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LAVORO - TASSO OCCUPAZIONE 60,5% IN ITALIA. MA IN EUROPA E' IL PIU' BASSO. QUAL'E' ALLORA IL REALE STATO D'OCCUPAZIONE ITALIANA ? REPORT FONDAZ. DI VITTORIO: AUMENTO OCCUPATI OVER 64 E LAVORO NO STANDARD"

(2023-01-04)

Qual'è il reale stato dell’occupazione italiana ?”  Le dichiarazioni sull'incremento del tasso di occupazione in Italia, che ha registrato nello scorso mese di ottobre il suo massimo storico, con 23 milioni 231 mila occupati e il 60,5% di tasso di occupazione. In realtà, non c'è una riprova nel contesto europeo in cui l'Italia è il Paese con il più' basso livello di occupazione. E, d'altra parte, lo si registra nel vissuto, spesso drammatico, delle giovani generazioni di italiani.

Da qui il Report della Fondazione di Vittorio che ha approfondito il tema partendo dal dato del mese di Ottobre 2022, in cui il numero di occupati e il tasso di occupazione sono risultati i più alti mai registrati in Italia dall’inizio della serie storica dell'Istat. "Tuttavia, mette in guardia la Di Vittorio: "Si tratta di un dato mensile e non della media annuale che verificheremo con i dati di fine anno.
Ed afferma  la Fondazione "Non è la prima volta che gli occupati superano il numero di 23 milioni. Era già accaduto nel 2018 e 2019, ad inizio del 2020 prima della pandemia e addirittura nel 2008.

La differenza con ottobre del 2008 (14 anni fa) è di circa 244 mila occupati ma, ad aprile del 2008 fu toccato il numero di 23 milioni 148 mila occupati cioè di circa 83 mila occupati di differenza rispetto ad oggi; nel 2019 ad ottobre fu raggiunto il numero di 23 milioni 43 mila occupati (-187 mila unità), ma nello stesso anno, a giugno, con 23 milioni 222 mila la differenza era solo di 8 mila occupati rispetto ad oggi.

In realtà, quindi, è da molto tempo che, fatto salvo il drammatico calo dovuto alla pandemia, il numero massimo di occupati italiani si è attestato più o meno attorno ai 23 milioni; parlerei dunque di un andamento sostanzialmente stazionario più che di boom, fermo restando che qualsiasi aumento è il benvenuto.

-  Ma, se la situazione numerica è di fatto assestata da tempo attorno a valori simili, perché il tasso di occupazione incrementa percentualmente molto di più fino a raggiugere ad ottobre di quest’anno il 60,5%? Perché è solo in parte determinato dall’aumento degli occupati, mentre incide prevalentemente sulla salita del tasso la contestuale e drastica diminuzione della popolazione in età da lavoro.

Prendiamo, ad esempio, in esame la situazione di febbraio 2020, periodo ancora pre-pandemico, e quella attuale di ottobre 2022: in questo arco temporale gli occupati sono cresciuti di +157 mila unità mentre la popolazione in età lavorativa è diminuita di -677 mila unità (15-64 anni).

Il numero di occupati complessivo si riferisce alla classe 15-89 anni mentre il tasso di occupazione alla classe 15-64 anni.

Se la popolazione in età da lavoro fosse rimasta invariata, cioè quella di febbraio 2020 pari a 37 milioni 879 mila, il tasso di occupazione ad ottobre 2022 (con 22 milioni 498 mila occupati) si sarebbe attestato al 59,4%, crescendo quindi soltanto di +0,4 punti percentuali. È, quindi, in questo caso il denominatore, cioè la popolazione in età da lavoro, che determina maggiormente il risultato attuale del 60,5%.

- Il tanto enfatizzato tasso di occupazione italiano è, secondo gli ultimi dati Eurostar disponibili (II° trim. 2022), il più basso dell’Europa a 27. Il tasso europeo è del 70% (+9,7 p.p. rispetto all’Italia), quello della Germania supera il 77%, ma perfino Grecia e Spagna e tutti i paesi dell’est europeo, hanno tassi di occupazione superiori al  nostro.

