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AMBIENTE - CLIMA - ISPI 24: IN BRASILE SUMMIT REGIONALE PAESI MEMBRI ACTO PER SALVARE L'AMAZZONIA. FRA OBIETTIVI: TASK FORCE POLIZIA INTERNAZIONALE. GRUPPO RICERCA CLIMATE CHANGE ONU MA...

(2023-08-08)

Il Brasile di Lula ospita un summit regionale di due giorni incentrato sulle politiche per salvare la foresta amazzonica. Lo annuncia l'ISPI in una interessante riflessione, che sottolinea la ripresa della leadership brasiliana in tal senso dopo la massiccia deforestazione attuata dall'ex presidente Jair Bolsonaro.

"Al via oggi, a Belem, capitale dello stato dell’Amazzonia Para, il vertice di due giorni dei paesi membri dell’Amazon Cooperation Treaty Organization (ACTO): Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname e Venezuela. I leader dell’organizzazione socio-ambientale nata nel 1995 non si incontravano dal 2009. Un incontro, quindi, con cui il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva, rilancia il ruolo del proprio paese: “Il Brasile è tornato” ed è pronto a guidare la ripresa del polmone del pianeta, dopo le massicce deforestazioni durante il governo di estrema destra del suo predecessore Jair Bolsonaro.
Oltre che fermare le deforestazioni, il summit si focalizzerà anche su politiche di sviluppo della regione: nella foresta amazzonica vivono circa 50 milioni di persone, inclusi centinaia di gruppi di indigeni.

Questi ultimi sono stati le principali vittime delle distruzioni ambientali, spesso condotte in cornici criminali e accompagnate da vari traffici illegali. Il Brasile, che ospita circa il 60% della foresta, vuole adottare politiche ambiziose e dare l’esempio per tutto il Sudamerica. Una sfida globale, con il fine ultimo di contrastare il cambiamento climatico, che può essere affrontata in un momento propizio per la regione, in virtù della dipartita politica di leader radicali e conser-vatori.

Adesso o mai più?
Il summit si tiene in un momento cruciale per la lotta ai cambiamenti climatici. Lo scorso luglio si sono registrate temperature record con picchi che fanno temere che senza un’azione globale questa possa diventare la nuova normalità per il clima mondiale. Nel 2022 si stimava che circa un quinto della foresta pluviale fosse scomparso per sempre, compromettendo irreversibilmente la capacità dell’Amazzonia di assorbire anidride carbonica. Il dato è stato aggravato dal governo Bolsonaro, dal momento che dal 2019 al 2022 c’è stato un aumento del 75% delle deforestazioni medie annuali rispetto al decennio precedente, mentre le emissioni registrate nel 2020 erano aumentate del 117% rispetto al periodo 2010-2018. Un trend che sarebbe già stato ridotto da Lula, che è tornato alla presidenza del Brasile dal 2023: da gennaio a luglio, infatti, la deforestazione è scesa del 42% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

L’obiettivo del Brasile per questo summit è la creazione di una task force di polizia internazionale per la regione amazzonica e di un gruppo di ricerca scientifica sulla base dell’Intergovernmental panel on climate change, agenzia dell’ONU che studia il surriscaldamento globale. Il summit, inoltre, è una prova generale per la COP30, che si terrà sempre a Belem nel 2025.

Un’opportunità politica?

Il vertice di Belem servirà per coordinare le politiche regionali ed armonizzarle in virtù degli imminenti divieti europei di importare materie prime e prodotti derivanti dalla deforestazione. Per Lula si tratta anche di un test per il suo carisma politico e diplomatico a livello continentale. L’opportunità è ghiotta, poiché quasi tutti i paesi ACTO sono guidati da governi di sinistra, ad eccezione dell’Ecuador, che a Belem parteciperà col ministro degli Esteri. Sebbene tutti i leader sembrino disposti a convergere verso un’agenda più verde per i loro paesi, non tutti i partecipanti sembrano avere anche le stesse priorità.
Per Lula, infatti, l’obiettivo è azzerare la deforestazione entro il 2030, ma contemporaneamente non sembra allineato con la politica globale di graduale eliminazione dei combustibili fossili. Prima del summit, il presidente brasiliano ha detto ai media locali che “continua a sognare” estrazioni di petrolio nella regione. Un commento che arriva a fronte della volontà della principale azienda pubblica brasiliana del settore energetico, Petrobras, che avrebbe individuato nuovi pozzi di petrolio vicino alla foce del Rio delle Amazzoni. Posizioni che contrastano con quelle del presidente colombiano Gustavo Petro, per cui l’eliminazione dei combustibili fossili è essenziale per la protezione delle foreste: “Anche se tenessimo la deforestazione sotto controllo, l’Amazzonia sarebbe gravemente minacciata dall’aumento del surriscal-damento globale.”

Una sfida economica? 

