliano. Per questo in Europa non molti sembrano ansiosi di riconoscere l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) o la Palestina come Stato sovrano. Il paradosso è che questo avvenga nonostante la posizione ufficiale dell’Ue – al pari di quella degli Stati Uniti – riconosca nella ‘Soluzione dei due Stati’ sancita oltre 30 anni fa a Oslo, l’unica via d’uscita percorribile al conflitto israelo-palestinese.


Divisione ai vertici UE?
Oltre alle divisioni tra gli Stati membri, la crisi ha esposto le fratture interne alla leadership delle istituzioni europee com mai accaduto prima d’ora. Nel condannare Hamas per l’attacco del 7 ottobre, l’Alto commissario Borrell aveva descritto la crisi come “la conseguenza di un fallimento politico e morale della comunità internazionale durato trent’anni (…) nel trasformare in realtà la soluzione dei due Stati”.

Ma il suo tentativo di mantenere un approccio moderato sulla crisi è stato letteralmente travolto dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, che nei giorni successivi al 7 ottobre ha espresso “sostegno incondizionato” a Israele. Von der Leyen ha fatto le sue dichiarazioni da Tel Aviv – affermandosi come il ‘volto’ della diplomazia europea – in un momento in cui già quasi 2mila palestinesi erano stati uccisi nella campagna di bombardamenti su Gaza. “La sua posizione – osserva Martin Kone?ný – ha replicato quella dell’amministrazione Biden, invece di promuovere un approccio più equilibrato e basato sul diritto internazionale, tradizionalmente associato all’Europa”.

La risposta dei singoli stati europei non si è limitata a gesti e dichiarazioni: Germania, Paesi Bassi e Regno Unito hanno continuato a fornire armi a Israele, nonostante le loro politiche richiedano di fermare tali trasferimenti quando c’è il rischio di contribuire a violazioni del diritto umanitario internazionale. Al contrario, quasi subito dopo il 7 ottobre, diverse capitali si sono mosse per sospendere o rivedere immediatamente i finanziamenti alle Ong palestinesi, pur non avendo prove credibili di diversione di fondi o sostegno alle atrocità commesse dai miliziani di Hamas."
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Un danno di reputazione importante?

Al contrario, finora, il sostegno incondizionato allo Stato ebraico ha prevalso sia sui valori liberali e rispettosi del diritto internazionale, sia sulla realpolitik che dovrebbe guardare agli interessi strategici dell’Europa. Il silenzio e l’inazione europea a fronte di un numero impressionante di vittime, sta alimentando un estremismo che minaccia la sicurezza delle stesse società occidentali, mentre modifica il contesto delle relazioni dell’Europa – il più grande donatore globale -con le organizzazioni della società civile nel mondo arabo.

Nei suoi interventi davanti al Parlamento Europeo la relatrice Onu Francesca Albanese ha esortato gli stati membri a sospendere le relazioni commerciali e imporre un embargo sulla vendita di armi a Israele a meno di voler correre il rischio di essere accusati di potenziale complicità in atti di genocidio. E mentre cresce il disincanto nei confronti dell’Occidente, i doppi standard dell’Europa vengono evidenziati sui social media attraverso meme, video e cartoni animati, segno che il senso di ‘tradimento’ è forte soprattutto tra i giovani.

Certo, l’accusa di ipocrisia non è nuova: ma la differenza con il passato è data dal fatto che il danno stavolta, potrebbe rivelarsi irreversibile. ll mancato sostegno ai civili palestinesi ha spazzato via mesi di contatti diplomatici volti a persuadere i paesi del Sud del mondo ad allinearsi con l’Occidente sulla guerra in Ucraina. Gli sforzi per convincere il mondo che il sostegno a Kiev contro l’aggressione russa fosse basato sui principi universali del diritto internazionale piuttosto che sull’agenda geopolitica dell’Occidente sono stati vanificati quando l’Occidente ha derogato da quegli stessi principi a Gaza.

Il commento di Ugo Tramballi, Senior Advisor ISPI

“Spagna e Irlanda hanno intenzione di riconoscere lo Stato palestinese. Con un po' più di cautela, secondo Emmanuel Macron “riconoscere uno stato palestinese non è un tabù per la Francia”. La maggioranza dei paesi dell'Unione Europea, come l'Italia, evitano la questione. I vertici Ue – Commissione e Consiglio – mantengono quell'ambiguità che in diplomazia segnala un disagio. Dopo i massacri di Hamas del 7 ottobre, la solidarietà europea per Israele era stata forte e univoca. Di fronte all'uso palesemente improprio del diritto di difendersi che Israele sta facendo a Gaza, la Ue è una volta di più in ordine sparso. Non c'è una politica europea su ciò che sta accadendo nella Striscia, non un piano comune per gli aiuti alla popolazione né uno per il “day after”, quando finirà la guerra. Il cosidetto ‘Global South’, nuovo protagonista del presente e soprattutto del futuro dei poteri e degli equilibri internazionali, osserva perplesso”.conclude il giornalista..""" (12/04/2024- ITL/ITNET)

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