- I dati demografici sono molto allarmanti. Che l’occupazione aumenti nonostante il calo delle persone in età da lavoro sarebbe positivo se non che è in gran parte determinato da aumento di occupati over 64. Nel 2008 la popolazione in
età da lavoro raggiungeva in media i 38 milioni 714 mila unità, nel 2022 attualmente la media è di 37 milioni 276 mila con il punto più basso proprio ad ottobre di 37 milioni 202 mila.

Contemporaneamente gli occupati over 64 che nell’ottobre 2008 erano 380 mila unità, nell’ottobre 2022 raggiungono il numero di 733 mila unità. Non solo, fra le persone in età da lavoro è notevolmente aumentata l’età media degli occupati (gli over 50 sono circa il 40% del totale). L’occupazione in Italia invecchia quindi consistentemente e progressivamente.

- Se il problema demografico relativo all’occupazione è già grave, in prospettiva rischia di divenire drammatico e meriterebbe un dibattito ben più impegnativo rispetto a come viene attualmente affrontato. Le proiezioni di lungo periodo prevedono un aumento esponenziale del calo prima richiamato con una previsione al 2042 di circa -6,8 milioni di persone nella fascia di età 15-64 anni (Ricerca FDV  “L’impatto della crisi demografica italiana sul lavoro” https://bit.ly/3JkPkas). Un dato che farebbe saltare - se non corretto attraverso un mix di interventi su lavoro, formazione, natalità e migrazioni - una parte importante della produzione italiana.

-Numero di occupati, tasso di occupazione, calo della popolazione, non sono gli unici elementi per giudicare la situazione quanti-qualitativa dell’occupazione italiana. I 23 milioni di occupati raggiunti nel 2008 erano costituiti da un numero di contratti precari decisamente inferiore, attorno ai 2,3 milioni di unità, contro i 3 milioni attuali. Così come, il numero dei part time involontari ha subito una crescita nel periodo 2008-2020 che da circa il 40% del 2008 arriva al 64,6% del 2020, (cioè da 1,3 milioni ai 2,7 milioni).
Come si vede, l’andamento dell’occupazione è fortemente caratterizzato da un drastico peggioramento delle sue condizioni legate alla precarietà e al part-time (involontarietà del lavoro) che incidono pesantemente sia sulle retribuzioni, che sulla prospettiva previdenziale. La conferma del ruolo negativo del lavoro non standard può essere desunta anche dalla quantità di ore lavorate pro-capite da un occupato dipendente (dato Contabilità Nazionale).

Nel terzo trimestre 2008 le ore medie lavorate da un occupato dipendente erano 413 mentre nello stesso trimestre del 2022 sono 393, cioè 20 ore in meno per dipendente a trimestre nonostante il numero degli occupati sia mediamente più
alto.
La stessa verifica può essere effettuata nel raffronto fra il terzo trimestre di  quest’anno e il terzo trimestre del 2019 (periodo pre-pandemico): nel 2022 gli occupati sono cresciuti di 299 mila unità ma le ore lavorate pro-capite restano
sostanzialmente identiche a quelle del 2019. Questo perché, pur crescendo il numero di occupati dipendenti, è fortemente aumentata l’area del lavoro non standard, così come confermato dal confronto tra le unità di lavoro (che esprimono il numero di ore corrispondenti ad un'occupazione a tempo pieno) e gli occupati dipendenti: nel terzo trimestre 2008 la differenza era di oltre di 1 milione e 500 mila mentre nello stesso trimestre del 2022 è di circa 2 milioni e 400 mila.
Tutto questo, in pochi lo hanno fatto, va inquadrato in un anno in cui l’economia cresce sensibilmente, molto più di altri anni in cui si sono comunque raggiunti i 23 milioni di occupati; un dato oggettivo da tenere sempre in considerazione nel commentare i dati sull’occupazione.

Per la Segretaria confederale della CGIL, Tania Sacchetti, afferma su Collettiva, il quotidiano on line della Confederazione sindacale "Le strade che si dovrebbero percorrere, anche grazie alle risorse del Pnrr, sono quelle degli investimenti condizionati alla crescita di lavoro di qualità, a partire dai settori pubblici, del contrasto alla precarietà, dell’investimento e della valorizzazione delle competenze dei lavoratori, del diritto alla formazione permanente, delle politiche industriali per garantire una crescita sostenibile e forte". (04/01/2023-ITL/ITNET)

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