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LAVORO - UNIONCAMERE /IL SENSO DEL LAVORO OGGI - SEGR.GEN.TRIPOLI: "EMERGONO NUOVE DINAMICHE NELLA DIALETTICA LAVORATORE-AZIENDA

(2023-09-13)

  “Negli ultimi 15 anni, il mondo del lavoro ha subito molti cambiamenti”, sottolinea il segretario generale di Unioncamere, Giuseppe Tripoli, intervenendo con una messe di dati provenienti da  diverse indagini Unioncamere-Centro Studi Tagliacarne ed elaborazioni Unioncamere-Centro Studi Tagliacarne su dati Istat, OCSE, ... per spiegare qual'è "il senso del lavoro oggi", ovvero quale valore viene dato all lavoro e che cosa viene chiesto ai datori di lavoro, ma non solo, dopo la crisi del Covid, della guerra, la crisi finanziaria...

Il quadro generale del lavoro in Italia rivela:  23,1 milioni di lavoratori; 2 milioni di disoccupati; tasso di occupazione 60,1%; Tasso di disoccupazione 8,2%. Una realtà composta da 18,1 milioni di dipendenti e 5 milioni di autonomi.
Occupati irregolari si calcola siano 3 milioni di lavoratori  e 70 miliardi di ore di lavoro non retribuito, un monte di ore utilizzato in famiglia ma anche nel terziario.

“L’occupazione in Italia è cresciuta molto meno che nel resto della Ue (+0,9% tra il 2007 e il 2022 a fronte del +7,3%), tanto che il tasso di occupazione attuale supera di poco il 60% a fronte di una media Ue di circa il 70%.

Ad aumentare è stata soprattutto l’occupazione femminile (+7,5% nel periodo), quella dei laureati (+5,2%) e degli stranieri (+1,6%), delle fasce piu' deboli; mentre per i giovani il dato è fortemente negativo (-26,2%).

In questo scenario – afferma Tripoli – ci sono diversi elementi che stanno modificando il senso del lavoro, soprattutto tra i giovani. Tra questi, la volontà di raggiungere un migliore equilibrio tra vita privata e impegno professionale. Per questo tante imprese stanno cambiando le proprie policy nei riguardi del personale, agevolando modelli organizzativi più flessibili e favorendo la crescita professionale dei propri dipendenti”.

Ma cosa si cerca nel lavoro oggi? Sicuramente solidità economica (il 44,2% degli occupati in Italia, però, considera la retribuzione non adeguata alle proprie esigenze, aspetto peraltro confermato dall’allargamento di 34 punti percentuali della forbice tra aumento dei salari negli ultimi 15 anni e aumento dei prezzi di alimentari ed energia; un giusto equilibrio tra vita e lavoro (fattore fondamentale per il 58% degli italiani); la condivisione dei valori dell’azienda (essenziale per il 48% dei lavoratori); la sicurezza (il 66% dei lavoratori rifiuterebbe un nuovo ruolo se non avesse adeguate garanzie al riguardo).

Ed ancora: spinta ad ottenere un salario più elevato (45%), migliore conciliazione vita-lavoro (35%), maggiori opportunità di carriera e di sviluppo delle competenze (34%), flessibilità negli orari di lavoro e accesso allo smart working (30%) le principali motivazioni che spingono a dare le dimissioni e cambiare posto di lavoro. Un fenomeno che negli ultimi anni ha assunto una portata considerevole tanto da venire definito come “le grandi dimissioni”.

Questa dinamica che ha interessato anche il nostro paese dove le dimissioni richieste dai lavoratori sono aumentate del 13,9% nel 2022 rispetto al 2021 (+269mila), sebbene a inizio 2023 si stia assistendo a un certo rallentamento (-3,7%, pari a -19.307 dimissioni nel primo trimestre 2023 rispetto al primo trimestre 2022).

Per rallentare questo esodo, le imprese sono scese in campo. Come mostra una indagine di Unioncamere e Centro studi Tagliacarne, il 66% delle imprese adotta pratiche per trattenere i talenti in azienda: il 63% punta sugli incentivi economici; il 50% su un miglior equilibrio vita-lavoro; il 45% sulla valorizzazione del ruolo e l’aumento di autonomia del
lavoratore; il 15% sullo sviluppo del capitale umano attraverso attività di formazione.

Forme nuove, quindi, di dialettica lavoratore azienda, che stanno producendo risultati: Il 24% delle imprese che adottano più iniziative per trattenere i talenti prevede un aumento della produttività nel 2024, contro solo il 14% del resto delle altre imprese.

Certo il lavoro sta cambiando, in tutto il mondo. La tecnologia è tra i motori di questa trasformazione. La tecnologia infatti modifica l’organizzazione del lavoro (i 570mila lavoratori italiani in smart working nel pre-Covid, sono diventati 5,3 milioni nel post- Covid); modifica e amplie le forme di lavoro (in Italia circa 700mila persone lavorano attraverso piattaforme digitali); incide sulle competenze richieste agli occupati (entro il 2025, nel mondo, per il 73% dei lavoratori saranno necessarie attività di re-skilling e up- skilling).
Un problema che per l’Italia si traduce in mismatch, difficoltà di incontro tra domanda e offerta di occupazione. Un fenomeno peraltro diffuso tra i paesi avanzati (l’Italia è al 69° posto, su 133 paesi mondiali, per facilità delle imprese nel trovare le figure professionali con le competenze richieste), ma che negli ultimi anni è in forte aumento: dal 2019 a
settembre 2023 la difficoltà di reperimento di figure professionali è passata dal 26% al 48% delle opportunità offerte dal sistema produttivo.

I dati citati provengono da indagini Unioncamere-Centro Studi Tagliacarne ed elaborazioni Unioncamere-Centro Studi Tagliacarne su dati Istat, OCSE, GTCI; Censis; Deloitte; Randstad; Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali; Adecco; Politecnico di Milano; INPS; World Economic Forum; Dintec; Unioncamere-Anpal. (13/09/2023-ITL/ITNET)

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