Nel corso dei decenni, l’economia brasiliana si è sviluppata su un sistema di sfruttamento intensivo dell’Amazzonia, intesa per lo più come una risorsa da cui attingere senza limitazione alcuna, invece che un bene globale da preservare. Grazie a questo sviluppo, il Brasile è diventato il primo produttore al mondo di semi di soia, coltivata in monoculture, e il secondo di carne di manzo, prodotta in allevamenti intensivi. Due primati che hanno fatto crescere l’economia nazio-nale, anche se i nove stati dell’Amazzonia brasiliana sono rimasti tra i più poveri del paese, creando enormi squilibri economici e sociali.
La necessità di crescita economica ha giustificato lo sfruttamento illimitato delle risorse ambientali, creando un parallelo tra aumento del pil brasiliano e della deforestazione dell’Amazzonia. In realtà, si tratterebbe di un’equazione errata. Secondo un rapporto pubblicato lo scorso maggio dalla Banca Mondiale, la scomparsa della foresta pluviale e dei biomi, qualora non si cambi direzione, potrebbe costare al Brasile 317 miliardi di dollari l’anno. Secondo lo studio, questi soldi deriverebbero da tre componenti del “valore della tutela” delle foreste, dominato per lo più dallo stoccaggio di anidride carbonica, dalla protezione della biodiversità e dalla tutela della copertura forestale.

Secondo lo studio, inoltre, il Brasile potrebbe continuare a crescere economicamente e contemporaneamente preservare le proprie foreste cambiando il proprio modello di crescita, grazie a un’agricoltura più sostenibile e a un sistema produttivo non basato esclusivamente sulle materie prime.

Secondo un altro studio, a cura del World Resource Institute, un più efficiente utilizzo del suolo, della produzione energetica, un ricorso alla bioeconomia e ad investimenti nell’agricoltura sostenibile potrebbero non solo far crescere il pil degli stati dell’Amazzonia ma creare anche centinaia di migliaia di posti di lavoro per le popolazioni locali"

Infine, la notizia, a commento, di Emiliano Guanella, Corrispondente da San Paolo, RSI - Tv Svizzera 

"Al vertice sono stati invitati i paesi europei che contribuiscono economicamente al Fondo Amazzonia, il piano di finanziamenti per progetti di salvaguardia della foresta che ha recentemente incorporato anche l’Unione Europea, la Gran Bretagna e la Svizzera. Presenti anche i delegati di Congo, Repubblica democratica del Congo e Indonesia, nazioni che hanno a loro volta importanti foreste tropicali da proteggere dentro i loro confini nazionali. Il documento finale del summit sarà sottoposto all’attenzione delle Nazioni Unite e servirà come punto di discussione per le prossime riunioni internazionali sugli effetti dei cambiamenti climatici nel Pianeta". (08/08/2023-ITL/ITNET)







































































































Il Brasile di Lula ospita un summit regionale di due giorni incentrato sulle politiche per salvare la foresta amazzonica.

https://campaign-image.eu/zohocampaigns/28716000361437335_zc_v15_1607364483186_boris_johnson_lp_11900196_large.jpg
































































































































































Al via oggi, a Belem, capitale dello stato dell’Amazzonia Para, il vertice di due giorni dei paesi membri dell’Amazon Cooperation Treaty Organization (ACTO): Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname e Venezuela. I leader dell’organizzazione socio-ambientale nata nel 1995 non si incontravano dal 2009. Un incontro, quindi, con cui il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva, rilancia il ruolo del proprio paese: “Il Brasile è tornato” ed è pronto a guidare la ripresa del polmone del pianeta, dopo le massicce deforestazioni durante il governo di estrema destra del suo predecessore Jair Bolsonaro. Oltre che fermare le deforestazioni, il summit si focalizzerà anche su politiche di sviluppo della regione: nella foresta amazzonica vivono circa 50 milioni di persone, inclusi centinaia di gruppi di indigeni. Quest’ultimi sono stati le principali vittime delle distruzioni ambientali, spesso condotte in cornici criminali e accompagnate da vari traffici illegali. Il Brasile, che ospita circa il 60% della foresta, vuole adottare politiche ambiziose e dare l’esempio per tutto il Sudamerica. Una sfida globale, col fine ultimo di contrastare il cambiamento climatico, che può essere affrontata in un momento propizio per la regione, in virtù della dipartita politica di leader radicali e conservatori.

https://stratus.campaign-image.eu/images/28716000361437335_zc_v1_1688050226448_df.2023.06.29.jpg




























Adesso o mai più?































































































































































Il summit si tiene in un momento cruciale per la lotta ai cambiamenti climatici. Lo scorso luglio si sono registrate temperature record con picchi che fanno temere che senza un’azione globale questa possa diventare la nuova normalità per il clima mondiale. Nel 2022 si stimava che circa un quinto della foresta pluviale fosse scomparso per sempre, compromettendo irreversibilmente la capacità dell’Amazzonia di assorbire anidride carbonica. Il dato è stato aggravato dal governo Bolsonaro, dal momento che dal 2019 al 2022 c’è stato un aumento del 75% delle deforestazioni medie annuali rispetto al decennio precedente, mentre le emissioni registrate nel 2020 erano aumentate del 117% rispetto al periodo 2010-2018. Un trend che sarebbe già stato ridotto da Lula, che è tornato alla presidenza del Brasile dal 2023: da gennaio a luglio, infatti, la deforestazione è scesa del 42% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. L’obiettivo del Brasile per questo summit è la creazione di una task force di polizia internazionale per la regione amazzonica e di un gruppo di ricerca scientifica sulla base dell’Intergovernmental panel on climate change, agenzia dell’ONU che studia il surriscaldamento globale. Il summit, inoltre, è una prova generale per la COP30, che si terrà sempre a Belem nel 2025.




























