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DONNE - LAVORO - QUALI EFFETTI HA LA MATERNITA' SUL LAVORO FEMMINILE ? LE SCELTE AZIENDALI
(2024-10-28)
"La nascita di un figlio limita spesso le opportunità lavorative delle madri, spingendole a ridurre il tempo dedicato al lavoro o ad abbandonarlo del tutto. Francesca Carta, Alessandra Casarico, Marta De Philippis, Salvatore Lattanzio, analizzano su "Neodemos" gli effetti sulle scelte aziendali della riforma del 2015, che ha innalzato la durata dell’indennità di disoccupazione anche per le madri dimissionarie. Scelte aziendali che hanno potenziali effetti negativi sulla qualità delle opportunità lavorative delle giovani donne.
La parità di genere, nonostante i rilevanti progressi dei decenni passati, è ancora lontana e la maternità continua a influenzare pesantemente la carriera delle donne, anche nelle economie più avanzate. La nascita di un figlio limita spesso le opportunità lavorative delle madri, spingendole a ridurre il tempo dedicato al lavoro o ad abbandonarlo del tutto, mentre la carriera degli uomini non è generalmente influenzata dall’evento. Ma qual è il ruolo delle imprese in questa dinamica? Come reagiscono alla maternità? Le aziende possono rispondere alle dimissioni delle madri preferendo l’assunzione di uomini o donne più anziane, oppure offrendo contratti meno vantaggiosi alle giovani donne, a fronte dei maggiori costi attesi di sostituzione.
Dimissioni delle madri e scelte aziendali
I ricercatori analizzano come le scelte aziendali siano influenzate dalle dimissioni delle madri alla nascita di un figlio e come queste scelte, a loro volta, abbiano un impatto sulle prospettive lavorative delle donne giovani. L’analisi si avvale di una prescrizione dell’ordinamento italiano secondo cui l’indennità di disoccupazione è riconosciuta alle madri nel primo anno di vita del figlio anche in caso di dimissioni volontarie (e non solo in caso di licenziamento).
Nel 2015, con l’entrata in vigore della Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI; d. lgs. 22 del 4 marzo 2015), la durata del periodo di fruizione dell’indennità di disoccupazione è sensibilmente aumentata, potenzialmente inducendo più madri a dimettersi. Questo ci offre un’opportunità per valutarne le ripercussioni a livello di impresa.
L’analisi si avvale dei dati amministrativi dell’INPS sull’universo dei lavoratori nel settore privato non agricolo, abbinati alle informazioni sulle imprese in cui essi sono occupati. Prendendo in considerazione le aziende con meno di 35 dipendenti, per le quali i costi per la sostituzione dei lavoratori sono verosimilmente più elevati, si seguono le carriere delle lavoratrici e le dinamiche delle imprese per 36 mesi dopo la nascita.
Per studiare la reazione delle aziende, confrontiamo quelle in cui lavorano madri che, a seguito dell’introduzione della NASpI, hanno mostrato aumenti marcati nei tassi di dimissione dopo la nascita di un figlio, con le imprese che invece impiegano madri che hanno mostrato risposte meno rilevanti al cambio della durata dell’indennità di disoccupazione.
Concentrandoci innanzitutto sulle donne intorno alla nascita del primogenito, si osserva che alcune madri rispondono maggiormente alla riforma e mostrano tassi di dimissione e di non occupazione più elevati (rispettivamente di 2,9 e 1,9 punti percentuali a 3 anni dalla nascita del figlio. Contestualmente, e con un plausibile – seppure parziale – intento di compensazione, le imprese interessate riducono il tasso di licenziamento delle madri.
Strategie aziendali per la sostituzione delle madri dimissionarie
Nelle imprese in cui crescono le dimissioni delle madri, il saldo tra assunzioni e cessazioni di posizioni lavorative alle dipendenze aumenta significativamente solo tra le donne (del 6,1 per cento), soprattutto tra quelle più giovani (tra i 20 e i 45 anni ). Non succede molto invece nella fascia di età più avanzata. L’espansione del saldo netto tra chi viene assunto e chi smette di lavorare è trainata da una crescita delle assunzioni superiore a quella delle cessazioni, con un incremento del turnover femminile – ossia del totale delle posizioni lavorative attivate e terminate.
Per la sostituzione delle dipendenti che si dimettono, le aziende più colpite dalla riforma si rivolgono quindi al mercato del lavoro esterno piuttosto che a quello interno o alla riorganizzazione delle mansioni tra i lavoratori già in azienda. Nel farlo, le imprese preferiscono utilizzare contratti temporanei o comunque di breve durata: l’aumento del turnover si associa infatti a una riduzione permanente (fino a 36 mesi dopo la nascita) della quota di lavoratrici assunte con contratti a tempo indeterminato. Per gli uomini non ci sono invece cambiamenti.
Questi risultati potrebbero segnalare la volontà delle imprese di ottenere nuovamente il controllo sul momento della cessazione del rapporto di lavoro, attraverso l’utilizzo di contratti di durata inferiore – quindi di minore qualità – per le donne. Contratti peggiori offerti alle donne, in particolare a quelle in età fertile, supportano l’ipotesi di discriminazione statistica nei loro confronti, ossia l’attribuzione a tutte le donne di un costo in termini di qualità del lavoro. Potrebbe quindi innescarsi un circolo vizioso in cui le donne, avendo meno opportunità di occupazione a tempo indeterminato, sarebbero ancora più propense ad uscire dal mercato del lavoro dopo la maternità.
Sebbene la previsione di un sussidio di disoccupazione per le madri che si dimettono miri a preservare il loro reddito in prossimità della nascita di un figlio, potrebbe avere ripercussioni negative sulla qualità delle loro opportunità lavorative" avvertono i demografi di Neodemos. (28/10/2024- ITL/ITNET)
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