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ITALIANI ALL'ESTERO -CITTADINANZA- BRACCIALI (ACLI INTERNAZ./CGIE): "NO A SEMPLIFICAZIONI. SI A CITTADINANZA CONSAPEVOLE: INFORMAZIONE, EDUCAZIONE E PROSSIMITA' ALL'ITALIA"

(2025-04-01)

Decreto cittadinanza, Acli: no alle semplificazioni, serve una cittadinanza italiana consapevole
“La cittadinanza italiana non può essere solo una questione generazionale, si tratta di una questione molto complessa che le Acli, anche grazie all’esperienza maturata attraverso attraverso le associazioni della Federazione delle Acli internazionali, attive in 21 Paesi, stanno seguendo da tempo. – ha dichiarato il Presidente nazionale delle Acli, Emiliano Manfredonia, che si chiede: “Perché non si è proceduto con un iter parlamentare, in cui le tante sensibilità che hanno già prodotto proposte di legge sul tema possano trovare in sintesi, anche grazie al contributo degli organi rappresentativi degli italiani all’estero?”
Il decreto legge numero 36 del 25 marzo ha modificato le regole per acquisire la cittadinanza italiana per gli italo discendenti ed è un cambiamento radicale perché modifica la natura della legge 91 del 1992, che riconosce il diritto ad essere cittadino italiano a tutti i figli di genitori italiani, mettendo un limite a due generazioni (genitori o nonni) nati in Italia per richiedere la cittadinanza italiana. Nel decreto vengono richiamati i concetti di “urgenza” e “sicurezza nazionale”.

“Da troppi anni le Acli e molta società civile richiamano l’attenzione delle istituzioni sulla regolamentazione di una cittadinanza consapevole, – ha aggiunto Manfredonia –  anche rispetto al fatto che è diventato vergognosamente un prodotto da commercializzare e, a fronte di tutto questo, si ricorre a un decreto-legge che si chiude a ogni modifica. Siamo di fronte al picco di denatalità e di fecondità, si aprono scenari complessi anche nell’immediato futuro, e il Governo pensa ai respingimenti e alla conta degli avi, per ridurre ancora di più le richieste di cittadinanza.”

Sul merito del decreto, la ratio pare quella di riconoscere la cittadinanza in base ad una presunta maggiore italianità rispetto ad oggi dei soli nipoti dei nati in Italia. Ma è davvero così? La semplificazione della legge 91 del 1992 non rende giustizia alla nostra storia di emigrazione perché invece di valorizzare il rapporto tra “sangue” e appartenenza alla comunità italiana attraverso la conoscenza della lingua e della cultura italiana, si riduce tutto ad una questione “generazionale” che, come abbiamo sempre sostenuto, avrebbe potuto essere un elemento riformabile della legge 91 ma insieme a questi elementi.

“Esisteranno ancora “italiani che non parlano italiano”, come viene ricordato da chi ha solo una idea negativa delle nuove generazioni di italiani nati all’estero, a danno di tutti coloro hanno la voglia di coltivare la propria identità italiana con sincero legame al nostro Paese. Sarebbero necessari dei correttivi in particolare con una regolamentazione che dia la possibilità di trasmettere la cittadinanza quando sussiste, ad esempio, la certificazione di una profonda conoscenza linguistica.

Un altro rilievo sui disegni di legge annunciati riguarda le modifiche delle procedure di richiesta della cittadinanza italiana – ha dichiarato Matteo Bracciali, Vicepresidente nazionale della Federazione delle Acli Internazionali. Anche sul rapporto cittadinanza-diritti sociali, chiediamo al Governo un reale ascolto delle rappresentanze degli italiani all’estero: l’idea di alleggerire la pressione sui Consolati non deve essere un’ulteriore complicazione nel rapporto con l’Amministrazione Pubblica né un rallentamento o, peggio, un numero chiuso per l’ottenimento della cittadinanza.

Dall’altra parte, sul tema della partecipazione dei nuovi italiani alla vita pubblica non è sufficiente chiedere di esercitare diritti o doveri almeno una volta in 25 anni, perché non è una cittadinanza “compilativa” quella a cui dobbiamo tendere, ma la norma deve prevedere investimenti in strumenti di consapevolezza, come informazione, educazione e prossimità tra Italia e chi è italiano e vive in altro Paese del mondo. 

Si chiamano investimenti perché il ritorno di relazioni si trasformi in dati economici e sociali dando sostanza all’Italia fuori dall’Italia orgogliosa del proprio passato e con una identità ricca e plurima.

Riteniamo un gravissimo errore non aver ascoltato le rappresentanze degli italiani all’estero, come Comites e CGIE e le reti associative – ha concluso Bracciali – ma abbiamo ancora speranza di poter contribuire a costruire una normativa inclusiva, per sostenere una cittadinanza consapevole.”(01/04/2025 -ITL/ITNET)

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