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IMMIGRAZIONE - RAPPORTO MIGRANTES - LAVORO: CRESCE OCCUPAZIONE (+1,5) STRANIERI RISPETTO A ITALIANI (+0,8) SOPRATTUTTO A NORD. MOLTE LE CRITICITA'. IMPRESE AL FEMMINILE.

(2022-10-07)

  Al I° trimestre 2022 i dati Istat relativi alla Rilevazione sulle forze di lavoro degli immigrati ( VEDI Rapporto migrantes
(http://www.italiannetwork.it/news.aspx?id=72388) registrano, dopo un forte calo dell’anno precedente, una crescita del tasso di occupazione dei lavoratori stranieri tra i 20 e i 64 anni, più significativo rispetto a quello registrato tra i lavoratori italiani (+1,5 contro +0,8). Se questa è la media nazionale, molto diverse sono le situazioni a livello di aree: tutte quelle del Nord Italia crescono, il Centro rimane sostanzialmente stabile, il Sud cresce solo debolmente.
In generale, poi, il tasso di occupazione per la componente straniera è ancora al di sotto di quello registrato per i lavoratori italiani (61,4% contro 62,9%), mentre quello di disoccupazione presenta tra gli stranieri un valore ancora particolarmente elevato, pari al 14,4%, ovvero 5,4 punti percentuali in più rispetto a quello registrato tra gli autoctoni (9,0%).

Fra gli indicatori che hanno segnato una ripresa vi sono i dati sulle assunzioni di personale comunitario ed extra-Ue, aumentate in modo significativo rispetto alla fase pandemica. Nel complesso, fra il II° trimestre 2020 e il II° trimestre 2021 si è registrato in Italia un incremento delle assunzioni pari a 1.149.414 unità, di cui 124.230 hanno riguardato la componente extracomunitaria e 35.520 quella comunitaria.

Si è trattato di una crescita che ha interessato maggiormente lavoratrici e giovani lavoratori under-24, che nella fase pandemica erano risultate le categorie più penalizzate dalla crisi. L’incremento più significativo delle assunzioni di cittadini stranieri si è avuto nel settore dell’Industria, in particolare nel Nord Italia; altro settore interessato da incrementi significativi è stato quello del Commercio e riparazioni, seguito da Costruzioni e altre attività nei servizi.

Permangono diverse criticità: gli incrementi più significativi nelle tipologie di ingaggio sono l’apprendistato e le collaborazioni; rispetto agli italiani è stata molto più modesta la crescita dei contratti a tempo indeterminato (circa l’11% contro oltre il 40%), a dimostrazione del fatto che i lavoratori stranieri vivono una maggiore precarietà sul lavoro: 7 contratti su 10 sono a termine; inoltre, ad un aumento delle assunzioni ha fatto da contraltare un incremento delle cessazioni dei rapporti di lavoro (+ 9,9% tra i lavoratori Ue e 28,0% tra quelli extra-Ue).

Come rilevato dall’Istat, la progressiva diffusione di forme di lavoro non-standard – ovvero rapporti di lavoro che mancano di uno o più elementi che caratterizzano il lavoro tradizionale (regolarità, requisiti assicurativi minimi, copertura assicurativa generalizzata, adeguato livello di protezione sociale in caso di perdita di lavoro o congrua contribuzione pensionistica) – ha reso più fragile la condizione di molti lavoratori, in particolare di cittadinanza straniera, anche in termini di esclusione sociale.

In Italia, su 100 lavoratori, circa 18 sono classificati come lavoratori vulnerabili, perché dipendenti a termine o collaboratori o in part-time  involontario, mentre 4 sono classificati addirittura come doppiamente vulnerabili: in termini assoluti si tratta di un esercito di 816 mila lavoratori.

L’alto livello di occupabilità dei migranti in Italia è in gran parte dovuta alla loro disponibilità a ricoprire lavori manuali non qualificati, spesso poveramente pagati: questo provoca un fenomeno di “etnicizzazione” delle relazioni di lavoro, connotando fortemente alcuni settori occupazionali, come ad esempio il lavoro di cura.

L’accentuarsi e il protrarsi di questo divario di tutele e di disuguaglianze economiche, accelerato dalla pandemia, rischiano di trasformarsi in una condizione permanente, un vero e proprio status non solo occupazionale, dal quale difficilmente si potrà uscire.

In un quadro complessivamente critico, esistono comunque dei positivi paradossi. In Italia si contano 136.312 imprese a conduzione femminile straniera, pari all'11,6% delle attività guidate da donne e al 23,8% delle imprese fondate da immigrati. Negli ultimi dieci anni sono aumentate del 42,7% e sono cresciute con un ritmo maggiore rispetto a quelle a conduzione maschile. Le titolari sono nate all’estero, soprattutto in Cina (34 mila), Germania (10 mila) e Albania (8 mila) e le loro aziende crescono a un tasso più elevato di quelle a guida maschile. Le donne con background migratorio che fanno impresa in Italia rappresentano circa il 10% di tutte le imprenditrici attive nel Paese.

In Italia le imprenditrici immigrate, a fine 2021, sono 205.951, pari al 27,3% degli imprenditori nati all'estero, l'80% delle quali possiede imprese individuali. Indubbiamente il processo di crescita di queste aziende si inserisce in un percorso di integrazione positiva, che però non deve fare dimenticare che ci sono situazioni di famiglie immigrate – provenienti soprattutto da India, Bangladesh, Egitto e Marocco – dove la maggioranza delle donne è ancora esclusa dal mercato del lavoro.(07/10/2022-ITL/ITNET)

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