Un’opportunità politica?



























































































































































Il vertice di Belem servirà per coordinare le politiche regionali ed armonizzarle in virtù degli imminenti divieti europei di importare materie prime e prodotti derivanti dalla deforestazione. Per Lula si tratta anche di un test per il suo carisma politico e diplomatico a livello continentale. L’opportunità è ghiotta, poiché quasi tutti i paesi ACTO sono guidati da governi di sinistra, ad eccezione dell’Ecuador, che a Belem parteciperà col ministro degli Esteri. Sebbene tutti i leader sembrino disposti a convergere verso un’agenda più verde per i loro paesi, non tutti i partecipanti sembrano avere anche le stesse priorità. Per Lula, infatti, l’obiettivo è azzerare la deforestazione entro il 2030, ma contemporaneamente non sembra allineato con la politica globale di graduale eliminazione dei combustibili fossili. Prima del summit, il presidente brasiliano ha detto ai media locali che “continua a sognare” estrazioni di petrolio nella regione. Un commento che arriva a fronte della volontà della principale azienda pubblica brasiliana del settore energetico, Petrobras, che avrebbe individuato nuovi pozzi di petrolio vicino alla foce del Rio delle Amazzoni. Posizioni che contrastano con quelle del presidente colombiano Gustavo Petro, per cui l’eliminazione dei combustibili fossili è essenziale per la protezione delle foreste: “Anche se tenessimo la deforestazione sotto controllo, l’Amazzonia sarebbe gravemente minacciata dall’aumento del surriscaldamento globale.”
























Una sfida economica? 























Nel corso dei decenni, l’economia brasiliana si è sviluppata su un sistema di sfruttamento intensivo dell’Amazzonia, intesa per lo più come una risorsa da cui attingere senza limitazione alcuna, invece che un bene globale da preservare. Grazie a questo sviluppo, il Brasile è diventato il primo produttore al mondo di semi di soia, coltivata in monoculture, e il secondo di carne di manzo, prodotta in allevamenti intensivi. Due primati che hanno fatto crescere l’economia nazionale, anche se i nove stati dell’Amazzonia brasiliana sono rimasti tra i più poveri del paese, creando enormi squilibri economici e sociali. La necessità di crescita economica ha giustificato lo sfruttamento illimitato delle risorse ambientali, creando un parallelo tra aumento del pil brasiliano e della deforestazione dell’Amazzonia. In realtà, si tratterebbe di un’equazione errata. Secondo un rapporto pubblicato lo scorso maggio dalla Banca Mondiale, la scomparsa della foresta pluviale e dei biomi, qualora non si cambi direzione, potrebbe costare al Brasile 317 miliardi di dollari l’anno. Secondo lo studio, questi soldi deriverebbero da tre componenti del “valore della tutela” delle foreste, dominato per lo più dallo stoccaggio di anidride carbonica, dalla protezione della biodiversità e dalla tutela della copertura forestale. Secondo lo studio, inoltre, il Brasile potrebbe continuare a crescere economicamente e contemporaneamente preservare le proprie foreste cambiando il proprio modello di crescita, grazie a un’agricoltura più sostenibile e a un sistema produttivo non basato esclusivamente sulle materie prime. Secondo un altro studio, a cura del World Resource Institute, un più efficiente utilizzo del suolo, della produzione energetica, un ricorso alla bioeconomia e ad investimenti nell’agricoltura sostenibile potrebbero non solo far crescere il pil degli stati dell’Amazzonia ma creare anche centinaia di migliaia di posti di lavoro per le popolazioni locali.


Il commento

di Emiliano Guanella, Corrispondente da San Paolo, RSI - Tv Svizzera 

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"Al vertice sono stati invitati i paesi europei che contribuiscono economicamente al Fondo Amazzonia, il piano di finanziamenti per progetti di salvaguardia della foresta che ha recentemente incorporato anche l’Unione Europea, la Gran Bretagna e la Svizzera. Presenti anche i delegati di Congo, Repubblica democratica del Congo e Indonesia, nazioni che hanno a loro volta importanti foreste tropicali da proteggere dentro i loro confini nazionali. Il documento finale del summit sarà sottoposto all’attenzione delle Nazioni Unite e servirà come punto di discussione per le prossime riunioni internazionali sugli effetti dei cambiamenti climatici nel Pianeta".

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